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(A Lahore, l’ultimo anno del ventesimo secolo,
una donna è stata uccisa dalla sua famiglia nell’ufficio del suo avvocato.
Il suo crimine era l’aver chiesto il divorzio.
L’intero Senato del Pakistan si è rifiutato di condannare l’atto.
L’hanno definito un delitto d’onore.)
Finalmente mi levo questo cappotto,
questo cappotto nero di un paese
che per anni ho giurato fosse mio,
che ho indossato più per abitudine
che di mia iniziativa.
Nata avendolo addosso,
pensavo di non aver alternativa.
Mi levo questo velo,
questo velo nero di una fede
che mi ha reso infedele
a me stessa,
che ha fasciato la mia bocca,
dato al mio dio la faccia del diavolo,
e soffocato la mia voce.
Mi levo queste sete
queste cose merlettate
che alimentano sogni da dittatore,
il mangalsutra e gli anelli
tintinnanti nel barattolo delle necessità
che mi hanno ridotto in povertà.
Mi levo questa pelle
e poi la faccia, la carne,
l’utero.
Vediamo un po’
cosa sono qui dentro
quando scivolo oltre
la comoda gabbia di ossa.
Vediamo un po’
cosa sono qui fuori,
mentre creo, lavoro,
progetto
la mia nuova geografia.
traduzione di Ilaria Tarasconi
È che ci sono poche
linee dritte. Ecco
il problema.
Nulla è piatto
o parallelo. Le assi
stanno in bilico sbilenche su perni
che rifuggono la verticale.
I chiodi s’aggrappano a giunture sconnesse.
L’intera struttura s’inclina pericolosamente
verso il miracoloso.
Dentro a questa cornice rustica
qualcuno ha ricavato
uno spazio vitale,
arrivando perfino a depositare
queste uova in un canestro di metallo,
fragili curve di bianco
sospese sul bordo cupo
di un universo deformato,
che raccolgono la luce
dentro,
come fossero
le pareti sottili e luminose della fede.
traduzione di Ilaria Tarasconi
Questa stanza sta fuggendo fuori
da se stessa, attraverso le crepe
nei muri
in cerca di spazio, luce,
aria leggera.
Il letto si solleva liberandosi
dai suoi incubi.
Dagli angoli bui, le sedie
si alzano fino a schiantarsi fra le nuvole.
Questo è il momento e il posto
in cui sentirsi vivi:
quando gli arredi quotidiani delle nostre vite
si scuotono, quando accade l’inverosimile.
Teglie e tegami si scontrano
in giubilo, risuonano
di fronte alla folla di cipolle, spezie, aglio,
volando vicino alla ventola sul soffitto.
Nessuno cerca la porta.
In tutta questa euforia
mi chiedo dove
ho lasciato i piedi, e perché
le mie mani sono fuori, ad applaudire.