Nota biografica | Versione lettura |
Care lettrici e cari lettori,
Nel precedente numero, abbiamo
pubblicato saggi sul tema dell'ibridazione, della migrazione; un
testo della nota anglista, prof.ssa Itala Vivan, e un secondo di Tahar
Lamri. Questa volta, sullo stesso tema, vi presentiamo il saggio dello
studioso Miguel Vale de Almeida e il breve intervento di Gebre Eyasus
Gorfu su aspetti di pura stilistica. Poi abbiamo rintracciato e
intervistato lo scrittore globe-trotter senegalese Boubacar Boris Diop,
in occasione del decimo anniversario del massacro in Rwanda (tra
l'altro, all'inizio di aprile, la casa editrice e/o pubblica per la
prima volta in Italia, il romanzo scritto dopo il Rwanda: Murambi -
Il libro delle ossa).
Nella rubrica "incontro con..." facciamo conoscenza con Jarmila
Očkayová, scrittrice di origine slovacca, nota e apprezzata non
solo in Italia, dove vive ormai da diversi anni. Gli altri "compagni di
viaggio", gli ospiti delle nostre rubriche di racconti, poesie, saggi...
ve li lasciamo scoprire da soli. Ci scusiamo con gli autori che non
vedranno i propri testi su questo numero: riceviamo tantissimo materiale
e una selezione si impone.
Comunque ringraziamo quanti ci scrivono,
dimostrandoci la loro considerazione.
Continuate a leggerci e a mandarci le vostre opere.
Nell'editoriale di questo numero lascio spazio ad un ospite d'eccezione e al suo articolo su un grande africano, Ahmadou Kourouma, scomparso nel dicembre del 2003. L'autrice è Itala Vivan, docente all'Università Statale di Milano e massima esperta, in Italia, di letteratura africana di area anglofana.
Pap Khouma
(articolo pubblicato su l'Unità l'11.03.2004)
Il mio nome è Ahmadou Kourouma. Kourouma dal patronimico Kourouma. Sono scrittore di etnia malinke. (...) In verità , vi dico che sono figlio e nipote di grandi cacciatori. E così ho evocato, affinché mi assistano, gli antenati che mi ispirano. Sono sicuro che ora stanno qui, intorno a me. Nell'ombra, sono accorsi in aiuto del figlio e del nipote. Nell'ombra, se ne profilano le parvenze. Sono qui intorno a me, seduti a terra con le gambe incrociate. Hanno indossato la tenuta da caccia, il berretto frigio e la cotta alla quale hanno appeso numerosi grigri, specchietti e amuleti. Portano a tracolla un lungo fucile da caccia e nella mano destra tengono in vista lo scacciamosche, insegna del capo. E' vero, non si vedono, non si possono vedere, ma si sentono, se ne avverte la presenza tradita da un impercettibile brusio.
Impresse su una parete della Galleria d'Arte Moderna di Torino,
queste parole suggestive accolgono chi va a vedere "Africa, capolavori
da un continente", l'eccezionale mostra che raccoglie esemplari scelti
di secoli di produzione artistica africana. La voce potente di Kourouma
continua a invitare i visitatori europei e continuerà a farlo sino al 15
febbraio 2004, data di chiusura della manifestazione, mentre lui,
Kourouma, se n'è andato a raggiungere la folla degli antenati il cui
brusio giunge indistinto, ma la cui presenza si imprime fortemente sulle
facoltà percettive. Se n'è andato il grande scrittore, straordinario per
le singolari qualità espressive, per la forza della visione, per la
capacità di narrare storie tumultuose e frenetiche in cui scorrono e si
affollano vicende africane e coloniali, personaggi storici e
fantastici, dilagando in uno stile che aveva saputo reinterpretare la
tradizione, anche la più antica, rinnovandola in un immaginario
coerente e personale, vivacissimo, stupefacente.
Ahmadou Kourouma è morto a Lione a circa 76 anni (la sua data di nascita
precisa non la conosceva neppure lui). Era nato a Boundiali, in Costa
d'Avorio, e apparteneva a un potente clan malinke. Aveva vissuto
soprattutto fra la Costa d'Avorio, il Togo e la Francia, ma aveva girato
parecchio il mondo. Dopo aver studiato a Bamako, capitale del Mali,
aveva fatto il servizio militare in patria sotto la bandiera francese -
si era ancora in epoca coloniale - e per essersi rifiutato di
partecipare alla repressione di una sommossa popolare era stato punito e
inviato a combattere con l'esercito francese in Indocina. Erano gli anni
in cui si preparava quella che poi sarà la guerra del Vietnam: il
giovane Ahmadou si trova sballottato in una realtà caotica e drammatica,
proprio come accadrà al suo eroe Birahima in Allah non è mica obbligato
(Allah n'est pas obligé, Seuil 2000), ragazzo soldato travolto
da vicende più grandi di lui, sommerso da esse, attore suo malgrado di
una guerra incomprensibile.
Ritornato in Africa, Kourouma vive
l'indipendenza della Costa d'Avorio, che insieme a tante altre ex
colonie del continente si libera dal giogo coloniale nei primi anni
Sessanta. Ma anche l'indipendenza rivela ben presto degli aspetti
pesantemente negativi: tirannia, corruzione, ingiustizia. Kourouma
reagisce, combatte contro quello che sta diventando un regime. E, mentre
per guadagnarsi la vita fa tutt'altro mestiere (diventa infatti
consulente economico finanziario), comincia a scrivere, creandosi
un'arte tutta sua, levando una voce originale e potente che continuerà a
risuonare sino alla fine.
Nel fatidico anno 1968 compare così I soli delle indipendenze (Les
soleils des indépendences) , romanzo che narra la decadenza del
principe malinke Fama Dumbuya dello Horodugu, "nato nell'oro, il cibo,
l'onore e le donne" e ridotto a vivere come mangiatore di carogne. "Ma
allora che cosa ci hanno portato le indipendenze?", dice Fama. "Nulla, a
parte la carta d'identità e la tessera del partito unico". Nella
virulenta descrizione di Kourouma viene messa alla berlina sia la
borghesia arrivista e ingorda, che ha preso in mano il destino del
paese, sia i capi tradizionali corrotti e servili, incapaci di ripensare
il proprio ruolo e abbandonare i privilegi in favore del bene comune
della collettività. Questo romanzo divenne un modello per generazioni di
lettori e di scrittori africani e rivelò subito l'imprint di una
creatività eccezionale, espressa con voce sarcastica e amara, ma anche
traboccante di vitalità.
Kourouma pagò cara l'opposizione al regime
e le scelte politiche (nel frattempo era entrato nel Partito Comunista).
Dovette andarsene dalla Costa d'Avorio, e per molti anni visse in Togo.
Passò molto tempo prima che comparisse il secondo romanzo, a tutt'oggi
non ancora tradotto in italiano, Monnè, outrages et défis (Seuil
1990). Ambientato in epoca coloniale, Monnè continua la vena di
feroce sarcasmo dell'opera prima, e Kourouma vi si afferma sempre più
come erede degli antichi griot, cantore audace e irriverente della
storia africana, e capace di denunciare i potenti ed evocare un intero
popolo, quello di Soba, il cui re Djigui Keita diviene complice del
francesi invasori (chiamati "nazareni", ossia cristiani). Qui la
tragedia dell'occupazione del territorio africano da parte degli
europei, con conseguente schiavizzazione degli abitanti, costretti ai
lavori forzati per costruire la ferrovia, procede parallelamente al
disastro causato da una geografia mitica cui Djigui rimane abbarbicato,
non potendo abdicare al concetto di centralità assoluta del suo regno in
cui si colloca la sua filosofia del mondo.
Del 1998 è il terzo romanzo, Aspettando le bestie selvagge (En
attendant le vote des bêtes sauvages) e del 2000, come si è detto,
Allah non è mica obbligato. Il primo dei due è costituito da una
esplosiva, travolgente invettiva contro una figura di orrendo tiranno
africano, Koyaga, in cui si incarnano e si identificano tante figure
della storia più recente, a partire dall'ugandese Amin Dada e da
Bokassa, grottesco imperatore del Centro Africa. La struttura si
articola in sei 'veglie' cantate dal poeta orale Bingo, sora (cantore)
della confraternita dei cacciatori che si accompagna con il suono della
cora. La narrazione ritmata di Bingo si appoggia a una figura che
funziona da spalla, o, come dice l'autore, da répondeur -- un
saltimbanco suonatore di flauto, di nome Tiécora -- e percorre la storia
dell'Africa e del colonialismo in un crescendo di orrore e di furia che
risponde però a un'importante esigenza intima, cioè il bisogno di
spiegare l'Africa a se stessa, mettendo a confronto filosofie e
mitologie.
Allah, che Kourouma dedica ai bambini di Gibuti che
glielo avevano chiesto, è l'amarissima e insensata storia contemporanea
di un ragazzo soldato sbattuto in Liberia, che esordisce con uno
sberleffo clownesco:
E per cominciare...e uno!... Mi chiamo Birahima e sono p'tit nègre. Non perché sono nero e bambino. No! Sono p'tit nègre perché parlo male il francese. Proprio così, davvero. Se si parla male il francese, si dice che si parla p'tit nègre, anche se si è adulti, anche vecchi, anche arabi, cinesi, bianchi, russi, anche americani, si è sempre e comunque p'tit nègre. Così vuole la legge del francese quotidiano.
Birahima dunque deve la propria condizione subalterna a una
subalternità linguistica. E perciò intesse il suo discorso su quattro
pilastri linguistici, il dizionario Larousse, il Petit Robert,
l'Inventario delle particolarità africane del francese in Africa nera,
"che spiega i paroloni africani ai toubab (bianchi) in francese
di Francia", e il dizionario Harrap's, "che spiega i paroloni pidgin ai
francofoni che non capiscono nulla del pidgin". Il paradossale incrocio
dei referenti inchioda subito il protagonista a una situazione ardua,
in cui si agiterà acrobaticamente durante il corso delle vicende,
mettendo in scena l'impossibilità di una condizione umana. L'idea di
incentrare la narrazione intorno a una simile figura non è nuova nella
letteratura d'Africa, e ha il suo primo e più illustre precedente nel
romanzo Sozaboy. A Novel in rotten English del nigeriano Ken Saro
Wiwa, che della vicenda di un soldier boy travolto dalla guerra
civile fece una irrefrenabile, indiavolata storia dell'Africa
contemporanea, anch'essa impastata di linguaggi ibridi e invenzioni
espressive.
Con questi due ultimi libri Kourouma ha ottenuto
successo unanime non solo in Africa, ma anche in Francia, dove gli sono
stati conferiti numerosi e importanti premi. Intanto lo scrittore aveva
ulteriormente consolidato il suo ruolo di intellettuale pubblico
all'interno del continente d'origine, unendo la propria voce a quella di
un gruppo di scrittori che si recarono in Ruanda dopo i massacri di hutu
e tutsi e ne scrissero in toni forti ed emozionanti.
Ahmadou Kourouma era venuto più volte in Italia, una prima volta a Roma
negli anni Ottanta, poi, nel 1997, ospite dell'Università di Bergamo, e
ancora, nel 2002, del Festivaletteratura di Mantova, dove aveva
incantato gli ascoltatori con le sue storie dei "mangiatori d'anime" che
stanno appollaiati in cima agli alberi, in agguato, aspettando le prede.
E infine nel giugno del 2003 aveva ricevuto il Premio Grinzane Cavour in
una cornice cordiale e festosa: è caro ricordare il sorriso e
l'amabilità dell'imponente malinke dall'alta statura e la pelle color
ebano, che spiccava vistosamente accanto al pallido e sottile John
Coetzee, anch'egli premiato a Torino.
Per chiudere ricordando la
potenza espressiva dei suoi racconti costruiti in forma di cantate
orali, e sottolinearne la bellezza inventiva e la forza morale, è bene
affidarsi alla stessa voce del caro, impareggiabile amico Ahmadou e
citarne l'evocazione finale scritta per la mostra di Torino:
Oh paleonegri, antenati del nostri antenati, alzatevi! E' a voi che voglio rivolgermi adesso. E' per voi, uomini nudi, che adesso canterò. Voi avete abbandonato tutto, i vostri campi nelle pianure, le vostre capanne, i vostri boschi con i vostri dèi. Avete abbandonato tutto per sottrarvi alle orde guerriere degli imperi, per sfuggire alle orde schiaviste. Siete partiti per cercare rifugio, per raggiungere le grotte in cima alle montagne aride e senza terra, dove avete ideato nuove coltivazioni. (...) Gli europei, dopo la spartizione dell'Africa, percorsero trionfanti le terre conquistate per sottomettere ai lavori forzati tutti i negri colonizzati. Si fermarono però perplessi ai piedi delle alture occupate dagli uomini nudi, i paleonegri (...) Ancora oggi, nell'anno 2003, si cerca di studiare e comprendere la cosmogonia complessa degli uomini nudi, dei dogon di Bandiagara vicino a Timbuctu...