Via Lugo
Sono arrivata in Bovisa nel 1973.
Erano anni caldi di storia e avvenimenti.
Era luglio e io mi ero appena sposata. La casa che avevamo trovato, con l’aiuto di Egle che abitava in Bovisa da anni, era piccola, ma giusta per noi.
A piano terreno con due finestre e due stanze, in una villetta in una strada piccolissima, con giardinetti e alberi da frutto. Un sogno a Milano.
Ho amato quella casa e la Bovisa per tanti motivi: le mie storie, il mio lavoro, la passione politica e soprattutto le persone che ancora fortemente mi tengono legata.
Stare in quella casa, in via Lugo, con gli alberi, i frutti e i fiori mi ricordava la casa dove ero nata.
Quando si nasce in campagna, con il verde, l’orto, il pollaio, forse rimane dentro la voglia di spazio e di foglie, di clorofilla da respirare.
Ricordo che mio padre quando tornava dal lavoro stava nel cortile davanti alla casa e lavorava nell’orto: io con lui imparavo ad avere bisogno della natura. Era un tipo allegro, trafficone che amava lavorare con le mani e che mi faceva divertire.
Mi piaceva anche stare da sola e guardare ciò che succedeva tra l’erba. Dietro casa c’era un alto pino i cui rami toccavano la parete della casa, un vialetto di sassolini e un prato. E io stavo a guardare le formiche che formavano una lunga fila e che dal tronco del pino scendevano ordinatamente e salivano, sempre in fila indiana, sul muro della casa. Andata e ritorno.
Mi piacevano. Ogni tanto mettevo un sassetto o una briciola di pane per interrompere l’andirivieni.
La fila si rompeva: si agitavano, chi correva avanti, chi correva indietro, quella che riusciva a recuperare bricioline di pane subito si rimetteva in fila nella giusta direzione. Io stavo lì e guardavo, avevo circa quattro anni.
Questo frammento dell’infanzia mi torna spesso in mente e, quando cerco di raccogliere indizi sulla mia vita, mi serve per giustificare la curiosità, quasi indiscreta, che ho verso le vite degli altri. Verso il loro, instancabile, andirivieni.