Via Maffucci, 34
Con l'avvicinarsi della sera un raggio di luce illumina tutto ciò che mi circonda: tante cose, troppe, inutili a raccontarmi per quella che sono.
Esito ad aprire l'armadio, che è zeppo di abiti, scarpe e gioielli acquistati quando mi preoccupavo di "dover essere", e non mi ascoltavo.
Adesso le mie amiche mi dicono che non mi vesto, ma mi copro, come d'altra parte facevo quando ero bambina, felice solo di stare con gli altri e incurante di come ero vestita.
La riacquistata consapevolezza di me stessa la devo a mia madre, dopo la sua morte.
Reduce dalla guerra, si riscattò da tutte le privazioni passate comprando qualsiasi cosa e accumulandola gelosamente negli anni, convinta che il suo possesso significasse serenità. Il dolore per la perdita di mia madre fu accompagnato dalla lotta fra il rispetto del suo culto per la roba e il mio per l'essenzialità.
Con sofferta riluttanza cercai di distribuire la maggior parte delle cose a persone che le riutilizzassero, prolungandone così la loro vita e in cuor mio anche quella di mia madre.
Da questa triste esperienza è riaffiorata con forza la mia natura. Mi sono liberata del superfluo, per conservare poco più dell'essenziale, in particolare le chiavi di casa per aprire ai contatti umani. p>