Ormai ci conosciamo da qualche anno e penso che possa darti del tu. Tu scrivi molta poesia, ma anche prosa. Hai scritto tre romanzi. Quale ritieni che sia il genere letterario più confacente alla tua creatività letteraria? Oltre tutto hai scritto anche un poema, una storia in versi. Con quale di questi generi letterari senti che ti esprimi meglio?
E' una domanda che mi sono più volte posta. La risposta è sempre stata nella realtà: tento di usare vari generi perché rispondono a necessità espressive diverse. A volte immagino la poesia e la prosa come due strumenti diversi di cattura d'una preda; una rete da pesca, l'arco e la freccia. Ma che cosa si tenta di catturare? La Verità, si vorrebbe dire: ma questa parola ha un significato totalmente diverso nel mondo della scrittura, rispetto al mondo della vita umana. Con che nome chiamarlo, allora? Di che si tratta? Forse la cosa più semplice è partire dalla fine, dal che cosa avviene quando la rete da pesca sale pesante e la freccia trafigge un corpo: si prova commozione, riconoscimento, gratitudine, e ciò accade allo scrittore che scrive e al lettore che legge. E' un incontro profondo che supera i confini di qualsiasi sorta. Infatti, supera anche il confine del rapporto a due: non sono lo scrittore e il lettore i protagonisti dell'incontro. Io uso tutti gli strumenti a mia disposizione e non smetto di cercare, per il sentimento di gioia che il testo, nelle sue forme più diverse, mi permette di vivere.
So che hai frequentato scuole italiane per un breve periodo della tua fanciullezza. Quanto hai colto della cultura italiana? La conosci oppure la tua è ancora una conoscenza parziale?
Sarebbe da chiedersi quanto di una cultura si possa cogliere frequentando una scuola. Il mio parere a riguardo tende ad essere pessimistico. Se la cultura è viva e fluida, il mio ricordo di scuola è di maldestro sezionamento di corpi rigidi. Tuttavia, se per cultura intendiamo il concetto più ampio di condivisione di significati, allora non c'è dubbio che aver frequentato quegli anni di scuola mi collocano in una posizione totalmente diversa rispetto all'ipotesi di non aver avuto contatto con istituti italiani. E ciò accade non solo per il percorso didattico e i suoi contenuti concreti, ma anche e soprattutto per la possibilità di recepire interpretazioni, scambiarle, confrontarle, accettarle o rifiutarle: insomma un rapporto dinamico che la giovane età, dal mio punto di vista, agevola.
Tornando a quanto posso aver colto della cultura italiana, grazie alla scuola ma anche negli anni successivi, non c'è dubbio che si tratta di qualcosa di estremamente parziale. Avrei voluto, e desidero ancora, conoscere tanto di più.
Scrivi in italiano, ma anche in portoghese e penso che tu conosca il russo. Nella tua scrittura entrano in qualche modo questi diversi aspetti culturali? Che cosa c’è di russo nei tuoi scritti, che cosa c’è di portoghese, che cosa c’è di italiano?
Le mie prime poesie, le ho ancora, sono state scritte in russo. Non ricordo di un tempo in cui non cercavo di comporre qualche cosa, usare le parole in maniera tale da ottenere soddisfazione. Quelle poesie parlavano di animali, della bellezza della natura, dei sentimenti verso la famiglia, della gioia delle feste. Restavo colpita dall'intensità di alcuni momenti e non mi sentivo in grado di lasciarli scorrere semplicemente, senza dire qualcosa a riguardo. Intendevo la scrittura come un atto celebrativo, questo anche perché nella società in cui vivevo mi trovato esposta a molti testi che celebravano idee.
La prima poesia che ho conosciuto aveva ritmo e rima: per me sono sempre stati parte della bellezza poetica e non ho mai smesso di amarli. Dalla Russia so di portarmi dentro l'amore per la compostezza del testo, al di là del fatto che le mie poesie la contengano oppure no. E so di non avere mai perso questa buffa percezione che la poesia “celebri” qualche cosa o che vada “dedicata”.
In Portogallo ho fatto l'incontro con il teatro e ho per la prima volta inteso i testi come discorsi. Il testo non era più rivolto verso l'ignoto e non bastava come formalità. Diventava un trasportatore umile e paziente, come il carrello della miniera che, carico del ricavato in profondità, si trascina verso la superficie. Il teatro mi ha scioccato con la brutalità del discorso orale, e mi ha insegnato l'importanza dell'altro, di tutti gli altri, a cui si scrive, a cui si parlerà. Mi ha insegnato che ogni discorso è uno scambio.
Puoi avere un’idea della conoscenza che i lettori italiani hanno di te? Che rapporto hai avuto con le case editrici? Ho notato che per adesso sei stata pubblicata solo da piccole case editrici, hai cercato di avere contatti anche con qualche casa editrice più importante e se sì qual è stata la risposta?
Come, forse, molti autori, ho provato a presentare i miei lavori ovunque mi venisse in mente e senza temere di “osare”. Le risposte si palesano sulle copertine dei miei libri. Non credo si possa “convincere” qualcuno che il tuo testo vada bene a lui, se così non è. Vivo serenamente il mio percorso, credendo che l'opportunità arriva quando si è a misura di questa opportunità. Penso che non abbia senso desiderare che sia diversamente.
Sono molto onorata che le case editrici con le quali ho collaborato abbiano scelto di pubblicare i miei lavori, e ho molto rispetto per il loro impegno. Il mio ultimo libro, “Qualcosa mi attende”, è edito dalla casa editrice LietoColle e per me rappresenta un traguardo molto significativo in quanto so trattarsi di un contesto nel quale l'apprezzamento per la poesia prevale su diversi altri criteri di selezione di un autore.
Dei miei lettori non so nulla, per dire la verità, e pochissimi sono stati i contatti diretti avuti con loro. Spesso sono stata schiva e non ho cercato l'esposizione. E spesso, me ne rendo conto, questo è un errore perché limita lo scambio, che invece è prezioso. Spero che le opportunità di confronto aumentino in futuro.
Quali sono i tuoi scrittori o poeti di riferimento, se li hai.
E' una domanda molto difficile! Ho amato tanti autori in momenti diversi, scrittori e poeti. Ma il riferimento implica forse qualche cosa di statico, e ciò mi fa paura, mi sembra indesiderabile nella scrittura. Terrò quindi per me questi nomi, per non doverli ritrovare un giorno e non riconoscermi.
Riesci ad aver rapporti col mondo culturale italiano?
Forse la risposta giusta è no: non ho percezione di un rapporto e non ho percezione di un mondo. Spesso incontro nel mio percorso nuovi volti, alcuni dei quali diventano amici per poi andare in direzione diversa. Altre volte mi sento come invitata a una festa altrui e vedo, in effetti, intorno a me un piccolo universo che poi resta tale quando me ne vado. Non credo di fare parte di qualche cosa, anche se potrei sbagliare.
In Italia vi è una accesa discussione se sia opportuno o meno classificare quegli autori di origine straniera che abbiano appreso la lingua italiana da adulti oppure non avendola come lingua materna in una cosiddetta letteratura della migrazione. Tu cosa ne pensi in proposito?
Immagino che quando sorge il bisogno di classificare, ciò sia dovuto a qualche processo di elaborazione, di conoscenza, di incontro con un dato nuovo. Questo è un fatto neutrale, né positivo né negativo. Andando nel concreto, invece, mi rendo conto della complessità di tale classificazione: risultano talvolta classificati come “migranti” autori e autrici della cosiddetta seconda generazione, figli di genitori immigrati, cresciuti in Italia. Si parla di lingua materna senza valutare mai, davvero, come venga vissuta l'affiliazione a uno o un altro universo linguistico a livello interiore di ogni soggetto. Nel raggruppare questi “non madrelingua” spesso non si considera che qualsiasi individuo possiede tanti linguaggi e nel comunicare realizza sempre una scelta. In Italia, molte persone vedono nell'italiano l'idioma di comunicazione ufficiale e ne utilizzano uno diverso per tutto ciò che è intimo o quotidiano. Ma tutto questo ha rilevanza fino a un certo punto: bisogna vedere quale è la finalità della classificazione e, quando la si fa, incrociare le categorie con altre, non lasciando nessuno dentro un unico contenitore. Anche l'interesse più sincero ha bisogno di aggrapparsi a classificazioni come punto più partenza.
Conosci la rivista on-line el-ghibli? Ti pare che abbia una funzione nel panorama culturale italiano?
Conosco El-Ghibli e ne leggo spesso i contenuti. Mi piace che siano distinti per sezione, per autore, facili da accedere separatamente. Ho molta simpatia per la scelta di ispirazioni tematiche e mi stupisco spesso di come queste vengano interpretate dagli autori. La mia impressione è che El-Ghibli sia una realtà senza uguali sul web, perché non solo permette di conoscere l'universo della letteratura della migrazione ma anche di seguirla nella sua forma dinamica. Dentro El-Ghibli, infatti, questa letteratura non viene semplicemente raccolta e presentata, ma avviene. Ecco, dal mio punto di vista, la sua grande ricchezza.