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daniel in love

teodros kiros

Asmara era animata. Daniel pedalava lungo le strade asfaltate illuminate da eleganti lampioni sotto gli eucalipti che danzavano nella fresca brezza di quell'alba d'estate. I cantanti e i loro tamburi erano impegnati in una danza tribale dentro un'arena, la musica esplodeva da giganteschi altoparlanti posti nella piazza cittadina. I danzatori, in piedi l'uno accanto all'altro, formano un cerchio. Dentro il cerchio, all'inizio si muovono come tartarughe, con lenti movimenti perfetti. Si scaldano un po', l'uno di fronte all'altro, isolando la parte superiore del corpo da quella inferiore. Scuotono le spalle con un perfetto movimento a onda, fissandosi, e sorridono quando sono completamente soddisfatti, sincronizzando tamburi e battiti delle mani. A volte le donne ballano con le donne, altre, gli uomini con gli uomini. La città festeggiava il giorno di San Michele, e Daniel inspirò l'aria fresca fissando il cielo, gli occhi colmi di gratitudine brillavano come diamanti nella notte. Faceva sua la città con lo sguardo, i piedi quasi danzanti, concedendosi una sosta in piazza, prima della scuola. Si comprò un cono gelato, e si mise a sedere sotto l'ombra generosa di un salice, assaporando il dolce momento. Il suo corpo fremeva dal desiderio di perdersi al punto di dimenticare l'amore che l'aveva sopraffatto. Daniel era innamorato.

Scendeva una pioggia leggera, con il sole sullo sfondo. I raggi penetravano i fiotti di pioggia con fasci di luce smagliante. Fin dall'infanzia, Daniel aveva amato queste giornate di pioggia e sole. Si avviò lentamente attraverso strade affollate, respirando la bruma del mattino. Era in ritardo e quando giunse a scuola, vide che era troppo tardi. Hirut era là, stava già salendo le scale. Avanzava elegante, come acque placide, insieme a un paio d'amiche. Erano tutte sorrisi. Incantato dalla bellezza della ragazza che conosceva da quando aveva cinque anni, la ricordò giocare nel parco del quartiere. Hirut era timida come Daniel. I suoi grandi occhi scuri fissavano con onestà conturbante. Quando parlava, non ricambiava mai lo sguardo. I suoi meravigliosi occhi a mandorla avevano scrutato innumerevoli anime da dietro le ciglia scure. Quel giorno, Daniel era arrivato all'ultimo minuto, la scuola si preparava al picnic annuale. Era il suo giorno di scuola preferito. Avrebbe potuto vedere Hirut per tutto il giorno nei prati di Karen. Oggi si era deciso a rivelarle i suoi sentimenti. Durante il pranzo la individuò, seduta all'ombra di un vecchio salice con le due amiche. La guardò intrepido. Ma distolse lo sguardo quando una delle amiche lo vide. Guardò di nuovo e questa volta rimasero a fissarsi. Lei era imbarazzata, ma restituì lo sguardo. Si ritrovò a camminare verso di lei, ravviandosi i capelli e deglutendo con la gola secca.

"Com'è andato l'esame di matematica?" le chiese, cercando di rilassare le spalle tese.
"Oh benissimo. Mi piace matematica. Mi ha dato 100. E a te com'è andata?"
"Anch'io ho preso 100." Le chiese cosa ne pensava di Anna Karenina, che stavano leggendo in classe. Lei era dalla parte della Karenina, gli disse, ma le piaceva anche Vronsky
. "Il suo coraggio mi affascina, e poi sa trattare le donne" dichiarò.
"Io sono per Karenin," disse Daniel. "È un ottimo funzionario governativo. Serio, certo, un po' freddo e troppo interessato alla sua immagine pubblica forse, pieno di sé e rigido. Intelligente, però."

"Non solo un po' freddo. Ma freddo, freddo, freddo. Il tipo d'uomo che non si accorge dei bisogni degli altri, soprattutto della solitudine di sua moglie."

"Ma scusa," disse lui agitando la sua copia del libro, "Vronsky era solo un donnaiolo. Karenin era molto, molto di più. Vronsky ha sentito il vuoto nella vita di Anna. Ha capito che ammuffiva di noia. Si è preso la sua vita senza donarle il cuore. Anna era solo un'altra sulla sua lunga lista di donne sole."

"Non hai capito niente. Le donne sono diverse. Non voglio dire che si innamorano come delle stupide. Anna aveva commesso l'errore di lasciarsi sedurre dal prestigio e potere di Karenin. Poi arriva un uomo leggero, divertente e vivace. Che apre le porte del suo corpo."

Daniel le si avvicinò un pochino. Indicò una pagina e per un momento si toccarono. Lei si ritrasse, timida, con un sorriso. Lui si convinse che non le era spiaciuto. Il suo rossore diceva tutto. Il fuoco sul viso di lei sconcertò Daniel. Stava pensando di rifarlo, ma venne interrotto. Il ragazzo che si stava avvicinando, Bamboola, richiamò l'attenzione di Hirut. Bamboola aveva un occhio solo. L'altro era artificiale, di un bell'azzurro. Alto, impeccabile e con fare tranquillo, viveva con la ricca sorella. Ogni giorno arrivava a scuola alla guida dell'auto sportiva rossa di lei e questo non mancava di attirare le ragazze. Era famoso per le sue feste scatenate nei weekend, scarrozzava le ragazze tra le sinuose montagne intorno a Massaua, e le intratteneva negli eleganti caffè europei lungo la strada. Bamboola ci sapeva fare con le donne.

E così Daniel perse l'occasione. Si incrociavano ogni giorno, scambiandosi sorrisi, ma nulla di più. Adesso, l'ora preferita di Daniel era quella di ginnastica, poteva vedere Hirut da ogni lato, non solo da dietro, seduta al suo banco. Hirut giocava a pallavolo con stile. Le gambe slanciate si muovevano agili in ogni angolo del campo. Spesso loro due giocavano nella stessa squadra, ma quelle che Daniel preferiva erano le poche volte che si ritrovavano avversari. In una di queste occasioni, fece una schiacciata potente, ma goffa, e finì sulla rete. Piombò dall'altra parte del campo e là, per la prima e ultima volta, cadde addosso a Hirut e l'abbracciò stretta. Hirut lottò per liberarsi dal peso e fece una smorfia imbarazzata. Ma Daniel, beato, era in stato di grazia. Alla fine si scusò, senza troppa convinzione. La sensazione di ogni punto di contatto gli rimase scolpita nei muscoli per settimane. Si aggrappò alla sensazione di quel contatto finché poté. Ma non ce la faceva più, e così decise di dichiararsi a Hirut. In una fredda giornata di fine estate, l'aspettò all'uscita della scuola, e le chiese se poteva accompagnarla a casa. Passarono dalle strade quiete e ombrose dei quartieri ricchi della città.

La luce mutava ormai ogni giorno e adesso il cielo del tardo pomeriggio si era tinto di viola. Sembrava che la stagione fosse cambiata proprio quel giorno, mentre loro erano a scuola. Stimolato dall'aria frizzante, la invitò alla festa a casa di un amico per la domenica seguente. Senza dire né sì né no, lei riuscì a manifestare il suo disinteresse. Lui capì e quando arrivarono a casa di lei, il suo viso rivelava l'intensa delusione della sconfitta. Aprì la bocca per dire qualcosa prima di andarsene, ma le parole non vennero. Quindi, si girò lentamente e la lasciò al cancello. Si voltò parecchie volte per vedere se era rimasta a guardarlo, una cosa che non avrebbe proprio voluto. Sarebbe stato per pietà. E nessuno ama per pietà. O ci si innamora, o non ci s'innamora. Erano stati i silenzi di lei a rivelargli che il suo cuore apparteneva già a un altro, e che non poteva dividerlo con lui. Il giorno dopo, da un angolo solitario, vide lei e Bamboola che si toccavano e bisbigliavano. Hirut dondolava il corpo snello così che i suoi capelli sfiorassero la fronte di lui. Lui la strinse forte al petto e le chiuse la bocca con un bacio appassionato, così lungo che Daniel per interromperlo dovette chiudere gli occhi. I giovani amanti erano seduti su un prato, dove pascolava il bestiame e i pastori suonavano i loro flauti nell'autunno che avanzava. La coppia voltava le spalle al mondo. Erano persi l'uno nell'altra. Daniel osservò ogni cosa, i loro abbracci, i baci delicati. Vide tutto. Quando i pastori iniziarono a radunare le bestie, li lasciò soli.

Con un peso sul cuore, Daniel finì la scuola superiore. Vinse una borsa di studio e partì per Londra. Un anno dopo, riceve la visita di un amico con il quale si era confidato. Era venuto a Londra a riferirgli una conversazione. Conosceva bene Hirut, e aveva deciso di andarla a trovare in un pomeriggio nebbioso, nel mezzo dell'inverno. Le aveva raccontato la storia di Daniel. Lei era rimasta ad ascoltare mordicchiandosi le unghie, e passandosi nervosamente le dita tra i capelli. Poi aveva detto che non se ne era proprio accorta. E piangendo aveva ricordato la migliore conversazione che avesse mai avuto su Anna Karenina di Tolstoj. "Se fosse stato coraggioso come Vronsky, e si fosse fatto avanti con più decisione, io non l'avrei certo rifiutato." Daniel chiuse gli occhi per ricordare il passato. Abbassò lo sguardo, si raddrizzò la cravatta, si asciugò il sudore dalla fronte e aprì la bocca. Non riuscì a fare altro. E dopo un silenzio imbarazzato, ringraziò l'amico e rimase solo. Tirò fuori il diario e lesse: "Mi hai rubato il cuore la prima volta che ti ho vista. Quei grandi occhi scuri color cioccolato splendenti di speranza, i lunghi capelli ricciuti, le belle gambe, la fronte ampia che ospitava intelligenza, e la bocca minuta che aprivi in un sorriso gettato liberamente a chiunque avesse il coraggio di guardarti diritto negli occhi. Con lo sguardo ho seguito il profilo del tuo corpo giù, fino ai fianchi, e alle gambe che ti ancoravano al mondo. Ti ho esaminata invano, sperando di trovare qualche difetto nel tuo corpo, e tristemente non ne ho trovato alcuno. È stato allora che ho capito che avrei sofferto, e amaramente ho compreso la verità dell'amore, che non basta amare, per essere riamati. Ho imparato la lezione, forse nel modo più duro."
Quelle stesse parole divennero, in seguito, il paragrafo iniziale del suo primo romanzo, Daniel in Love.

Traduzione: Sonya Deva

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Anno 0, Numero 3
March 2004

 

 

 

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