Dileggiato, vilipeso, commiserato è ormai il riporto e chi osi sfoggiarlo. Ma quell’antico espediente del calvo che non si rassegna a esser tale – almeno dai tempi di Giulio Cesare, il cui sembiante ci è stato tramandato completo di riporto in avanti – è per il recanatese Arduino Gherarducii, docente a Bari di “formati di scambio dei dati bibliografici” ( nonché marito annoiato ma ligio di una noiosa Teresa) molto più che una semplice opzione estetica. Il riporto è per lui filosofia esistenziale, tributo reverente alla sua famiglia di “uoimini calvi e onesti”, trincea di resistenza al conformismo: “Sono orgoglioso di appartenere ad una famiglia di uomini riportati che non sono mai caduti in quel tranello irresponsabile, consuetudine della nostra imprudente contemporaneità, di raparsi la testa per mascherare la propria sana e inesorabile calvizie”: Come stupirsi, se per Arduino, appena tredicenne, l’obiettivo diventa quello di arrivare prima possibile ad acconciarsi con il “suo” riporto, scelto proprio sul modello cesariano? E come stupirsi, ancora, se lo spartiacque della sua vita, l’occasione di crisi e di fuga senza ritorno, sarà una terribile mattina a Bari, quando un alunno irriverente, di fronte a una quarantina di condiscepoli, spettinerà con terroristica e fulminea violenza il riporto del docente Gherarducci, fin lì così curato e validamente protetto da intemperie e spifferi? L’argentino Bravi, che vive davvero a Recanati, fa il bibliotecario e scrive in italiano dal 2004 (questo è il suo terzo libro) gioca da maestro con i toni della comicità. Le iperboliche avventure del protagonista (si nasconderà in un eremo appenninico, e pellegrini sofferenti vorranno toccargli il riporto, considerato taumaturgico) si leggono come una parabola sorridente e profonda sulla gran fatica di diventare se stessi. Foglio 12-01-2011