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lingue e ombre

stefanie golisch

Da’ al tuo verso anche il senso,
dagli l’ombra.
Paul Celan

L’anno scorso è uscito per la casa Mimesis di Milano un libro di poesie che ho tradotto dal tedesco. Si tratta delle poesie di Selma Meerbaum-Eisinger (1924 – 1942), una giovane ebrea, morta in un campo di lavoro, che viveva nella Bukowina, la terra dei faggi, una zona, anzi, un paesaggio letterario agli estremi confini dell’ ex impero austro-ungarico, oggi appartenente all’Ucraina.

La Bukowina, e in particolare il suo capoluogo Czernowitz, la città natia dell’autrice, all’epoca fu una terra pluri-culturale e pluri-linguistica sui generis. Vi vivevano tedeschi, austriaci, romeni, polacchi, ungheresi e russi, molti di fede ebraica.

L’infinita varietà culturale aveva generato in questa regione un clima dinamico e stimolante; non per caso è la città di un impressionate numero di scrittori, poeti, musicisti e artisti.

Paul Celan, di cui Selma Meerbaum-Eisinger è una lontana cugina, Rose Ausländer, Norman Manea e Aharon Appelfeld sono soltanto i nomi più famosi.

Nelle loro memorie, i pochi sopravvissuti alla Shoa sottolineano all’unisono l’atmosfera stimolante, unica, che si respirava a Czernowitz. Qui era normale muoversi senza problemi tra diverse lingue, cioè parlare una lingua a casa, un’altra a scuola e un'altra ancora fuori con gli amici. Selma Meerbaum Eisinger, Paul Celan e Rose Ausländer non sapevano soltanto il tedesco, ma naturalmente anche il romeno, il francese e lo yiddisch. Il tedesco era soltanto la lingua che scelsero per scrivere i loro versi.

Del resto, ci sono molti illustri esempi nella Weltliteratur di autori che usavano più lingue: Josef Conrad la cui madrelingua era il polacco, Nabokov, scrittore di lingua russa che durante il suo periodo berlinese scriveva in tedesco per poi passare definitivamente all’inglese, Klaus Mann, il figlio maggiore di Thomas, che a differenza del padre nell’esilio statunitense passò all’Inglese per redigere la sua autobiografia The turning point. Rilke, verso la fine della propria vita, ebbe perfino la sensazione di aver esaurito tutte le possibilità della lingua tedesca e passò quindi alla sua lingua preferita, il francese.

Credo che la propria madrelingua sia una delle dimensioni più intime dell’essere umano; non esclude però la possibilità di esprimersi, anche a livello letterario, in altre lingue. Perciò lo scrivere in lingua straniera non va considerato assolutamente un fenomeno bizzarro, da collocare in una nicchia come quella della scrittura della migrazione.

In base alla mia esperienza personale, come scrittrice che usa sia la lingua tedesca, sia quella italiana – e a volte anche l’ inglese – direi che il fascino di scrivere in un'altra lingua consiste proprio nel trascendere i confini dei propri orizzonti culturali e quindi del proprio io, spesso ingabbiato in essi. Scrivendo in una lingua straniera si è quasi automaticamente costretti a distanziarsi da se stessi e questo – per uno scrittore – non può essere che un gran bene!

In un epoca in cui la mobilità pare che sia, è la parola d’ordine, dovrebbe essere più che normale muoversi non soltanto in più paesi, ma anche in più lingue.

Ben venga quindi tutto ciò che può aggiungere alla nostra percezione della realtà più sfumature possibili: lingue straniere, dialetti, microlinguaggi di tutti i tipi. E’ da essi che dipende la necessaria eterogeneità delle forme artistiche e letterari. Perché soltanto quella lingua che contiene in sé più lingue, sarà capace di caricare le sue parole con più di un significato e di aprirla quindi alla contraddittorietà dell’esperienza umana.

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Anno 7, Numero 30
December 2010

 

 

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