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Anime sospese sullo scenario della guerra
Danilo Mandolini
Anime sospese sullo scenario della guerra
Adriàn Bravi, nato a Buenos Aires nel 1963 e di madre lingua spagnola, è – dopo
Restituiscimi il cappotto (Fernandel, Ravenna, 2004) e
La pelusa (Nottetempo, Roma, 2007) – alla sua terza opera di narrativa in italiano:
Sud 1982 (Nottetempo, Roma, 2008). In una recente intervista rilasciata Adriàn Bravi ha avuto modo di dichiarare: “Mi sento come una sorta di ospite in questa lingua, anche se ormai è diventata un po’ la mia seconda lingua madre. Esprimermi in italiano vuol dire sperimentare l’impatto che può avere una storia in questo universo linguistico, pur appartenendo ad un altro contesto… Un’esperienza, per me, molto stimolante perché sono costretto a soppesare tutte le parole e ad interrogarmi costantemente sull’uso della lingua. Scrivere un romanzo in italiano mi dà la possibilità di descrivere una storia con un occhio più disincantato e maggiormente ironico”.
Avvicinarsi a
Sud 1982, così come anche ai due precedenti romanzi “italiani” di Adriàn Bravi, non può prescindere da quanto l’autore dichiara a proposito della “componente bilinguista” nella sua scrittura e dagli “effetti collaterali” del tutto peculiari che questa stessa componente determina (soprattutto “l’occhio disincantato e maggiormente ironico” – a volte sull’orlo di un velato senso del grottesco – di cui appena in precedenza).
Lo scenario, il sottofondo – si potrebbe dire, sul quale si muovono le vicende e i personaggi di
Sud 1982 è quello rappresentato dall’ultima guerra combattuta direttamente, almeno fino ad oggi, tra due nazioni del cosiddetto mondo occidentale. Questo contesto di violenza è sì rilevante, come si può facilmente intuire, ma non così “ingombrante” o in primo piano, però, da connotare
Sud 1982 come romanzo storico (il campo delle possibili dissertazioni sull’ultimo libro di Adriàn Bravi va assolutamente sgombrato da questo potenziale equivoco). La guerra che è dentro e dietro le storie di
Sud 1982 (perché diverse sono le vicende personali ed umane raccontate e che si intrecciano in questo testo) è quella chiamata delle Malvinas, dagli argentini, e delle Falkland, dagli inglesi, e combattuta tra Argentina e Regno Unito tra l’inizio di aprile e la metà di giugno del 1982. Questo breve conflitto si è concluso con un bilancio che può essere freddamente sintetizzato così: 655 caduti tra le fila dell’esercito argentino; 236 caduti tra i britannici e le dimissioni del Presidente argentino Galtieri.
Sopra il sottofondo, dentro allo scenario di una delle più irragionevoli e mal gestite guerre mai combattute (ci si riferisce, in questo specifico caso, alla drammatica incoscienza dimostrata dal governo argentino) si muove Alberto Adorno: la voce, lo sguardo – diremmo – narrante protagonista del libro. Alberto Adorno è una giovane recluta di San Miguel (un sobborgo di Buenos Aires) che narra dei frammenti di guerra che ha vissuto e che ricorda; delle lunghe attese, delle assurdità della vita militare, dei suoi commilitoni e delle morti di cui è stato, direttamente o indirettamente, testimone. Va soprattutto detto che Adriàn Bravi non perde l’occasione per far sì che, attraverso gli occhi e le parole di Alberto Adorno, si denunci la disperazione che vive nella violenza di ogni guerra e di quanto, in realtà, la vera battaglia da combattere e da vincere, per ogni soldato che ritorna da un conflitto, sia quella per riuscire a dimenticare, per riuscire a cancellare la memoria degli orrori di cui si è stati spettatori non volontari.
E’ da sottolineare, qui, che la struttura del libro è assolutamente funzionale a mettere in risalto la quotidiana conduzione di questa battaglia per cercare di dimenticare alla quale si è appena accennato.
Sud 1982 , infatti, è quasi una raccolta di singoli racconti – a volte anche con i tratti della narrazione diaristica – che oscilla continuamente tra l’ossessionante apparizione dei ricordi (una sorta di nuovo vivere nel presente gli eventi traumatici già sperimentati in prima persona) e l’oggi speso a cercare, come si diceva, di non ricordare a tutti i costi. Ne risulta come un ondivago e schizofrenico andare e venire tra la disperazione vissuta in prima persona, osservata durante la guerra e inesorabilmente impressa nell’intimo della ragione, e l’emarginazione, la solitudine impotente (impotente perché non si vince) del dopo, del tempo di adesso che è senza un fronte dove schierarsi e dove prepararsi a combattere.
Molti sono i brani del libro che testimoniano la disperazione e la solitudine alle quali si è appena fatto riferimento. Tra questi, vanno certamente citati come emblematici quelli delle pagine 64 e 65, con il pianto improvviso di una recluta che vede una pecora saltare in aria sopra una mina antiuomo, e delle pagine 169 e 170, con le grida del reduce che si nasconde sotto il letto d’ospedale durante la visita di alcuni commilitoni.
Di questa disperazione, di questa solitudine ai limiti dell’assenza che comunque si vede, si sente e che pesa come un macigno; di questo impossibile processo di rimozione della memoria, di “smalvinizzazione” – come lo chiama l’autore, sono ineluttabilmente vittima (chi più, chi meno ed in maniera diversa e con vicende che toccano punte di drammaticità le più alte e disparate) Alberto e tutti i personaggi che vengono, anche solo sommariamente, raccontati nel libro.
La sensazione che si ha, sovrapponendo il proprio sguardo a quello di Alberto e rischiando quindi di partecipare direttamente alle sofferenze patite dai personaggi del libro (rischio che l’autore sembra voglia decisamente far correre ai lettori di
Sud 1982 ), è quella di prendere parte – insieme ad altri compagni “posseduti” dalla stessa interminabile angoscia di sopravvivere – ad un viaggio di ritorno da un luogo di follia; un viaggio della mente che è destinato a rimanere senza meta e che, per giunta, si scontra con l’indifferenza di quella società argentina dei primi anni ottanta che, a sua volta, vuole dimenticare l’esperienza disastrosa del conflitto delle Falkland / Malvinas e le atrocità di anni di dittatura militare non ancora terminata.
Alberto ed i suoi compagni appaiono, a seguito di tutto quanto fin qui evidenziato, come una sorta di umanità sospesa e disallineata dal resto del mondo perché ferita nell’intimo dai non-sensi della guerra, dal più vistoso e disumano non-senso che l’umanità è da sempre capace di produrre: la guerra, appunto. Questo “coro” di anime senza pace è lì dentro l’ultimo libro di Adriàn Bravi, di fronte agli occhi dei lettori di
Sud 1982 a testimoniare con forza, ma senza gridare, come – all’alba del terzo millennio – la “metastasi” rappresentata dalla guerra appaia ancora, alla maggior parte di noi e nonostante l’esplosione di sofferenza che determina e che porta con sé, come plausibile e giustificabile.
Va detto che il libro è scritto con un linguaggio diretto e colloquiale, con uno stile leggero, costruito sull’incalzare di periodi brevi e tesi e, per questo, godibilissimo; imbevuto di quell’umana e disincantata ironia (cifra distintiva dell’intera produzione in italiano di Adriàn Bravi) di cui all’apertura di questa nota e che appare, nel caso specifico di
Sud 1982 , come irrinunciabile supporto per l’evidenziazione della follia della guerra; irrinunciabile sostegno per l’enfatizzazione del disagio vissuto dal protagonista del libro che non riesce in nessun modo a comprendere perché sia stato spedito su quelle isole dell’Atlantico a combattere un nemico che quasi non si vede e che, per giunta, sconfigge lui, i suoi compagni e la sua nazione.
Con lo stesso tono diretto e colloquiale, con lo stesso stile leggero che pervade l’intero libro e con l’immancabile e sottile accento di ironia Adriàn Bravi fa sì che il protagonista, il nostro Alberto Adorno, chiuda
Sud 1982 narrando di un’ennesima disperazione. Si tratta di una carezza negatagli dalla sua ragazza, della privazione di un semplice gesto di affetto che lo porta a vagare solo “…attraversando i coni dei lampioni sulle strade…” e pensando “…alle Enneadi di Plotino, alle cose che aspirano all’unità compiuta e perfetta di Dio, all’irrealtà della vita e a tutte quelle cose profonde che non servono a niente quando qualcuno ti chiude la porta davanti agli occhi.”.
La guerra toglie l’orizzonte allo sguardo degli uomini, priva l’uomo della propria prospettiva verso il futuro. Alberto Adorno sembra asserire, a chiusura del romanzo, che dopo la guerra vissuta in prima persona tutto appare – anche l’idea che abbiamo di Dio – come se fosse ancora e solo guerra.
Non vanno dimenticati, a proposito di quanto appena affermato, i circa 400 suicidi accertati tra le fila dei reduci argentini del conflitto delle Falkland / Malvinas.
Queste numerose morti volontarie non rientrano nel bilancio ufficiale della stessa guerra; neanche Adriàn Bravi ne parla direttamente nella sua ultima opera. Ci sembra comunque di vederli – questi soldati dimenticati dai più e morti nel tentativo vano di dimenticare – vicini a tutti i personaggi e a tutti i lettori di
Sud 1982 .
Ci sembra di vederli ancora lì, allineati in una lunga fila, ad attendere un nostro semplice cenno di saluto.
Danilo Mandolini - Da Literary Literary nr.5/2009