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Intervista di Irene Coggi

Irene Coggi

Intervista di Irene Coggi studentessa.

“Fiamme in Paradiso” racconta la storia di Karim, un giovane algerino che decide di lasciare il suo paese per venire in Italia, un paese che pensa più aperto dell’Algeria. La realtà che lo attende è però diversa. Infatti per gli immigrati clandestini la vita nella metropoli è molto difficile; ma la delusione più grande per Karim viene quando scopre che gli altri immigrati mussulmani che incontra alla moschea hanno una pessima opinione dell’Italia. In questo romanzo Smari Abdel Malek descrive la situazione degli immigrati e delle comunità islamiche osservandole dall’interno e senza pregiudizi.

Cosa l’ha spinta a lasciare il suo paese?

Ci sono un’infinità di motivi per ogni aspetto delle nostre azioni o decisioni in quanto esseri umani. Inoltre, tutti i motivi non saranno mai d’uguale valore per tutti i miliardi di esseri umani, vuoi perché siamo un’infinità di casi, vuoi perché siamo un’infinità d’esseri sparsi nel tempo o nell’eternità, vuoi perché spesso non sappiamo con certezza e chiarezza cosa, né come, né quando, né perché vogliamo o facciamo delle cose. Perciò il motivo che sembra pertinente nel caso del mio amico, non può essere determinante nel mio caso. Eravamo quattro amici, all’inizio dell’anno 1992, che abbiamo deciso di andare in Italia. L’Italia fu l’unico elemento comune a noi quattro. Ognuno aveva un motivo diverso: uno di noi veniva già qui in Italia non tanto per lavorare quanto per far vedere che era in grado di viaggiare. Il secondo pretendeva di voler lavorare ed aiutare il commercio che aveva (faceva il fruttivendolo). Dopo un mese ritornò a casa sua. Il terzo aveva sperimentato un’ingiustizia sul lavoro (la fabbrica dove voleva lavorare non lo aveva accettato nonostante la sua competenza, preferendo altri a lui) ed aveva deciso quindi di andarsene. Non importava dove, pur di non restare in Algeria. Io invece sono venuto qui con il sogno di poter fare - nel giro di due anni al massimo - un po’ di soldi, che mi avrebbero permesso di trasferirmi in Francia per proseguire i miei studi post-laurea.

Cosa ha fatto, dove è andato quando è arrivato in Italia

?

Ti parlavo della storia di quattro amici. Se il nostro viaggio era avvenuto nell’arco del 1992, la data precisa che ognuno si era scelto era diversa. Soltanto l’amico in cerca di un lavoro si era stabilito in Italia e fu il primo a fare il viaggio. Io sono giunto in Italia quasi alla fine dell’anno, quindi ero ultimo. Questo significa che non ero pronto. Vuol dire anche che, innanzi all’angoscia del viaggio, ho preferito aspettare il risultato degli altri: così ebbi la fortuna d’essere ospitato ed iniziato dal mio amico alla vita milanese senza grande fatica. Fu lui a parlarmi dell’esistenza di una scuola serale in cui s’insegnava l’italiano agli stranieri. Questa scuola era stata fondata dall’associazione culturale La Tenda. Non aspettai tanto: già dal primo giorno della seconda settimana mi ritrovai nella scuola di via Catone a seguire la prima lezione d’italiano. Intanto continuavo ad errare nelle lunghe strade nebbiose di Milano. senza pensare a trovarmi un lavoro: volevo prima conoscere un po’ il posto, la gente, la lingua ed i costumi. Cominciai a lavorare per la prima volta due mesi più tardi, facendo il volantinaggio per le agenzie di viaggio.

Quali sono adesso e quali sono stati, quando è arrivato, i suoi rapporti con la comunità islamica? Se sono cambiati, perché sono cambiati e cosa li ha fatti cambiare?

Devo dire che questa domanda è molto bella, ma è anche molto ambigua. Quindi devo rispondere ad essa in un modo approssimativo. Non ho mai conosciuto un’entità che si chiami “comunità islamica”, ma delle persone fra cui c’erano anche dei musulmani. Ho sempre visto nell’altro più figure: alcune persone sono simpatiche, altre antipatiche, altre ancora insulse e cretine, altre pertinenti e sensibili… È ovvio che poi i giorni e le varie necessità della vita saranno essi stessi a determinare la lunghezza o la brevità dei legami. È ovvio anche che più uno conosce delle persone nuove, più ha tendenza a mettere in questione, se non a trascurare le vecchie conoscenze, facendo una specie di selezione. Poi c’è il lavoro, la compagna, la vita privata… tutto ciò incide sulla costanza e la durata dei rapporti che abbiamo con i nostri simili.

Quando e come le è venuta l’idea di scrivere un libro?

Scrivere è sempre stata una passione per me. Da piccolo già sognavo di fare lo scrittore, ma mi mancavano gli strumenti. Sono figlio di una famiglia che non aveva nessuna tradizione o esperienza diretta in materia di cultura colta (letteratura, musica, teatro e scienza). I miei familiari erano come tutti gli algerini a cui la Francia coloniale non aveva insegnato nient’altro che la povertà, l’ignoranza, l’umiliazione, l’imbastardimento culturale e linguistico, insomma il sottosviluppo assoluto. L’Algeria indipendente ha democratizzato l’insegnamento e così milioni di bambini e bambine ebbero la possibilità di alfabetizzarsi e di istruirsi e crescere nella dignità e nella libertà. Fui uno di questi bambini, a cui si erano aperti gli occhi sul mondo moderno della cultura colta e sui valori della giustizia, della libertà e della dignità. A vent’anni circa ho cominciato a pensare alla scrittura, ma ho dovuto aspettare un po’, il tempo di capire il mondo della scrittura e della pubblicazione. E poi siccome in Algeria il francese era ed è tuttora considerato come una seconda lingua nazionale, mi trovai davanti al dilemma seguente: scrivere in arabo o in francese? Con fatica e animato dallo spirito di ricerca, riuscii a risolvere il dilemma. Il primo scritto fu un racconto breve sotto forma di lettera. Lo scrissi in lingua araba. Seguirono poi una serie di altri brevi racconti e degli abbozzi di romanzo, sempre in arabo. C’era anche uno spazio per delle poesie, ed è qui che il francese si era fatto vivo: a volte la poesia mi veniva in arabo, a volte in francese. Quando arrivai a Milano avevo con me un quaderno in cui tenevo un diario. Sullo stesso quaderno scrivevo anche delle poesie o degli abbozzi dei racconti. La scuola che mi ha insegnato l’italiano mi sollecitò a scrivere qualcosa da presentare ai cicli della Narrativa nascente, cioè la promozione delle opere letterarie scritte dagli stranieri in italiano. Mi poneva però la condizione che lo scritto fosse in italiano. Accettai, pensando di proporre il mio diario ma, per preservare la mia privacy, cambiai idea e pensai ad un racconto di fiction: “Fiamme in paradiso” Quando lo scrissi, pensavo di lasciare agli algerini uno strumento che li spingesse ad uscire dalla mediocrità: era quindi rivolto a un pubblico arabo. Non pensavo di riuscire a pubblicarlo e non comprendevo perché un italiano dovesse andare a cercare qualcosa nel mio libro. Ero lungi dal pensare che Milano ed i milanesi descritti con il mio linguaggio e la mia sensibilità potessero svelare tante delle loro realtà magiche nascoste.

Come mai ha scelto il titolo “Fiamme in paradiso”?

L’idea di questo titolo mi venne un giorno così, all’improvviso: la ghorba o la vita lontana dal proprio paese non è sempre facile. I pregiudizi, le legge, l’ignoranza ed altre condizioni e realtà dure creano spesso dell’ostilità. Ed essa a sua volta genera marasma, disagi e delusioni. All’uomo sensibile - che vede nella vita una preziosa e rara occasione d’essere e di provare la gioia e la poetica dell’esistenza – viene dell’amarezza quando si rende conto che invece la vita vera e reale, a causa della stupidità umana, è un inferno. Da qui a pensare questa realtà con l’immagine di fiamme che divorano il paradiso della gioia e della poetica della stessa vita il passo è breve.

Pensa mai di tornare in Algeria?

Dato che la vita moderna ci ha facilitato gli spostamenti da un paese all’altro, da un continente all’altro, io non mi pongo più il problema del ritorno o meno in Algeria. Ho la possibilità di andarci quando voglio e di rimanere quanto voglio. Sono sempre il benvenuto. La stessa cosa penso per quanto riguarda l’Italia, per cui non ho bisogno di preoccuparmi più di tanto di dove mi trovo. L’importante è la mia tranquillità.

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Supplemento

(ISSN 1824-6648)

Abdelmalek Smari: il poeta della liberta'

A cura di raffaele taddeo

 

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Anno 9, Numero 36
June 2012

 

 

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