Una ventina di autori con altrettante voci e pensieri hanno
in comune una scrittura migrante che li porta a volare alto sul razzismo, proprio in un paese nel quale, dal 2
giugno scorso, vige una legge che stabilisce che la clandestinità è un reato
penale. La maggior parte degli autori di Rondini
e ronde sono stranieri residenti in Italia provenienti da diversi paesi e
culture.
Vi è nel pianeta un “sesto continente, senza longitudine né
latitudine, che non esiste nelle carte geografiche”, in altre parole, “un
continente invisibile”. A sostenere
questa tesi è lo scrittore Jean-Léonard Tuadi nella prefazione del libro.
“Questo continente è abitato da milioni di esseri umani |...| che vagano da un
punto all’altro del globo sconvolti dalla povertà, dalle guerre e dalle
carestie alla ricerca di pane e dignità per assicurare a se stessi e alle loro
famiglie il primo di tutti i diritti, il diritto alla vita” (p.5).
Per molti degli abitanti di questo “sesto continente”,
l’Italia è oggi uno tra i porti d’approdo, di speranza, non più di partenza,
come lo era una volta per i disperati di altri tempi. È' anche il paese che ha
visto arricchire negli ultimi decenni la propria letteratura grazie al
contributo di scrittrici e scrittori migranti provenienti da questo invisibile
continente. Migranti che hanno deciso di ormeggiare in Italia la loro vita e poi
hanno scelto di scrivere in italiano. Alcuni di essi, spesso con ironia, hanno
dato voce al loro pensiero in quest’antologia, assieme a scrittori italiani,
sulle assurdità di una legge definita razzista.
Brevi racconti, dialoghi e poesie, fanno di questo tascabile
una lettura veloce che induce il lettore ad una profonda riflessione
sociopolitica, antropologica, culturale e soprattutto morale del momento
storico che sta attraversando oggi la società italiana.
Già dal titolo dell’antologia, curata da Silvia De Marchi,
il pensiero di chi legge è stimolato dal gioco di parole che mette in relazione
le rondini che emigrano e le ronde che le attendono in Italia. Un accostamento raffigurato nella vignetta di
Vauro in copertina, che con grande sintesi e satira denuncia la necessità che
ha l’immigrato di nascondersi in seguito alla legge di reato di clandestinità:
insieme a lui si nasconde anche l’italiano il quale lo fa, non per paura, ma
per vergogna.
Sebbene un’altalenante qualità di scrittura tra gli autori risalti
in tutta l’opera, esiste in compenso una costante linearità tra di loro nel far
emergere le contraddizioni della complessa e industrializzata società italiana,
che lascia grandi spazi allo sfruttamento umano nel mondo del lavoro. In uno
dei tanti racconti, nell’Odissea Padana
di Mihai Mircea Butcovan (p.53) il lettore si imbatte proprio in questa realtà:
“cercasi operaio edile, manovale qualificato, per importante struttura
affiliata organizzazione di potere. Requisiti minimi: provenienza terzo mondo,
laurea in ingegneria non riconosciuta in Italia o geometra con master in
topografia. Competenze richieste: muratore rifinito…” e segue. Dove il
candidato migliore è sempre un clandestino.
Božidar Stanišić in Anch’io
ero clandestino (p.199), sostiene che l’immigrato si deve “presentare
sempre agli altri, gentilmente; poi con un sorriso-maschera gentile ripete due
tre volte il proprio nome e cognome, esotico perché non italiano”, per finire
poi il suo pensiero in un “credo sia una delle situazioni più comuni della vita
quotidiana di un immigrato mentre si trova di fronte vari sportelli”, forse
come quelli per rispondere agli annunci di sopra, dove cercano muratori. Sempre
con il sorriso “come unica arma per non soccombere” Zhanxing Xu si presentava
ogni volta In Questura, (p.147) per
rinnovare il permesso di soggiorno. Lei, figlia d’immigrati, cresciuta in
Italia, ha vissuto “un’intera adolescenza col terrore dei documenti, di girare
tra i comuni, questure, uffici immigrazione, prefetture, fatta di
preoccupazioni, di preghiere…”.
Persino le parole, che sempre hanno un proprio peso,
agiscono nella formazione del pensiero comune della popolazione, come Pina
Piccolo analizza accuratamente in Respingimento
(p.133), “parola che si è imposta con prepotenza nel lessico italiano. Molti si
augurano che non prenda piede radicandosi nel vocabolario e nella Weltaschaaung italiana, come purtroppo
è invece avvenuto per altri termini relativi al fenomeno migrazione, come
l’apparentemente spiritoso ma denso di eurocentrismo vucumprà, asettico-sociologico
flussi migratori, o il grondante
di ‘eau de questura’ permesso di
soggiorno”.
Un’opera, in sintesi, che s’inserisce a pieno titolo nella
letterata contemporanea italiana spostando ancora una volta quella frontiera
letteraria fluttuante, come ci insegna l’antropologo Marco Aime citato da Tuadi
nella prefazione, proprio là dove le
culture “si fanno fronte”.