Anno
1974 e la storia di una famiglia che si intreccia alla storia dell'Etiopia. O
meglio, la storia di una famiglia che è in realtà la storia di un paese.
Hailu,
il capo famiglia, medico stimato ad Addis Abeba, padre e nonno, colui che è
capace di “resuscitare i morti”, perlomeno è quello che credono, tenta di
preservare coloro che ama dalle atrocità dei giorni. Combatte contro la propria
etica, tradendo le promesse fatte, nel tentativo di salvare la moglie, Selam,
dalla morte cui è destinata. Per trent'anni ha lavorato nel suo ospedale, e il Black
Lion Hospital è ormai lo spettro di se stesso. Rincorre un'unità famigliare,
che si sta dissolvendo, per non dover accettare ciò che si sta verificando
attorno a lui. Fino a quando la realtà non busserà al suo studio, sotto forma
di una giovane stuprata, torturata, in fin di vita, avvolta in un sacco di
plastica, sfumando l'illusione di essere inattaccabili.
Yonas,
il professore, figlio di Hailu, è colui che attende nell'ombra, non partecipa
attivamente alle attività sovversive e non si capacita del coinvolgimento dei
propri famigliari. Yonas, che apparentemente consegna il proprio padre nelle
mani dei torturatori, non è esente dal dolore e con il rosario in mano, rifugia
le proprie pene nella stanza delle preghiere. Così distante da Sara, sua moglie,
che crede di essere vittima di un maleficio, di essere ella stessa distruttrice
di ogni cosa buona vi sia sul suo cammino. Dalla morte dei propri genitori,
attivi combattenti per la libertà dell'Etiopia, alla malattia che colpisce la
figlia Tizzie, non si da pace. Dal suo senso di colpa cerca un po' di pace ed è
questo che la induce a partecipare alla resistenza clandestina.
Non
restano che Dawit e Mickey. Due giovani uniti da un'infanzia in comune. Divisi
dall'incedere della storia. Dawit aderisce alle idee rivoluzionarie che pongono
fine all'era dell'Imperatore, che sconfisse l'occupazione italiana. Crede nella
rinascita del paese all'ombra del comunismo, fino a quando non si vocifera
sulle attività dei militari, fino a quando l'economia del paese viene razionata
e razziata, fino a quando non riconosce il benessere dei potenti, nelle lettere
di Mickey, a scapito del popolo. E che dire di Mickey. Non distante dai
ritratti di giovani arruolati nelle fila militari per sconfiggere gli
oppositori del regime, per imporre il silenzio del nemico, per mantenere
l'ordine, la sicurezza. Per giungere alla carriera di sanguinario. Si intravede
ancora il profilo del bimbo, che spinge fino in fondo le lenti degli occhiali
per vedere meglio, nell'uomo che imbraccia il fucile, sotto minaccia, con un
sacchetto di plastica in testa, e spazza via i funzionari imperiali con una
scarica di pallottole. Le vite di Dawit e Mickey giungono ad un punto di non
ritorno.
Maaza
Mengiste racconta, “rievocando l'essenza di quegli
anni tumultuosi attraverso
l'immaginazione”,
come riportato nella nota dell'autrice, un paese che ha sconfitto l'occupazione
italiana, che vede nascere uno stato fatto di resistenti, e ancora che viene
sovvertito dai militari e che boccheggia nel tentativo di una
controrivoluzione. Nel romanzo, la promessa che tutto si sarebbe svolto senza
un bagno di sangue, viene smentita dai cadaveri di giovani, bambini,
intellettuali e studenti, strappati alle proprie case, ai propri famigliari,
abbandonati per le strade, con ancora le scritte oltraggianti sui corpi,
apposte con il loro stesso sangue. Le stesse strade in cui la propaganda
militare
si fa incessante, con parate sontuose, manifesti propagandistici e assemblee
obbligatorie. La durezza dei significati è abbacinante.
La
narrazione di Maaza Mengiste non chiede clemenza a nessuno, neanche alla
scrittura. Il suo stile asciutto, distante dalla retorica, attento a non
superare la soglia del facilmente impressionabile, pone l'accento sulla storia,
solo sulla storia, senza discussioni. Il ruolo della violenza imprescindibile dall'accadimento
degli eventi narrati, la tortura inflitta ai corpi increduli, l'abbandono dei
cadaveri per le strade, l'escalation delle violenze l'indomani di un attentato,
è spaventosamente calibrato e tangibile. E il leone è una costante, lasciando
trasparire che lo sguardo del leone è forse lo sguardo di chi tenta di
rialzarsi dopo un duro attacco, dopo le scariche elettriche, i pugni, i calci e
le infamie, ma nonostante questo non cede.