El Ghibli - rivista online di letteratura della migrazione

Racconti con la cruna - L'immagine di Maria

Giovanna Del Grande

Via Amilcare Bonomi, 1

Mi sono sempre chiesta per quale motivo, nella sartoria tradizionale, distinguono rigorosamente le mansioni femminili da quelle maschili.
Quel giorno Elena, l’assistente sociale, mi comunicò un appuntamento per le 10 del giorno seguente con un certo Carlos e aggiunse che avrei dovuto chiamarlo Maria.

Da Carlos a Maria il passo è breve.

Salutai Elena senza lasciar trasparire la mia perplessità mentre, dietro ai miei occhi, appariva Carlos con una folta chioma di capelli neri cotonata e vaporosa seguita da tacchi vertiginosi e fuseaux luccicanti. In pratica, l’icona della drag queen.
Il giorno seguente alle 9.45 bussarono alla porta dell’aula CUBO, era Carlos, anzi scusate, Maria. Entrò, presentandosi, mi strinse la mano e, incontrando il mio sguardo, abbozzò un timido sorriso. Ebbi la sensazione che volesse scusarsi della sua presenza, così le chiesi subito di parlarmi delle sue aspettative riguardo al corso di sartoria.
Durante i colloqui, per meglio intrecciare i fili del discorso, mi piace l’idea di stare uno perpendicolare all’altro seduti all’angolo del tavolo, quasi coincidente con quello dell’aula CUBO. Maria iniziò a raccontarsi parlandomi in portoghese che, cosa insolita, mi parve di capire alla perfezione. La conversazione era piacevole, quindi le chiesi di darci del tu, ma quando usi la seconda persona singolare devi scegliere… maschio o femmina? Andai così immediatamente a sbattere contro il mio dilemma. Carlos aveva mani da uomo con le dita ingiallite dal fumo di sigaretta e Maria un’acconciatura sobriamente femminile come l’abbigliamento e le sue movenze. Senza accorgermene mi trovai ad alternare maschile e femminile come una perfetta idiota.
Fortunatamente lei non ci fece caso o forse, intuendo il mio imbarazzo, continuò a parlarmi con tono amichevole.
Stavo sbagliando tutto, interpretavo la piccola borghese con tutte le sue ombre e i suoi tabù, mentre di portoghese non capivo più una sola parola. Per superare lo stallo, decisi di concentrarmi sul suo volto. Notai le rughe d’espressione, molte, sulla pelle avvizzita color ambra. I capelli erano raccolti, tinti di un anonimo castano, i denti mancanti e quelli malconci incorniciati da labbra perfette che parevano disegnate. Sulle ciglia un mascara leggero esaltava un dolcissimo sguardo femminile che emanava luce e lampi di dolore al tempo stesso.
Maria era tornata!
Ritrovando la calma, ripresi a capire quel che mi diceva; desiderava imparare a cucire molto bene per crearsi un lavoro indipendente. Il suo sogno era di fare riparazioni di abiti, come sua madre in Brasile, e così fu.

Dopo alcuni mesi di corso nell’aula CUBO, Maria comprò una macchina per cucire e iniziò con orli di tutti i tipi. In realtà le sue cuciture non erano mai molto precise, ma stirava divinamente. Più ci penso e più mi convinco che la gentilezza era la sua arma segreta, ancor più del ferro da stiro. Il suo modo di parlare con calma e sorridere anche davanti all’errore era unico. Quando cuciva tutto le andava bene, ormai era al sicuro, a volte raccontava di quando era piccola altre di quello che capitava nell’orrendo condominio milanese dove viveva; storie di violenza inaudita che sempre la commuovevano.
Un giorno arrivò con gli occhiali scuri e stranamente si mise a cucire senza dire una parola. Notai che le sue mani tremavano e che il povero ago proseguiva sul tessuto quasi zigzagando. Durante l’intervallo decisi di chiederle cosa fosse accaduto. Maria tolse gli occhiali e disse: “Non ho dormito, nel mio condominio polizia tutta notte, tutti urlano”.
Avevo ascoltato altri racconti su quel posto che immaginavo come una lugubre torre di colore grigio scuro. Narravano di ladri, spacciatori, cattiveria e sadica arroganza. Mi feci coraggio e le chiesi il perché della sua notte insonne.
“In un monolocale hanno violentato una ragazza straniera per ore. Erano tanti, almeno sei”.
Non aggiunse altro e scoppiò in un pianto angoscioso che pareva sgorgare da un pozzo profondissimo.
Il dolore, uno solo, ci strinse come una corda fino a farci mancare l’aria per poi riprendere, insieme, a respirare.
Da quel giorno cucire accanto a lei fu come stare seduti sotto una quercia.

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Supplemento

(ISSN 1824-6648)

Il quartiere dei destini incrociati: corso di scrittura creativa

A cura di remo cacciatori e mihai butcovan

 

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Anno 9, Numero 37
September 2012

 

 

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