Viale Jenner
Stavo affondando. La costa era ormai così lontana che non riuscivo quasi più a vederla. Il mio destino era segnato. Il gommone si era afflosciato come un fiore reciso e sarebbe rimasto a galla solo qualche minuto ancora, poi sarebbe affondato con me senza più tornare in superficie. Con l’acqua negli occhi, nelle orecchie e in gola non sapevo nemmeno più lottare fra le onde e le correnti per riuscire a salvarmi. E mi faceva rabbia vedere in quel cielo più azzurro che mai due nuvole giocare fra loro a perdersi e trovarsi con mille forme e colori diversi a ogni nuova rincorsa. La prima era un cavallo diventato farfalla e stava piegando verso est, la seconda era una mano gigante che stava perdendo forma e colore per diventare una rondine o chissà cosa. E io stupito e incantato come un bambino che vede per la prima volta le nuvole, sorridevo a queste fantasie da poeta e mi convincevo sempre più del mistero immenso e segreto che circonda e abbraccia tutto il nostro mondo creato, mentre intanto andavo sempre più giù. E le nuvole si prendevano gioco di me e mentre le guardavo continuavano la loro esibizione nel cielo. E avrebbero continuato anche quando i miei occhi non avrebbero più potuto vederle, perché la loro vita era sempre più distante e indifferente della mia che stava per finire.