El Ghibli - rivista online di letteratura della migrazione

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Fiorella Pirola

Piazzale Nigra

Un anonimo palazzo rivestito di piastrelline viola, una serie di balconi incassati, un portone pretenzioso che chiudeva fuori il mondo; lassù all’ultimo piano abitava G., un single borghese in un contesto di famiglie della media borghesia.
Ecco quello che fa per me, si era detto appena l’agente immobiliare glielo aveva fatto visitare; in quel condominio non c’era neppure la portineria! Non si poteva chiedere di più.
Fino a quel momento aveva vissuto in una casa di ringhiera, dove nessuno si faceva i fatti suoi. L’odore pungente dei cibi invadeva gli spazi a tutte le ore, lui era costretto a passare davanti agli appartamenti altrui, abitati da varia umanità, e le vicine, vedendolo sempre solo, si facevano premura di portargli... ”qualcosina di buono, fatto con le mie mani, la vedo piuttosto sciupato, nulla che posso fare per lei?”. Fino a che aveva deciso e se ne era andato tra lo sconcerto di tutti, senza salutare nessuno.
Ed eccolo lassù, come in un nido d’aquila. Dal suo terrazzo si potevano vedere in lontananza le montagne dell’arco alpino, i tetti delle case più basse punteggiati di antenne. Niente altro, nessun contatto visivo con la vita che scorreva più in basso.
Un ascensore portava direttamente nel suo appartamento, il cancelletto nascosto dietro una porta mascherata da uno specchio.
Un grande spazio dove rintanarsi lontani da tutto, finalmente. L’aveva acquistata proprio per quel motivo, nonostante il prezzo fosse al di là delle sue possibilità, ma ne valeva proprio la pena, la tranquillità non ha prezzo, si diceva tutti i giorni entrando in casa.
G. non aveva mai incontrato i suoi nuovi vicini e la cosa non lo turbava affatto, anzi lo incuriosiva: era convinto che fosse più emozionante immaginare che non conoscere.
Dall’appartamento accanto al suo provenivano suoni attutiti: musica classica ascoltata a basso volume, il brusio del televisore, vocette di bimbi educati, che non schiamazzavano. Chissà in quanti erano? Che volti avevano? Erano molto giovani? O avevano avuto i bimbi in età matura?
Il suo terrazzo confinava con un altro, ma rigorosamente separato da un muretto sufficientemente alto da impedire qualsiasi contatto visivo, ma nessuno poteva costringere i profumi e gli aromi del cibo a starsene buoni buoni rinchiusi in casa.
Ed ecco allora che G. cercava di immaginarsi le fattezze di quella che per lui doveva per forza essere una casalinga dedita alla cura e al benessere del proprio compagno. Era senz’altro molto carina e ben curata.
Ad essere onesti, G. non viveva proprio da solo. A tenergli discretamente e silenziosamente compagnia, c’era Lulù, la sua amata gatta, che da quando viveva là in cima con lui aveva smesso di scappare di casa alla ricerca di avventure e si era rassegnata a passeggiare con un certo sussiego sul terrazzo.
Oggi però Lulù decide di dare una svolta alla sua nuova vita. Con un balzo, scavalca il muretto che la divide dalla libertà e scompare.
Per G. è un improvviso ritorno al passato, gli tocca, come allora, andare in giro a chiedere se qualcuno l’ha vista e la cosa lo infastidisce non poco.
Da dove devo cominciare? È il primo pensiero che gli passa per la testa; quando succedeva in quel manicomio dove viveva prima, si mobilitava tutto il caseggiato e fino a quando Lulù non tornava a casa stavano tutti in pensiero.
Adesso se la deve cavare da solo.
Attende qualche ora e siccome Lulù continua a non dare segni di vita, decide di andare a suonare il campanello della famiglia accanto a lui.
Con un po’ di imbarazzo misto a fastidio si piazza davanti alla porta blindata e suona... La signora gli chiede sbirciando dall’occhiolino chi sia. G. si presenta come il suo vicino di casa e lei con un po’ di diffidenza socchiude l’uscio e gli chiede che cosa desideri.
Lui non riesce nemmeno a presentarsi come gli piacerebbe e si limita a chiedere se per caso ha visto la sua gatta, magari sul balconcino. La signora con freddo garbo gli risponde che se ne sarebbe certamente accorta se la micia fosse passata da casa sua perché è allergica! Risolino di circostanza trattenuto, un saluto rapido e la porta si chiude.
La scena si ripete più o meno con le stesse modalità e parole davanti a ogni porta.
G. rimane sconcertato, pensa alla sua gatta, al suo desiderio di libertà, alla sua fuga dalla torre in cui è stata rinchiusa.
Improvvisamente, alla mente gli tornano i volti colorati, le voci che in tutte le lingue lo avvolgevano, i profumi che inondavano la sua casa e gli strilli dei bambini nel cortile, tutta la calda, invadente umanità che aveva lasciato e un’improvvisa e violenta nostalgia lo assale...

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(ISSN 1824-6648)

Il quartiere dei destini incrociati: corso di scrittura creativa

A cura di remo cacciatori e mihai butcovan

 

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Anno 9, Numero 37
September 2012

 

 

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