E’ possibile seguire lo svolgimento poetico di Anna Belozorovitch perché al di là del periodo in cui le opere sono state pubblicate la sua produzione si sviluppa a partire dagli ultimi anni ’90.
Sul piano formale assistiamo ad una trasformazione, specialmente nella scrittura in versi di poesie che all’inizio sono proesie, cioè l’uso di prosa in forma di versi. Anche le immagini sono poche perché vi è l’urgenza dettata dalla immediatezza del sentimento che vuole erompere e non trova vie d’uscita meditata e controllata. Sono le poesie scritte nell’adolescenza o primissima giovinezza il cui tema fondamentale è quello della ingenuità e dell’orgoglio di essere e sentirsi “anima bambina”. Il controllo formale incomincia nelle composizioni successive quando il dolore fa la sua comparsa e vi è la consapevolezza che la vita non è solo un gioco o una continua innocenza ma è anche disillusione e ripiena di ingannevole speranza.
Testo fondamentale in questo periodo che è dei primi anni 2000 è la raccolta “essere pioggia” perché al centro della ricerca poetica vi è il tema dell’attesa, che non può essere considerato solo uno stato d’animo che si descrive ma in questa silloge assume l’aspetto di una vera poetica nel senso che si coglie un aspetto universale dell’essere uomo. L’attesa, sentimento che ciascuno prova prima che si avveri, realizzi qualcosa, acquista nella poesia di Anna Belozorovitch una dimensione ontologica che caratterizza l’essere uomo. E’ un momento di sospensione, di stagnazione dei processi cognitivi e sentimentali perché ferma quasi ogni moto dell’animo per qualcosa che sta per accadere o avvenire. Può anche configurarsi come un momento della vita dell’uomo quando è ripieno di speranze ed ogni istante è un’attesa per qualcosa di grande che può arrivare. Diventa perciò un momento, un tempo di gioia intensa, di godimento totale dell’essere uomo. Leopardi ne “Il sabato del villaggio” afferma “Godi, fanciullo mio; stato soave/ stagion lieta è cotesta./Altro dirti non vo’; ma la tua festa/ ch’anco tardi a venir non ti sia grave”, celebrando la fanciullezza. Anche la poetessa di origine russa potrebbe affermare la stessa cosa perché ogni compimento dell’attesa nasconde una delusione, è sempre inferiore all’aspettativa così che “l’arrivo ch’anco tardi a venir non ti sia grave”. E’ una poetica che celebra lo stato della giovinezza, dei sogni che si hanno quando la vita è ancora essa stessa un sogno, quando la vita è ripiena di speranze per un futuro che ci aspetta e che vorremmo ricolmi le nostre ansie.
La poetica dell’attesa continua e si sviluppa anche in altre sillogi, come nell’ultima intitolata qualcosa mi attende, e tuttavia la pienezza poetica di questo tema raggiunto in essere pioggia , si diluisce perché tutta la poesia è ormai intrisa in consapevolezza e coscienza. Forse solo le poesie d’amore mantengono ancora qualche aspetto della poetica dell’attesa.
A mio parere Anna Belozorovitch è ancora alla ricerca della sua più genuina poetica. Perché in lei vi sono passaggi e trasformazioni che risentono dell’età e della maturazione stilistica che non è indifferente anche nella ricerca e rinvenimento di sensi ultimi del fare poesie.
La poetica dell’attesa si risente anche nei testi in prosa, seppur meno esplicita e significativa, più che in Roberto ove qualche aspetto angoscioso fa capolino, è nel romanzo “quattro” che il senso ultimo è proprio la poetica dell’attesa. Il protagonista, Giacomo, che si era isolato ritorna nella città seguendo un innamoramento avuto come folgorazione e in questa ritrova gusto per il consorzio civile. Non sappiamo che cosa gli accadrà, ma la dimensione di speranza fiduciosa per qualcosa che può accadergli e che potrà recuperare nella vita è ormai totalmente entrato nel suo animo.
Anche nel romanzo “Deliranti” rimangono in sospensione possibili sviluppi positivi. Ad un certo punto della narrazione si parla di un’astronave i cui abitanti decidono ormai di ritornare, dopo tanti anni, sulla terra avendone visto barlumi di vita e presenza umana. Poi di questa astronave non se ne parla più. Ritornerà? Che influenza avrà sui due gruppi in lotta fra di loro? Nel romanzo non si dice, ma al lettore rimane la curiosità, ma specie l’aspettativa fino alla fine di una soluzione che può venire dall’alto.
L’attesa è anche all’interno del cupo e bel poema L’uomo alla finestra; il protagonista si confessa, ma viene il dubbio che anche il confessore possa subire la stessa sorte di altre persone uccise da lui. Accadrà, molto probabilmente, non si sa. E se venisse risparmiato, incomincerebbe la sua redenzione? Tutto è lasciato all’immaginazione del lettore.
I romanzi di Anna Belorovitch sono diversissimi da quelli che incontriamo solitamente nella letteratura della migrazione perché l’insistenza sull’analisi della psicologia dei personaggi li avvicina molto alle narrazioni dell’Europa Occidentale, inoltre gli aspetti a volte torbidi dei personaggi denotano la loro ascendenza alla Letteratura russa, a quella di Dostoevskij.
Certamente i suoi romanzi, la sua scrittura in prosa deve asciugarsi, a volte le descrizioni dei caratteri sono lunghissime e forse una maggiore economia di parole renderebbe più incisiva la stessa caratterizzazione dei personaggi.
Più significativo di tutti è forse l’ultima raccolta Qualcosa mi attende che presenta aspetti formali inusitati e geometricamente ben organizzati. La direzione poetica assunta da Anna Belorovitch va verso una dimensione che direi neo barocco, ma non di quello degli orpelli, ma di quello delle immagini ardite al limite della metafisica. Il verso è elegante, raffinato, nella ricerca della parola che maggiormente possa colpire.
La continua trasformazione ed elaborazione di temi e forme sta ad indicare un animo tendente alla ricerca della più genuina forma di poesia che possa esprimere quello che forse ritiene più significativo di ogni cosa: la ricerca della verità anche nel fare poesia.