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considerazioni generali

raffaele taddeo

La prefazione al romanzo per chi crescono le rose si apre con queste parole: “Quanto tempo deve scorrere per mettersi alla pari con i propri ricordi, dimenticare le cose che ci hanno ferito e guarire dal proprio passato?” E’ una aspirazione naturale quella dell’oblio, della cancellazione dei propri ricordi, di quello che ci è accaduto, perché si vorrebbe sempre ricominciare da capo, ma come non né possibile ritornare vergini, neppure nello spirito, perché tutte le nostre azioni ci segnano con rughe che neppure il botulino riuscirebbe a far scomparire, così il passato continua a ritornare. Per cui – si legge nella stessa prefazione – “non si sfugge al proprio passato. Non si dimentica. Ma si può cercare di comprendere e mutare le cose peggiori in preziose lezioni che, dopo tutto, ci hanno fatto crescere in un modo così diverso”.
In queste righe è possibile rintracciare l’ansia della scrittura, ma anche il nucleo originario della ricerca poetica di Ingrid Beatrice Coman. Sono due aspetti che si rincorrono, si sommano e a volte si irretiscono.
Da una parte è sotteso un senso quasi civico di riproporre il passato che diventi esemplarità per il presente. Occorre non dimenticare perché diversamente può ripresentarsi un presente foriero di riproposte da aborrire. Dall’altra il passato diventa la risposta ad un richiamo di poesia che proprio perché tale necessita di distanziamento che ne attutisca gli effetti. Coinvolgimento, rabbia, scrittura per protestare per quanto c’è stato e per chiedere che non ci sia più e contemporaneamente una rielaborazione spirituale che porti il passato a diventare poesia e non invettiva.

Tutti i romanzi della scrittrice di origine romena sono pervasi da questa ansia, così è nel primo romanzo La città dei tulipani ove i protagonisti sono segnati nella loro vita dal passato, ma è il ricordo che a volte può riportarle in vita, è il ricordo che in sé è la morte e la vita perché i misfatti, le violenze subite nel passato rischiano ricordandole di distruggere, ma contemporaneamente è lo stesso passato nel ricordo che sovviene a dar forza. Così per Shakeeda ove la musica, quella che aveva ascoltato, sulle note della quale aveva ballato “le scivolava dentro come una droga, le entrava nel sangue e le stringeva il cuore in una morsa”. Ma è così anche per Daoud, bambino strappato dalla gioia infantile degli aquiloni alla crudeltà della guerra. E a lui è la tenerezza della madre, con la quale si era mostrato duro, a venirgli incontro nel ricordo e a lasciargli nell’animo quella capacità di intenerirsi, sentimento che poi lo salverà.
Il ricordo, il passato è la struttura fondamentale del secondo romanzo Tè al samovar. Scrive Maria Cristina Mauceri nella recensione fatta a questo romanzo ”Tè al samovar è un romanzo incentrato sulla memoria e il ruolo del ricordo si riflette anche sulla struttura del romanzo.” Gli oggetti fanno da mediazione e diventano taumaturgici perché sono capaci di far rielaborare le sofferenze subite.
Dell’ultimo romanzo Per chi crescono le rose il passato come substrato è già affermato nella prefazione.

Fino a questo momento l’attenzione della Coman ha privilegiato quei momenti di passaggio da situazione di buio storico di un paese a spiragli di luce, così in La città dei tulipani viene colto il momento dopo l’intervento americano e la possibilità di un percorso diverso di storia. Nel secondo romanzo sembra vivere il momento in cui anche nell’Unione sovietica incomincia quel ruolo della gladnost e perestroika, che porta alla liberazione dei dissidenti e quindi alla speranza di un nuovo periodo storico con rinnovata fiducia. (Nella quarta di copertina della raccolta Non spegnete la luce, si dice che il periodo raccontato del romanzo Tè al samovar è quello della Russia sovietica degli anni ’50). Nell’ultimo romanzo si coglie il momento della liberazione della Romania dalla dittatura di Ceausescu.

Il privilegiamento di questi momenti storici risponde sostanzialmente all’assillo della funzione del passato nel pensiero della Coman. Tutti i romanzi si chiudono con soluzione positiva, perché non può essere altrimenti nel se nelle vicende raccontate si coglie il momento del passaggio a nuove speranze di percorso storico sociale. Così però sottrae tragicità. Significativa allora diventa la sperimentazione dei racconti nel cercare altra poeticità oltre quella ricercata nel romanzo. Anche quando la scrittrice si allontana dal tema del passato e del puro ricordo la poesia sgorga piena così come in Macchia Bianca e Non ti aspettavo più, racconto in cui forse una maggiore sobrietà nel finale l’avrebbe resa di eccelsa poesia.

Anche le poesie confermano in parte questa linea di ricerca poetica. Si prenda ad esempio la poesia La mia pelle, vi si legge: “ Lavami la pelle, madre, /Come un abito macchiato /Di un futuro che non voglio/E indelebile passato.” E’ evidente l’assillo del passato, che è indelebile, con il quale bisogna fare i conti e pur se riferito ad un nero ciò non esclude che il problema del passato sia universale, valga per tutti gli uomini, per tutti coloro che hanno sofferto e proprio perciò se lo rivedono costantemente davanti.
Tutte le poesie, poche per poter rintracciare una consistente poetica fanno emergere da una parte l’attenzione alla struttura formale. Esse sono rimate a rima baciata o a rima alternata, salvo una Una cartolina da Bagdad, il cui tema non permetteva forse di insistere con la rima. Per la Coman l’organizzazione formale dà il senso della pulizia, della veridicità della ricerca poetica. Sembrerebbe che per la scrittrice di origine romena sia la rima a determinare verso e sonorità al fatto poetico. Ma al di là della forma, la cui pulizia è possibile intravedere anche nei suoi romanzi, le poesie fanno scorgere una ricerca poetica più attenta ai fatti storici, agli avvenimenti della storia contemporanea. Ingrid Beatrice Coman scrive in prosa, in versi, per significare “il male” della nostra epoca storica o di quella appena “passata”. Tutti gli scritti si costituiscono su tematiche legate alle vicende della nostra società ove l’uomo continua a soffrire, continua a patire. E’ questa la condizione della donna costretta nel burga, è questa la situazione dell’immigrato, è questa l’esperienza del mutilato per un attentato a Bagdad. Da questo poi la considerazione della Coman sembra spostarsi alla condizione generale dell’uomo, visto nella sua solitudine, inconcludenza nella quotidianità della sua vita. Tema emerso nel testo teatrale ma anche nella poesia La sera sul treno.

Siamo di fronte ad una scrittrice che sta mettendo nella pentola della sua creatività un po’ di materiale e sta cercando di sperimentare quale di questo può dare la serenità, calma e pacificazione, la totale poesia, anche se il tormento del male del mondo e della società è l’humus su cui si costruisce ogni vera ed autentica poesia.

Attualmente si sta impegnando nella scrittura in lingua inglese. Forse è una stanchezza della lingua italiana o tende ad aprire e sperimentare nuovi orizzonti linguistici?

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Supplemento

(ISSN 1824-6648)

Ingrid Beatrice Coman:La memoria del passato come ricerca poetica

A cura di raffaele taddeo

 

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Anno 8, Numero 34
December 2011

 

 

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