El Ghibli - rivista online di letteratura della migrazione

Il trani

Fiorella Pirola

Via Andreoli

Chi non sa cosa sia un trani? Anche in Bovisa ce n’era uno e come tutti i trani era per molti un luogo dove si incominciava la giornata e la si finiva dopo il lavoro, il posto dove, tra una partita di carte e una chiacchiera, lasciare alle spalle le brutture del mondo e i rimproveri della moglie.
Appena entrati due cose ti colpivano con la stessa violenza: la puzza tremenda del fumo delle sigarette, che ti impregnava i vestiti e ti intossicava, e la bruttezza incredibile di Giuseppe, l’oste.
Era molto basso, grasso, con pochi capelli radi sulla testa e il classico naso rosso e bitorzoluto dell’avvinazzato (non era pensabile che il proprietario di un trani fosse astemio). Parlava, anzi bofonchiava mentre tossiva, in uno strano dialetto meridionale, che non riuscivo mai a interpretare, ma che gli avventori abituali avevano ormai fatto proprio.
La bruttezza era pari al modo sgradevole di trattare con la gente.
Se la giornata girava storta, era meglio stargli alla larga, limitarsi a ordinare, il più umilmente possibile, “il solito rosso... grazie!” e raggiungere il tavolino più lontano dal bancone.
Se invece le cose andavano meglio o se non aveva litigato con la moglie (ah! già c’era anche una moglie di cui faremo conoscenza più avanti), potevi sperare in un grugnito di saluto e uno di ringraziamento quando andavi a pagare il dovuto.
Per fortuna nessuno considerava il trani come un luogo dove intrattenere discorsi profondi, dibattere dei massimi sistemi, complottare per la salvezza della Patria.
Insomma, si parlava di calcio, di donne e di motori, e quindi la presenza di Giuseppe era assolutamente in sintonia con il luogo: il vino era decente e di poco prezzo e si poteva restare per tutto il tempo che si voleva senza correre il rischio di essere scacciati. Oh Dio! il rischio in realtà c’era, perché, se l’umore del nostro amico oste cambiava, all’improvviso ogni scusa era buona per farti sgomberare il campo.
Vederlo appoggiato col gomito al bancone, con una sigaretta in bocca era uno spettacolo.
Ti sembrava che in quel momento intorno a lui ci fosse il vuoto. Fino a quando la sigaretta dava un segnale di fumo era impensabile potergli rivolgere la parola.
Tutti sapevano che per raggiungere l’altezza del banco di mescita era costretto a stare su una predella, ma nessuno osava fare stupide battute, perché sarebbe stato incenerito dal suo sguardo.
Ed ecco la moglie: la Signora Maria, anche lei corpulenta, alta dai colori chiari tipici delle donne friulane. A vederli sorgevano spontanee alcune domande, ma nessuno cercava di dare delle risposte. Era meglio tenersele per sé.
Era di carattere forte e deciso, il volto sorridente, ma dagli occhi di un pallido azzurro partivano lampi poco rassicuranti.
Parlava volentieri con chi l’avvicinava e sembrava disponibile, fino a quando qualche cosa la innervosiva e allora si ritirava nel retrobottega e non la si vedeva più.
Erano insomma una strana coppia di cui nessuno sapeva molto e che ormai da anni governava quel piccolo mondo. Lei parlava in friulano, lui in quel suo strano dialetto, eppure si capivano da più di 20 anni.
Ma...
Questa mattina molto presto, come spesso mi capita, entro nel trani con il bottiglione vuoto da riempire con quel loro denso vino rosso, che tanto piace a mio padre e dietro al bancone Giuseppe non c’è, e non sento nemmeno la sua voce borbottare nel retro. Di Maria non c’è traccia e gli avventori, appena entrati insieme a me, si guardano intorno come smarriti.
Tutto questo dura pochi minuti: ecco comparire dal retrobottega una ragazza di una bellezza inaudita, o, a pensarci bene, forse è solo una normale giovane donna, che in questo posto ci sembra essere una principessa bloccata da un maleficio in un antro squallido e fumoso. Il primo pensiero che mi viene in mente è che siamo proprio messi male, ci basta una bella ragazza per farci impallidire! Siamo una banda di disperati.
Mi viene da chiedermi: chi sarà il Principe Azzurro che la salverà?
Chi tra noi la libererà da questo incantesimo?
Io no di certo, sono ancora un pisquanello, come mi chiama mia nonna, e allora posso solo limitarmi a fantasticare.
Il silenzio si protrae per qualche minuto, poi LEI apre bocca e chiede con voce soave, o almeno così mi pare, che cosa desideriamo. Mi guardo intorno e mi accorgo che lo sconcerto è totale. Nessuno riesce ad aprire bocca; probabilmente alcuni si stanno domandando come si può chiedere un bianchino tagliato a quell’apparizione, e soprattutto a quell’ora del giorno!
Finalmente, quello che probabilmente è il più ardimentoso osa ordinare... un succo di pompelmo, grazie! Il primo succo di pompelmo della sua vita.
Lei con un certo impaccio glielo porge, dimostrando così la scarsa dimestichezza con il mestiere. Ormai il ghiaccio è rotto e tutti cominciano a chiedere indirettamente, fare domande più dirette, aspettare risposte e via discorrendo.
Si scopre così che LEI si chiama Lucia ed è l’unica figlia di quella strana coppia, che è stata tenuta lontana, che sta studiando all’Università, e che la sua presenza in quel luogo è dovuta alla necessità di sostituire temporaneamente i suoi genitori: non c’è però verso di farle dare altre spiegazioni.
Da quel giorno la vita del trani cambiò radicalmente... la stessa parola “trani” sembrava fuori luogo. Agli occhi di tutti quel locale squallido e fumoso era ormai un posto di delizie.
Lucia dispensava sorrisi a tutti, gli avventori fingevano di fare discorsi impegnati, a me tremavano le gambe alla sola idea di chiedere il solito “pieno di vino rosso”, la mia adolescenza si faceva sentire con tutti i suoi effetti...
Ci fu una incredibile impennata di consumazioni analcoliche o se proprio non si riusciva a stare al largo dagli alcolici si cercava di ordinare qualcosa di più “all’altezza”.
I più spigliati cercarono di tenere con lei una conversazione brillante, gli altri si limitarono ad annuire o a fingere di pensare.
Insomma il nostro piccolo mondo si era rivoluzionato. Cominciarono a fare capolino anche le donne, soprattutto le mogli di coloro che stazionavano a lungo nel bar. Volevano vedere con i propri occhi chi fosse l’artefice della trasformazione dei loro mariti.
Ovviamente i commenti delle donne non erano così benevoli... in fondo quella non era un granché, era una finta bionda, si dava un sacco di arie, chissà se poi si stava davvero laureando. Intanto, comunque, appena potevano facevano capolino nel locale.
Ma come tutte le più belle cose, durano solo un giorno, come le rose.
Una mattina lei scomparve così come era venuta.
Giuseppe e Maria erano di nuovo ai loro posti di combattimento. Lo sconforto si impossessò di tutti, e non rimase altro da fare che annegare i propri dispiaceri in un bel bianchino tagliato. Venne così ristabilito il giusto ordine delle cose.

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(ISSN 1824-6648)

Il quartiere dei destini incrociati: corso di scrittura creativa

A cura di remo cacciatori e mihai butcovan

 

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Anno 9, Numero 37
September 2012

 

 

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