El Ghibli è un vento che soffia dal deserto, caldo e secco. E' il
vento dei nomadi, del viaggio e della migranza, il vento che accompagna
e asciuga la parola errante. La parola impalpabile e vorticante, che è
ovunque e da nessuna parte, parola di tutti e di nessuno, parola
contaminata e condivisa.
È la parola della scrittura che attraversa quella di altre scritture,
vi si deposita e la riveste della polvere del proprio viaggio
all'insegna dell'uomo e del suo incessante cammino nell'esistenza.
Cosa contraddistingue la migranza, la scrittura migrante, al di là
della lingua in cui si esprime? L'identità multipla di cui è composta,
la stratificazione di destini e progetti futuri che ne guida la voce.
Una formula ogni volta differente che fa sì che in ogni momento sia
altra, straniera a se stessa, in un continuo rinnovamento della
propria volatile essenza.
El Ghibli, la rivista del vento, è la prima in cui la redazione è
composta da scrittori migranti. Si tratta dell'unione
collaborativa di individualità ben distinte, ognuna espressione di una
composizione alchemica assolutamente unica ed irripetibile, risultato di
una personale e composita avventura biologica e culturale, che nella
differenza accomuna storie e destini.
E per dare vita ad un progetto letterario che, muovendo dalla
migranza, riconsideri consapevolmente la parola scritta dell'uomo che
viaggia, che parte, che perde per sempre e che per sempre ritrova.
Un progetto letterario che parli del viaggio in movimento e di quello
immobile.
Da cui le quattro sezioni principali della rivista:
"Racconti e poesie", per gli scrittori migranti in Italia, che usano l'italiano
come lingua d'espressione letteraria;
"Parole dal mondo", per gli scrittori migranti non italiani nel
mondo;
"Stanza degli ospiti", un tributo di ospitalità agli
scrittori stanziali italiani e stranieri - i viaggiatori immobili - con
cui è sempre più
necessario interagire e collaborare per un arricchimento reciproco.
"Generazione che sale", dedicata a bambini e ragazzi, italiani e
migranti, vuole essere una sintesi di tutte le altre sezioni, una
scommessa in un futuro in cui tutto questo sarà finalmente ovvio:
l'importanza sovranazionale della nostra necessità di comunicazione
orale e scritta, l'ordinaria transumanza del nostro destino di artefici
di parole, la sacralità delle parole sempre più contaminate e bastarde
che ci sopravviveranno, di quelle "reliquie - come le definisce lo
scrittore ungherese Deszo Kosztolànyi - santificate dalla sofferenza e
sfigurate dalla passione".
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