El Ghibli - rivista online di letteratura della migrazione

Racconti con la cruna - Filò

Giovanna Del Grande

Via Amilcare Bonomi, 1

Grotte, tipì, stalle, salotti aristocratici, vecchie e nuove aule scolastiche, cucine, stanze desolate, laboratori silenziosi; da millenni porto un filo interminabile che nessun taglio può interrompere.

Sento finalmente aprirsi la cerniera ed entrare aria in questo vecchio astuccio.
I pezzetti di gesso non si contano e hanno sporcato di colore rosa e verde tutti gli altri attrezzi. .
Un groviglio di fili appallottolati mi trattiene: spilli, bottoni, ganci, ma, come sempre, nonostante il caos, a presentarsi al meglio sono “le forbici da sartina”. .
Pare che senza di loro sia impossibile vivere. Sono precise e inesorabili soprattutto nel separare ciò che io ho unito. .
Tutte le altre forbici sono impugnate dal manico, ma loro no, dalle lame! .
Chi le usa è costretto a lavorare veloce, prestando la massima attenzione, col sopracciglio inarcato per meglio mettere a fuoco i punti da disfare.

Uscito da questo contenitore polveroso, io i punti li metto; decoro, rifinisco, unisco e qualche volta pungo. .
Trovarmi, nella confusione non è facile per questo motivo, modestamente, sono trattato dai più esperti con una certa attenzione. .
Tengo molto alla mia forma che orgogliosamente mantengo da circa 30.000 anni e mai potrò cambiare. .
I giovani designer dovranno rassegnarsi!

Ho testa appuntita e coda forata, il mio elemento primordiale era l’osso, ora scivolo veloce tra la trama e l’ordito, grazie all’acciaio.

Lavoro a Milano, in una scuola di Dergano, un grande edificio degli anni '30 che ha visto passare centinaia di bambini e ora riceve solo adulti.

Oggi nell’aula CUBO è partito un nuovo corso e so che tante dita mi stringeranno nel tentativo di mettere insieme tessuti e sogni.

Aspiranti sarte e sarti, utilizzandomi, cercheranno di crearsi nuove possibilità di lavoro, momenti per raccontarsi o semplici attimi di solitudine rigenerante.
Tutto è possibile, anche se spesso mi chiedo da dove parta la spinta della mano per essere così unica e decisiva.

Il test d’ingresso ha inizio.

Finalmente uscito dall’astuccio, le prime dita ad afferrarmi sono quelle dell’insegnante. Dopo aver spiegato come potermi spingere al meglio, con tono di voce amichevole suggerisce al gruppo una sorta di tortura, probabilmente per creare una certa suspance: in pratica legarsi il dito medio e tenermi tra indice e pollice. Tutto questo aiuterebbe a sentire la mia posizione sul ditale.

L’unica a farsi una risata è una donna cinese, Jinmei, perché nel suo paese il ditale ha una forma leggermente diversa: è un anello, che appoggia alla seconda falange del dito medio e di conseguenza anche la mia coda. Il giochetto per lei è del tutto inutile, ma se non altro la diverte.

Alì, un ragazzo afgano che di cucito ne sa forse più di tutti i presenti, non fa una piega e infilando un filo rosso nella mia cruna, inizia una cucitura.
Il mio compito ora è di cucire con un punto di rifinitura al margine del tessuto, ma è anche quello di far fare bella figura ad Alì che, assunta la posizione del sarto, con presa decisa e massima concentrazione, mi fa procedere con armonia. Nell’avanzare percepisco nettamente la sua attitudine meditativa.
Sono certo che le sue mani lavoreranno giacche di Vicuña.

Terminata la rifinitura, con gentilezza, Alì mi passa a una giovane pakistana.
Accanto a lei siede la sorella maggiore, “la ricamatrice”.
Zeinesh mi prende tra le dita, ma la sua mano sudata e tremante mi fa pensare che tra poco cadrò a terra.
Fortunatamente si avvicina l’insegnante con un nuovo filo da inserire nella cruna e la ricamatrice è costretta a spostarsi, lasciando Zeinesh libera dal controllo.
Quanta fatica per trovare il punto giusto dal quale spingermi! Bisogna dirle al più presto che l’indice e il pollice non servono a questo, ma solo a tenermi stretto e darmi la giusta direzione e poi… il medio legato per lei è una vera tortura.

Bussano alla porta.

Con gesto stizzito, sono pericolosamente abbandonato sul tavolo, vicino alle “forbici da sartina” che stanno lì, nell'attesa di disfare.
Basta niente e sarò perso.
Jinmei mi vede, forse grazie al filo rosso, e con fare noncurante mi appunta sul puntaspilli… Sono salvo!

Entra Sara, una giovane nigeriana che si unisce al gruppo, guardando sospettosa il dito legato dei partecipanti.

La ricamatrice sfiora la mia cruna, si lascia scivolare il filo rosso tra le dita ma al termine lo blocca, lo sfila e lo getta a terra.
Dice di essere già esperta di cucito, lei desidera solo imparare a usare le macchine da cucire industriali, quelle veloci.
Lì l’ago non è spinto dalla mano e il pensiero si ferma solo alla ricerca della miglior tecnica da utilizzare per un lavoro preciso nel minor tempo possibile.
In seguito aggiunge che, già da bambina, il ricamo riempiva le sue giornate, anche se avrebbe preferito di gran lunga studiare.

Ora tocca a Sara. Senza nemmeno chiedere il perché di tante dita legate, si lega il medio, inserisce il filo rosso nella cruna e parte con un punto lunghissimo che io stesso non ho idea di dove possa portarmi. La sua mano è nervosa ma molto decisa, mi stringe al punto di stortarmi. La sua partenza lanciata a poco a poco si sta ridimensionando e pare stia capendo da sola come usare la mano e il ditale.

Terminato il filo, mi passa all’insegnante con fare soddisfatto.
Sara ha deciso. Lavorerà nella sartoria più famosa della città.

Nagwa, la donna egiziana, ha già pronta una gugliata che lei stessa ha tagliato, non vede l’ora di cucire. Ha difficoltà con il ditale, ma con me è un’autentica simbiosi. Il suo gesto è lento, la sua mano affusolata prosegue con fermezza e la cucitura, questa volta un’imbastitura, risulta molto ordinata e regolare.
Inserisce altro filo nella cruna e con estrema calma mi passa all’ultimo partecipante.

Luca, un ragazzo italiano che dice di non aver mai tenuto l’ago in mano, mi prende con timore ma, pare, anche con rispetto. Faticosamente procede con punti piccolissimi e storti fino a terminare il filo.
Devo ammettere che sarà forse necessario l’intervento delle “forbici da sartina”.

Il mio compito è terminato, con la punta inserita nel puntaspilli, torno nell’astuccio.
Il test proseguirà con la prova delle macchine da cucire, ma quella è tutta un’altra storia.

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(ISSN 1824-6648)

Il quartiere dei destini incrociati: corso di scrittura creativa

A cura di remo cacciatori e mihai butcovan

 

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Anno 9, Numero 37
September 2012

 

 

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