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L'«altra» argentina del fatidico 1982

Alessandra Iadicicco

Sono passati 25 anni. Un quarto di secolo. Un tempo sufficiente per proiettare i fatti – veri – raccontati da Adrian Bravi nella prospettiva disincantata della storia. O alla distanza favolosa della memoria. O in una lontananza bastevole a stemperare le tonalità emozionali del ricordo, le tinte sentimentali del romanzo, gli accenti personali dell’autobiografia, nei colori sfumati di una scena picaresca, sciolta da ogni nostalgia e liquidata spietatamente dall’ironia. Accadde al Sud 1982. Il titolo è di per sé una dichiarazione di poetica, più esplicitamente formulata nelle ultime pagine in questi termini: “Sentite, io credo che il realismo in senso stretto non esista E’ solo un artificio. Un gioco di fantasmi”. Il titolo, in altre parole, è vago e preciso tanto da suscitare un quadro fantastico e incorniciarlo però nello spazio esatto della geografia australe e nell’anno del mitico mondiale che ogni italiano rievocherà con un sorriso.
Accadde appunto nell’anno di Maradona e accadde a un argentino. Ma non è per una smania di rivincita calcistica, né per la voglia di emulazione un campione che l’autore come eroe, Adrian Bravi come il suo alter ego Alberto Adorno, lascerà infine la madrepatria per trasferirsi nel paese dei vincitori. Aveva perso una guerra: la guerra delle Maldive come, da Bravi, all’argentina, lo scrittore si ostina a chiamare ciò che nelle cronache e negli annali è da allora la guerra delle Falkland. E aveva perso un pezzo della sua terra: già sperso in verità in mezzo all’Atlantico, come le quattro isole inospitali battute dal vento, andate alla deriva e debolmente ancorate a un Puerto Argentino ribattezzato dagli inglesi Port Stanley. Che poi, dato l’esito dello scontro, fosse andato in fumo anche il miraggio nazionale della giunta militare, sicura di poter riaccendere il patriottismo delle nuove generazioni con una facile guerra lampo, non importava al nostro giovane guerriero, novello soldato Svejk, più del fatto che, con la sconfitta, fosse svanita anche per lui l’occasione di sposare la sua disamorata Francisca.
Ma non si strugge sugli amori sfumati nè sulle patrie perdute Adrian Bravi. Quarantenne, oggi lavora nelle nostre Marche, a Recanati. Si è del tutto “smalvanizzato”, come gli augurava suo papà quando gli diceva “Dovresti imparare daccapo una lingua, così puoi pensare e sognare senza il ricordo di quelle vecchie parole. Nuova lingua, nuova libertà”. Da libero scrittore rinato alla lingua d’arte di Giacomo Leopardi., in italiano ha già pubblicato due romanzi – Restituiscimi il cappotto e l’esilarante La pelusa – prima di quest’ultimo che , per il ritmo perfetto, il calibrato distacco, l’azzeccata comicità, è il suo più adulto e maturo. Finita la partita da un pezzo, poi, Bravi è ormai fuori dai giochi (di guerra). E’ un punto da cui può guardare alla bellica (disfatta) con l’equilibrio del senno di poi ed equanime spirito sportivo. Ai commilitoni che, assediati da “portaerei, cacciatorpediniere, sottomarini, squadroni d’attacco, squadroni antisommergibili, squadroni di ricognizione, balene, pinguini, leoni marini, guanachi sputatori..” drammatizzavano. “Ecco come si fanno le guerre mondiali. Cominci con l’occupare un’isola, ci metti una bandiera, l’altro dice no, allora chiami qualcuno che ti difenda, l’altro chiama un altro e si scatena il putiferio”. Risponde con sicurezza impassibile: “Secondo me le cose si dovrebbero risolvere con una partita di calcio… Oppure agli inglesi gli facciamo vincere questo mondiale, così se ne stanno tranquilli”. Un caso che dal suo Sud e più o meno da allora l’autore di queste parole se ne stia tranquillo e sicuro tra i campioni mondiali del 1982.

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Supplemento

(ISSN 1824-6648)

Adrian Bravi: l'antieroe

A cura di raffaele taddeo

 

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Anno 8, Numero 32
June 2011

 

 

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