Nota biografica | Versione lettura |
Ego te baptizo (ad nepotes epistula) Caro nipote, non ti conosco, e non so se il tempo che sèpara generazioni potrà di me in te, o di te in me riconoscere qualcosa; se un giorno queste parole ti diranno di una voce o saranno un foglio improvviso all’occhio che fruga nella penombra del meriggio e qualcuno ti chiederà – fidanzata o amante – chi usava una lingua già così stanca, se davvero pensava che un giorno avrebbe potuto da così lontano gettare un ponte di inchiostro, sperare di capire non dico sé, ma voi. Allora, con la faccia che avrai e oggi non si vede, col sorriso che ti sarai scoperto, incerto un po’ ti vergognerai che osassero tanto i parenti dei padri da seminare nel mondo vostro, come non fosse loro già colpa avere nella storia un posto. Non parlo al sordo e non ho speranza, mi resta un dubbio di tanti: se dicendoti che sarete diversi e a noi uguali prima che la vita abbia finito di scrivere sull’etichetta e dall’aceto ritorni il vino, quel mondo che vi abbiamo sciupato, o che ha sciupato noi, sarà per voi la tradotta o la rima che distilla nonsenso amaro sulla coperta dell’aria; se nell’acre sfrigolare d’ideali con cui vi consegniamo un nome e una fede, una traccia incerta di destino, tutto ciò che non potete aver voluto (ciò che noi non abbiamo saputo) per conquistarci un posto da pari, per dire sì non alla vita ma al consenso del vicino e lavare le nostre mani nell’acqua della stessa colpa, vedrete i fumenti del giorno, una luna spessa e nera, la nostra vita assorta a dimenticare la scintilla che fu il logos: vi chiameremo innocenti e ci aspettiamo da voi un segno, un richiamo, lo stesso giro di pista, per essere certi, come già lo siamo del nostro posto nella danza di Cagliostro, per dire a noi stessi che il tempo lo abbiamo morso e masticato coi denti. Perdonate figli se siamo padri, e madri, e parentame, perdonate il fardello che oggi con pompa vi diamo, le nostre parole d’oro, e l’oro che per voi spargiamo sul letame.