Sono sassi quelli che Gezim Haidari lancia contro l’Albania, in tutte le sue forme politiche, sociali, economiche. Il poema dell’esilio è una continua invettiva per smascherare, denunciare le malefatte che avvengono al di là dell’Adriatico. La forza espressa dai versi è ancora dura perché il poeta ha sperato che la caduta del regime comunista portasse ad un rinnovamento, ad una rinascita del paese. E lui ha profuso energie ed inventiva per dar corpo a movimenti, partiti che dessero, che portassero nuova linfa, portassero nuova eticità, nuovo senso di giustizia nella sua patria. Purtroppo ha dovuto, invece, constatare che la vecchia nomenclatura ha cambiato solo i panni e si è ripresa tutto il potere, non solo politico ma anche economico, portando sempre più alla fame il popolo albanese, incapace di opporsi e di far rispettare la propria dignità.
Il poeta si scaglia contro tutti, a qualunque parte politica possano appartenere. Non sono risparmiati ministri, politici o uomini di cultura, artisti , letterati, poeti: tutti accusati di servilismo.
La forza con cui inveisce ci lascia davvero stupiti per il coraggio che dimostra, incurante di possibili ritorsioni e consapevole che la missione del poeta è proprio quella di dire la verità e non sottrarsi alla responsabilità della più scabrosa denuncia.
E’ un poema ove metafore e simboli sono molto diluite, perché vuole essere prima di tutto diretta espressione di verità.
Contrapposto alla situazione di disordine sociale sta la conclamata affermazione della necessità dell’esilio.
Gezim Haidari si sente un poeta esiliato, non tanto perché materialmente costretto a vivere fuori dalla sua patria, quanto perché ha consapevolmente scelto l’esilio come la risposta più efficace e più corretta di fronte al malcostume esistente in Albania.
La struttura poetica è composta da 322 strofe di 5 versi ciascuna inframmezzate di tanto in tanto da un singolo verso, che rappresenta una variazione poetica nell’invettiva: una sorta di lamentazione sulla condizione a cui è ridotta la sua patria.
In tutto 1646 versi; opera quindi poderosa sul piano dell’impegno e della fatica elaborativa.
Generalmente i primi quattro versi della strofa sono piuttosto lunghi, solo il quinto si abbrevia in un verso simile, contratto e ripetuto in una sorta di anafora, che ricorda la scelta di ricorrere all’esilio e di viverlo come antitesi alla distruzione della sua patria.
Questo poema rappresenta un rovesciamento del salmo 137 della Bibbia, perché la elaborazione poetica, la sua forza, la sua libertà di espressione nasce proprio dall’esilio. La cetra del poeta non si è inaridita perché lontana dalla sua terra, ma anzi si è irrobustita e si è innalzata.