El Ghibli - rivista online di letteratura della migrazione

Corpo a corpo

Fiorella Pirola

Piazzale Lugano

Adesso sei qui, davanti a me, prostrato, insaccato in una poltrona. Sei magro, invecchiato precocemente.
Ti guardo mentre sonnecchi.
Mi domando che cosa ci faccio io qui.
Dopo tanti anni, tanta rabbia e tanto dolore.
Che cosa provo ora per te? Nulla. O forse nulla che voglia sapere.
Intanto fisso i miei occhi nei tuoi.
Tu, Luca, il grande amore della mia vita.

Poco prima di Natale è il compleanno di Luca e come sempre gli regalai una serata a teatro, al Piccolo per la precisione a goderci Brecht, che abbiamo sempre amato tanto.
Ero fuori dal teatro per la mia immancabile sigaretta e una giovane donna dal piglio aggressivo e dall’aria di una sicura di sé, mi si avvicina e, senza troppi indugi, mi comunica di essere la madre della figlia di Luca.
Non saprei dire perché, ma non ebbi dubbi. Lo guardai negli occhi, che per la prima volta mi parvero degli specchi e non le solite pozze torbide, e capii che era vero. Fuggii via, senza dire una sola parola, lasciandolo lì, solo con lei.
La mia vita in un secondo aveva cambiato il suo corso. Dovevo solo prenderne atto, ma non dovevo smettere di ricordare. I suoi occhi smarriti. I suoi viaggi di lavoro che si prolungavano oltre il tempo. Il suo rientro piuttosto frettoloso da un nostro viaggio per un’improvvisa crisi allergica. Le telefonate troncate. Le spese esagerate.
Ora tutto acquistava un senso.
Come avevo fatto a non capire, a non vedere... e sì che le mie perfide amiche un dubbio continuavano a istillare con battutine e risolini.

Ti giri, ti rigiri, non riesci a trovare una posizione comoda.
Apri gli occhi e non riesci neppure a ricordarti dove sei.
Sei proprio messo male, mio caro, ma non ti preoccupare, qui ci sono io... che ti accudirò. Fino all’ultimo.
Fissa bene i tuoi occhi nei miei.

Seguì un periodo di vita sospesa. Continuavo a lavorare, sentivo lo sguardo poco benevolo delle colleghe, che si chiedevano cosa mi fosse successo, ma non osavano aprire bocca.
Il mio corpo non mi apparteneva più, lo guardavo da lontano; sono sempre stata una bella donna, eccitante ed eccitabile, non passavo mai inosservata e mi piaceva giocare con gli sguardi degli uomini. Osservavo da fuori il mio modo ammiccante di atteggiarmi e riuscivo a leggere con chiarezza perché tanti mi desiderassero. Allora, perché Luca mi aveva tradito?
Di Luca non ebbi più notizie in diretta. Ogni tanto si faceva vivo via mail e io non gli rispondevo mai.
Quindici anni della nostra vita spazzati via come un uragano. E il mio corpo reagiva con violenza su se stesso. Venivo presa da attacchi di autolesionismo e mi facevo male.

Cosa cerchi di balbettare?
Non muoverti, stai lì tranquillo, non ti devi affaticare.
Te lo hanno detto i medici.
Poi ritorna nel suo torpore e io ne approfitto per continuare a osservarlo.
Ma chi sei veramente?
Quali pensieri ti passano per la testa? Vorrei poterci entrare per cercare di sapere.
Ma sapere cosa? Non sono sicura di voler capire proprio tutto fino in fondo.
Intanto gli sciolgo una pastiglietta nel bicchiere e cerco i suoi occhi velati.
Luca però mi mancava e io sono sempre stata una persona che perdona, anche troppo, come non evitavano di sottolineare le mie solite amiche. E devo dire che mi sentivo anche un po’ in colpa, perché non avevo voluto mettere al mondo un suo “piccolo clone”, come desiderava lui.
Ma non ho mai avuto un forte senso della maternità.
Forse lui mi aveva punito così.
Quindi perché non riprovare, partendo da zero?
Anche di fronte a questa prospettiva il mio corpo si ribellava apertamente, mi mandava segnali allarmanti: non riuscivo più a camminare normalmente, la testa mi girava ed ero assalita da attacchi di panico. Ma ero come sorda ai suoi richiami.
Così decisi di rispondere alle sue mail e di “fare chiarezza”, mi dicevo per giustificarmi.

Chissà che ricordi hai tu di quel periodo, ti sei sentito almeno un po’ una “merda”?
O i miei attacchi isterici, come li definivi tu, ti davano un buon motivo per dartela a gambe?
È inutile sperare in una tua risposta, l’encefalopatia, come l’hanno diagnosticata i medici, ti rende fragile e inaffidabile, o, secondo me, ti dà una buona scusa per non rispondere.
Stai attento! Ti sei sporcato tutto. Adesso ti lascio così per un po’, non ho tempo per cambiarti. Ho altro da fare.
Non ti muovere.
Poi ti darò l’altra pastiglietta.
Se puoi, ogni tanto fissa i tuoi occhi nei miei. Se te la senti.

p> C’era una persona nuova, ferita e disgregata.
Mi sentivo fragile come un cristallo e il mio corpo reagiva accusando tutti i dolori possibili.
In quel periodo finii più volte al pronto soccorso, per non precisati disturbi, di cui non si riusciva a venire a capo.
Però tu eri tornato da me, a coda bassa e pronto a trovare il modo di farti perdonare, e a me bastava. Potevo ricominciare a prendermi cura di te.
Intanto tu avevi altrove la tua bambina e io nel mio connaturato masochismo ero disposta a conoscerla e ad aiutarti.
Ma i segnali inquietanti che venivano dal mio corpo, che ha sempre dimostrato di avere più cervello di me, non cessavano.
Passarono così alcuni mesi e ci si avvicinava di nuovo al Natale, momento già normalmente devastante, dove si deve fingere di essere felici, e che questa volta avrebbe assunto i toni della tragedia greca, se non fossi stata attenta.

Cosa stai facendo?
Perché ti alzi?
Non vedi che ti tremano le mani e le gambe?
Ci penso io a te, proprio a tutto, stai tranquillo seduto, ti accendo la radio se vuoi.
Non la televisione, altrimenti non puoi tenere i tuoi occhi agganciati ai miei.
Adesso ti porto una pastiglietta.

Faticosamente riuscimmo a organizzare un viaggio proprio nel periodo natalizio, cosa che ci avrebbe permesso di stare alla larga dai parenti e di parlare un po’ di noi.
C’erano un sacco di domande che volevo fargli e tante risposte che pretendevo di avere da Luca. Era un mio diritto.
Il mio corpo mi dava tregua, avevo smesso praticamente di mangiare, ma non avevo disturbi.
E la linea mi donava.
Con una certa ritrovata serenità, ci avviammo all’aeroporto di Linate, pronti per qualche meritato giorno di vacanza.
Luca andò a portare l’auto al garage, mi disse di andare direttamente al check in e di prepararmi all’imbarco. Lui mi avrebbe raggiunto di corsa.
Sentii una fitta premonitrice, ma decisi di non darle retta, almeno per ora.
Mi avviai verso l’imbarco e prima di spegnere il cellulare, mi trovai un sms di Luca che mi augurava buon viaggio e mi chiedeva perdono.

Non gridare, così ti sfiacchi sempre di più.
Adesso ti porto qualcosa da mangiare, senza sale, senza olio, senza nulla di gustoso, te lo ha prescritto il medico.
Ti darò una mano a imboccarti, altrimenti ti conci da buttare via e poi così possiamo fissarci negli occhi. I miei sono gelidi, i tuoi assolutamente frastornati.
Poi ti porterò la pastiglietta rosa.

Da allora non lo rividi più per quasi un anno e quando lo incontrai accidentalmente era al parchetto di via Livigno. Teneva per mano una splendida bambina e spingeva una carrozzina con un “piccolo clone di Luca”.
I figli nel frattempo erano diventati due.
La mia reazione fu terribile: mi accasciai per terra in istrada, dalla bocca usciva bava, le membra si muovevano in modo inconsulto. Luca fuggì, fingendo di non conoscermi e fui soccorsa da passanti. Gridai loro di lasciarmi perdere, presi un taxi e mi rintanai a casa mia. Per lungo tempo.
Presi aspettativa dal lavoro, mi chiusi in casa e staccai il telefono. Il vaso di cristallo era andato in frantumi e io ero sbriciolata.
Dovevo fare qualcosa per me.

Ecco lì di nuovo che cerca di alzarsi, sa che non ci riesce, ma non avendo tutte le funzioni cerebrali a posto, non se ne rende conto. Quando si muove fa disastri, non ricorda dove si trova, spesso non sa chi è.
Ma ci sono io a ricordarglielo.
Ad accudirlo.
A fissarlo negli occhi sempre più smarriti, con occhi sempre più glaciali.
E soprattutto non mi dimentico mai le pastigliette.

Mi dedicai al volontariato, tornai a viaggiare, ripresi contatti con amici che mi invitavano da loro, ritrovai qualche vecchio spasimante con cui riuscii a passare qualche notte, francamente da dimenticare. Il mio corpo ricominciava a diventare tonico, grazie anche alla palestra, e tornai ai miei vecchi interessi.
Ma le storie a lieto fine non esistono.
Venni chiamata dall’ospedale in cui Luca era stato ricoverato in grave stato, volevo urlare di no, che aveva una famiglia, che aveva dei parenti, che io non ero nessuno per lui, che volevo essere lasciata in pace, ma l’urlo si strozzò e chiesi semplicemente dove si trovasse. In mezz’ora ero da lui ed ora lui è qui da me.

Mi chiedo, guardandolo, se quello che provo per lui è una certa malata forma di bene o che altro sia.
In verità so che lo odio dal profondo del mio cuore. Me lo dice il mio corpo, che si contrae spasmodicamente quando mi avvicino, come non volesse che io lo toccassi.
È un segnale che non vuole proteggere me da lui, ma lui da me.
Il mio corpo sa che cosa sarei in grado di fare a quell’uomo che ho tanto amato, ma che ora è in mio assoluto, totale potere. E cerca di farmi stare lontana da lui. Tremo, le mani diventato deboli, la testa mi gira. Peso 40 chili, non ho forza, ma lo voglio vedere morto! E ci riuscirò! Anche Luca lo sa, me lo legge tutti i giorni negli occhi.

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(ISSN 1824-6648)

Il quartiere dei destini incrociati: corso di scrittura creativa

A cura di remo cacciatori e mihai butcovan

 

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Anno 9, Numero 37
September 2012

 

 

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