In occasione delle uscite dei romanzi di Jarmila Očkayová, la stampa,
anche quella che conta, non è stata indifferente. E come avrebbe potuto
esserlo visto che al primo apparire "Verrà la vita e avrà i tuoi occhi"
ebbe una triplice ristampa. Significative le recensioni di Lidia Ravera
sull'Unità e quella di Angelo Guglielmi sull'Espresso.
In occasione
di un incontro internazionale sulla letteratura della migrazione
tenutosi a Roma nel 2002, la studiosa Franca Sinopoli ha analizzato
l'opera della Očkayová, insieme a quella di Meneghello e di Abate, per
individuare alcuni tratti essenziali della poetica della migrazione.
Riportiamo alcuni passi tra i più significativi.
" La moda è l'opinione in materia di costume, ammicca la citazione di Balzac schierata nella vetrina del centro. Ma Barbara e Stefania, le amiche del romanzo d'esordio di Jarmilia Očkayová , nemmeno la degnano, calate come sono nei loro cimenti e guai e smacchi. Rincorrono questioni superiori, sia pure con un passo lieve, non "sentimentale": l'esistenza, i suoi grovigli, le mille trappole e mine che non si stanca di spargere. Entrambe intorno ai vent'anni, Stefania non volge le spalle alla razza di chi rimane a terra, la trattiene "il respiro dei fiori"; Barbara, "pulita, profumata ed elegante, si getta dal balcone. Un gesto non sterile, non cupo, non vano. Una scelta piuttosto necessaria per - non sembri contraddittorio - evitare la disfatta. Sì, come avvisa il titolo della storia innocente e franca, Verrà la vita e avrà i tuoi occhi. Una certezza che capovolge la profezia pavesiana: verrà la morte e avrà i tuoi occhi..."
" Le donne sanno patire con una intensità sconosciuta all'uomo. Sanno
far diventare il dolore, soprattutto nei vent'anni, comunicazione,
linguaggio,dialogo, scavo a due, svisceramento. Quasi un modo di stare
assieme, un fare "l'amore", nel dire, nel riconoscersi, l'una
nell'altra, specchiandosi fino a perdere i contorni del proprio
personale disastro, liberandosi del peggio, che è sempre la solitudine.
Si tratta di una cadenza opposta a quella maschile, un movimento
contrario a quello che porta l'uomo a nascondersi, quando soffre, a non
mostrare, a sottrarsi, fino alla falsificazione, fino all'isolamento.
Hanno le donne, una fiducia innata nella parola taumaturgica, quella che
si fa ragione, spiegazione, quella che raccontando, riduce il danno, il
potenziale spaventoso del soffrire. Hanno le donne, un'ansia di
condividere le ombre, che le porta a vivere storie di intimità mentale
quasi impudiche, profondissime e, talvolta, salvifiche. E' la stessa
ansia che le porta ad usare più degli uomini la scrittura privata,
sfogo, diario, lettera che sia.
Di questo modo d'essere delle donne
è specchio e risultato il romanzo Verrà la vita e avrà i tuoi occhi, di
Jarmila Očkayová, l'opera prima intensa e ricca, quasi sovraccarica, di
una quarantenne nata a Bratislava e, dopo vent'anni a Reggio Emilia,
capace di scrivere in italiano. Vi si racconta la storia di un dialogo
interrotto, fra due ragazze di vent'anni. Stefania, saggia di vitalità
campagnola, e Barbara, posseduta da un'allegria forzosa, come una
bambina che canta forte perché ha paura del buio.
Sono due giovani donne intelligenti, acute, attente, colte. Del genere
che non molto spesso si trova a protagonista di romanzi, non sono
oggetti misteriosi, sono donne che guardano, che non vivono per
catturare sguardi. Fa piacere che la loro esistenza venga registrata
anche in sede di letteratura. Il dialogo fra loro è la tessitura
stilistica del romanzo, dal primo incontro, insieme banale e
sconcertante, su un autobus, fino all'ultimo, al cimitero, accanto alla
tomba di una delle due..."
"Narratrice e poetessa slovacca, Larmila Očkayová si è recentemente proposta al pubblico italiano con un romanzo psicologico di grande intensità, intitolato Verrà la vita e avrà i tuoi occhi....Un romanzo che fa riflettere, dunque, quello della Očkayová, estremamente ricco anche da un punto di vista stilistico: il ritmo narrativo, infatti, cambia continuamente andamento, a seconda dell'eco emotiva che le vicende rievocate hanno nell'animo della narratrice. E il messaggio finale vuole comunque essere un invito alla speranza; davanti alle difficoltà non bisogna rinunciare, ma invece accettare la sfida; il coraggio di vivere, in fondo, sta tutto qui."
"Un incontro casuale su un pullman, in un giorno come tanti: ma Stefania e Barbara non sono ragazze "come tante". Inizia da lì la loro amicizia che attraversa la storia raccontata da Očkayová nel suo libro d'esordio, così sorprendentemente maturo. E' un rapporto delicato, il loro, da coltivare con infinita attenzione, da proteggere, dalle infiltrazioni d'angoscia: sono loro ad insediarsi nella vita di Barbara e a portarvi il gelo del disorientamento, dello smarrimento. E' con sapiente accortezza che l'autrice ci fa entrare in quei labirinti di immagine e parola abitati dalle protagoniste: e la visione, anche la più angosciosa, trova un linguaggio che, pur di stratificata complessità, densa di miti, di simboli, risulta di estrema limpidezza...."
" Anche Barbara, la protagonista del suo romanzo d'esordio Verrà la vita e avrà i tuoi occhi, è celata da un'ombra, un mistero infelice che l'amica Stefania tenta di sciogliere. Armata delle loro confidenze (solo la parola che racconta, infatti, dice Jarmila Očkayová, può salvare dal dolore e dal vuoto), cercherà di spezzare l'incantesimo che imprigiona Barbara nella sua sofferenza senza nome..."
"Una storia d'amicizia femminile. Da leggere con il fazzoletto a portata di mano, perché l'autrice è intenzionata a suscitare commozione nel lettore...Ma non è per piangere che Stefania è tornata sulla tomba dell'amica. E' della vita che vuole parlarle. "Ho visto il respiro dei fiori" dice Stefania. "Non è così raro: basta stare attenti e aspettare il momento giusto", Verrà la vita e avrà i tuoi occhi è una lunga e commovente lettera d'amore alla vita..."
" Come per le confezioni medicinali, per i libri di alcuni scrittori cecoslovacchi occorrerebbe forse premettere alcune "indicazioni per l'uso", onde avvertire l'utente che l'avventura del leggere cui sta andando incontro avrà coordinate particolari e desuete per chi non sia aduso a una scrittura che mescola inesaustamente mondo onirico e mondo reale, fantasia e quotidiano, memoria e attualità in una continuità che è quasi senza soluzione. Così questa avventura potrebbe riservare momenti di smarrimento, di difficoltà a comprendere la dinamica narrativa o i passaggi dalla realtà al sogno, ma anche le pagine splendide di poesia e di pensiero per le quali occorre interrompere la lettura e soffermarsi a riflettere quasi rabbrividendo per il piacere di trovare la rappresentazione letteraria di un'esperienza che si pensava rigorosamente personale e segreta. Accade con il libro di Jarmila Očkayová, L'essenziale è invisibile agli occhi, accade anche se l'autrice, slovacca di nascita e trasferita in Italia da poco più di vent'anni, scrive in italiano....Così il romanzo oscilla fra autoanalisi e spy story, quasi a deviare l'onda emotiva di una ricerca esistenziale e nello stesso tempo per introdurre una metafora della stessa chiave romanzesca. Perciò se la conclusione del romanzo non chiarisce al lettore come andrà a finire l'intreccio poliziesco, certo dichiara la fine della ricerca di Agata e l'inizio della sua vita."
" L'autrice di questo testo [L'essenziale è invisibile agli occhi] è una cecoslovacca che scrive in italiano. Confesso che a incuriosirmi non è tanto il romanzo- storia della ricerca della propria interiore verità che la protagonista ritrova dopo un tortuoso viaggio attraverso mille ricordi, sogni, allucinazioni e paure - quanto l'autrice che, con i suoi romanzi, pone due domande alle quali vale la pena cercare una risposta: la prima, perché e cosa significa per uno scrittore scrivere in una lingua non propria; la seconda, come possono convivere in uno stesso scrittore due lingue e due culture diverse...E' lei stessa a rispondere:" Prima sentivo di dover scegliere, poi tutto si è ricomposto nel raddoppiamento, quindi nella ricchezza. Vivo...come se in me ci fossero due strumenti musicali, un violino e un pianoforte, che si inseguono nella "Kreutzer" di Beethoven"....Quanto poi alla seconda domanda: cosa significa per uno scrittore scrivere nella lingua di un altro paese, la stessa Jarmila risponde: "Brodskij diceva che l'esilio è soprattutto lezione di umiltà che per uno scrittore diventa preziosa. Come se l'esilio ti dicesse: frena la tua vanità di scribacchino". Ecco, scrivere in un'altra lingua significa tenersi lontani da ogni forma di compiacenza e di cedimento o entrare in contatto direttamente con l'estraneità e la sua terribilità (secondo l'insegnamento proprio di Kafka)..."
"...è scritto in italiano il romanzo L'essenziale è invisibile agli occhi, in cui Očkayová, che dal 1974 vive a Reggio, rappresenta insieme lo spaesamento linguistico, geopolitico e più universalmente esistenziale della sua protagonista esule dall'Est...in [questo romanzo] a far far da sfondo alla rieducazione sentimentale della protagonista dopo un matrimonio fallito sono la primavera di Praga e i carri armati russi, la normalizzazione, la rivoluzione di velluto e la babele geo-politica del postcomunismo. In un romanzo che accanto all'invenzione di una depistante spy-story propone un'abbondanza di sogni, simboli e archetipi provenienti dalla tradizione letteraria slovacca: "Le metafore me le devono aver messe nel biberon. In un paese vissuto a lungo sotto una rigida censura, è un modo di esprimersi abituale". Senso della storia, coraggio stilistico, poco o nulla soggezione alle voghe: se riuscissero davvero a essere questi, i tratti della "world fiction" all'italiana, mancherebbe solo un apporto di qualità dal Sud del mondo, a dar per fatta la svolta"
"...Il romanzo che si intelaia sui tipi del mistery e della spy-story è in realtà magicamente forgiato con le sinuose ed evocative atmosfere di un onirismo dai toni quasi fiabeschi, che coglie pressoché sempre nel segno. Una lingua ricca e viva, buona e corposa dà ulteriore risalto a una storia costruita fra il sogno e la veglia, fra il ricordo del passato e il vissuto del presente, con una forte carica autobiografica che sembra affiorare in ogni pagina. Fin dal primo capitolo siamo inconsapevolmente proiettati in una réverie che ci lascia spiazzati, ma anche piacevolmente colpiti. E' come se l'autrice mandasse un messaggio ai suoi lettori: bene, siete pronti? Preparatevi ad entrare in un nuovo mondo, in una nuova dimensione: il mio mondo e la mia dimensione, dalla quale voglio parlarvi di me e della mia visione della vita. E il lettore non può far altro che cogliere al volo questa sfida e incominciare una strano viaggio di immersione in un territorio dove tutto è metafora...."
"...Il romanzo è per molti versi autobiografico e vanta una costruzione narrativa originale e fine che mescola il giallo, il sogno, la realtà e il cammino spirituale, con una buona infarcitura di metafore, simbolismi e citazioni più o meno colte. Tra le righe fa capolino il delicato sentimento della nostalgia per la propria patria, ma anche per l'immagine innocente di se stessa bambina. La conclusione ci è piaciuta molto: consiste in un finale aperto, un vero e proprio inizio che offre alla protagonista la possibilità di liberarsi dalle maglie della narrazione per incominciare veramente a vivere a testa alta..."
"... Agata Jakub, io narrante della vicenda, è una donna quarantenne con un matrimonio a pezzi e una figlia di cinque anni. C'è in lei la nostalgia, l'amarezza e la solitudine dell'esule e insieme "un gusto selvaggio della vita, selvaggio e tronfio e pavoncello". Due lingue, due mondi, due culture diverse l'hanno spezzata interiormente e l'amore del marito, fatto di sguardi e di gesti, mai di parole e di pensieri, non l'ha aiutata a ritrovarsi, a recuperare l'armonia perduta dell'infanzia. L'interiorità della protagonista dilaga sulla pagina e il lettore è un po' frastornato da una valanga di parole, di metafore, di immagini che rallentano la trama..."
"..Così nella narrazione ci troviamo dapprima di fronte, come in un teatro, soprattutto i gesti, le battute dei personaggi; la superficie, dietro cui Nadia cerca costantemente un essere più sostanziale. Negli occhi adolescenti la sostanza equivale alle scelte politiche; sono loro il reale a cui Nadia vorrebbe ricondurre tutto. In tempi di tecnologia digitale e mondi virtuali è rinfrescante sentire al contrario l'ansia tenacemente realistica di Nadia. La stessa prosa ha una corporeità che, senza concedersi facili escursioni nello sviluppo sessuale della protagonista, mantiene intatta una carica fisica, tangibile..."
"Arriva dalla lunga notte che ha oscurato per anni la Cecoslovacchia occupata dai sovietici, questo struggente racconto che si dipana attraverso gli occhi di una quindicenne. Scritto in Italia, perché l'autrice, nata in Slovacchia nel 1955, vive dal 1974 nel nostro Paese, dedicato a Jan Palaci, il martire della primavera di Praga, non è solo un viaggio nelle tenebre che offuscarono i Paesi dell'Est in quegli anni; è anche una discesa nei tormenti che avvolgono i rapporti fra madri e figlie..."
"Dietro questo ultimo libro di Jarmila Očkayová, Requiem per tre padri, c'è la coscienza, che mai forse è stata così acuta, di un senso di precarietà profonda. Nadia, la protagonista quindicenne si muove come uno straniero, in mezzo a cose che gli appaiono straniere, senza potersi fidare degli occhi, degli orecchi e dei sensi, cattivi testimoni che non possono dire la verità sulla natura delle cose che ama nascondersi. Il rapporto fra Nadia e gli altri personaggi, è un rapporto fluido, che sembra non conoscere confini certi. Nadia trasforma il conflitto, l'antinomia tra lei e gli altri, tra l'essere e il non essere, in una metafisica del limite, la più aspra e tesa, come quella che si esprime nelle parole dell'Antigone sofoclea:"Me infelice, la mia casa non è tra gli uomini e tra le ombre: non tra i vivi né tra i morti". Queste parole propongono di fatto, come destino proprio dell'uomo, un'assoluta utopia, perché l'uomo che agisce dentro di sé ogni conflitto non può porsi egli stesso come un limite o una frontiera di fronte ai conflitti, ma deve farli transitare attraverso il suo essere, che si costituisce come essere propriamente umano...
"...Cosa viene privilegiato dalla prospettiva che guida la nostra ricerca? Innanzi tutto la poetica della transitorietà e della migranza tra culture e lingue europee, la quale può tradursi o meno nel racconto della esperienza di una emigrazione/immigrazione; la questione dell'identità (identità culturale, collettiva, nazionale ed europea); La condizione della diaspora intraeuropea dei tre scrittori e dei loro personaggi; la diversità tra lo stare in diaspora e in migranza e il nuovo cosmopolitismo d'élite, per il quale il letterato, come l'accademico, il manager o lo scienziato, non hanno patria che non sia quella delimitata dallo spostamento tra i non-luoghi della civiltà occidentale. In questo caso si opera un uso esclusivamente metaforico del concetto di "migrazione", che rischia di cancellare ogni riferimento all'aspetto contingente e storico del movimento migratorio (S. Ahmed, 1999, p.333)"..." Očkayová in Requiem per tre padri, incarna nel conflitto tra generazioni - madre/figlia -, e nel rapporto tra la madre e i suoi tre mariti, quello di tre momenti diversi di un decennio della recente storia slovacca, precisamente dal 1959 al 1969"..." Očkayová, quarantasettenne nativa di Bratislava che vive e lavora a Reggio Emilia, è arrivata in Italia nemmeno ventenne e domina perfettamente la lingua italiana, al punto da essere maturata come narratrice in una lingua acquisita, avendo pubblicato in italiano ben tre romanzi e diversi racconti; a ciò bisogna aggiungere nel caso della Očkayová la sua attività di traduttrice verso l'italiano, fatto già in sé molto significativo, ma che potremmo leggere anche in funzione della sua poetica tesa a "pacificare" il presente, che è poi la dimensione in cui l'emigrato una volta divenuto immigrato gioca il suo futuro..."