El Ghibli - rivista online di letteratura della migrazione

Il Primo Incontro

Marcelo Osvaldo Vega

via Baldinucci

Arrivato in ditta al mattino presto trovai un annuncio appeso per me di fronte alla macchinetta per timbrare. “Passare dall’ ufficio del principale questa sera. Urgentemente”. In alto il mio nome e cognome bello grande, in modo esagerato, per richiamare l’attenzione di tutti.
Questa modalità d’annuncio era un brutto segno che conoscevamo: lo facevano sempre quando uno dei dipendenti combinava qualcosa di grave e stava a significare sospensione dal lavoro o addirittura licenziamento.
In tutta la mia storia all’interno della ditta non mi era mai capitato che qualcuno richiamasse l’attenzione su di me, né nel bene né nel male. Non avevo mai parlato con il principale neanche quando feci il colloquio d’assunzione.
La giornata andò via come di consueto. Sapevo che non avevo fatto niente di sbagliato, però una strana sensazione mi invadeva nel profondo. Mentre tornavamo alla sera, Rino, un mio collega rumeno mi disse:
- Ma che cosa hai fatto di così grave per metterti un cartello del genere in vista?
- Non lo so, guarda! Risposi, tentando di evitare la conversazione.
- Comunque vada, sappi che noi saremo con te per sostenerti!
- Grazie. Non ti preoccupare, staremo a vedere!
Lasciai tutte le mie cose negli spogliatoi e salii le scale degli uffici. Soltanto all’entrare mi resi conto che ero con dei vestiti pieni di malta: quel giorno avevamo gettato le fondamenta di un piazzale, nel quale poi costruimmo uno dei più bei parchi giochi per bambini della città.
La porta era semi aperta.
– Buona sera! Dissi.
Sollevando lo sguardo lentamente, il capo mi guardò per un attimo per individuarmi. Quando lo fece, iniziò a cambiare faccia.
- Apri bene la porta! E mettiti seduto! Disse con voce forte, mentre spostava indietro la poltrona dove era seduto.
- Preferirei rimanere in piedi. Risposi.
- Mi lanciò uno sguardo di traverso, inclinando un po’ il corpo in avanti.
- Vuoi spiegarmi che cazzo significa questo? Domandò mostrandomi un documento che aveva in mano.
- Che cazzo ti è saltato in mente? Sputi nel piatto dove mangi eh, eh?
- Prima cosa, a me non mi tratta in questo modo! Se mi vuole parlare, lo faccia educatamente.
- Chi ti credi di essere? Tu sei a casa mia e faccio il cazzo che voglio. Ma pensa te!
Si mise in piedi, e incominciò a dare pugni sopra la scrivania. Io rimasi immobile intanto che lui continuava a dirmene di tutti i colori. Cercava qualcosa nei cassetti della scrivania; per un attimo pensai che cercasse qualche arma.
- Si calmi, posso spiegare tutto!
Quello che cercava erano gli occhiali, che aveva in tasca nella giacca. Li tirò fuori con le mani che tremavano di rabbia.
- Dai sentiamo! Disse con tono sarcastico.
- Dopo aver parlato con l’ufficio del personale e non aver avuto nessuna risposta in merito, sono andato al sindacato a esporre il mio problema e mi hanno consigliato di farvi una vertenza.
- Questa non è una vertenza! Puttana troia, è una causa legale… cazzo! Mi hanno detto che sei laureato! Perché non usi la tua intelligenza come si deve? Che cazzo sei venuto a fare qui da noi? Ti abbiamo mai rubato qualcosa? Non ti abbiamo pagato? Hai lavorato gratis per me?
- Non ho detto questo! Semplicemente non mi avete riconosciuto per quello che faccio.
- Eh!? Cosa fai, sentiamo.
- Senta, se lei si mette a gridare e non mi lascia parlare come posso spiegarle?
- Tu non hai niente da spiegare. Adesso ti dico io come andrà a finire: rimarrai con il culo per terra e farai una brutta fine! Te lo garantisco Io! Hai commesso il peggiore errore della tua vita!
- Mi sta minacciando? Adesso esco da qui e vado dai carabinieri e faccio una denuncia.
- Cosa…? Chi cazzo credi di essere? A me nessuno si è mai permesso di parlarmi in questo modo! Ma guarda te! Se non ti stava bene, perché non te ne sei andato via?
- Perché dovrei andare via? Questo posto me lo sono guadagnato dopo dieci anni di lavoro. Se non facevo questo, non mi avresti riconosciuto neanche il contratto a tempo indeterminato!
- Eh. Lo so che non ti posso licenziare, però dammi un po’ di tempo e ti faccio fuori! E digli a tutti quelli che sono i tuoi sostenitori psicologici e che l’unica cosa che fanno è metterci il bastone tra le ruote, che li tengo d’occhio!
- Se lei si comporta in questo modo da dittatore, non si arriverà a nessun accordo.
- Eh. E chi ti ha detto che dobbiamo arrivare a un accordo?
La parola “dittatore” fu la goccia che fece traboccare il vaso. Iniziò a maledire tutti e tutto. Mi dissi che potevo essere considerato un essere indegno, che con il mio comportamento mettevo in pericolo la stabilità dei mie colleghi di lavoro, che per lui non era un problema chiudere la ditta.
Lasciai l’ufficio, mentre lui continuava a sbraitare. Ma ero sicuro che avevo fatto la cosa giusta.

Home | Archivio | Cerca

Supplemento

(ISSN 1824-6648)

Il quartiere dei destini incrociati: corso di scrittura creativa

A cura di remo cacciatori e mihai butcovan

 

Archivio

Anno 9, Numero 37
September 2012

 

 

©2003-2014 El-Ghibli.org
Chi siamo | Contatti | Archivio | Notizie | Links