Nella mai troppo fervida gora degli scrittori di recente immigrazione che hanno scelto di scrivere nella nostra lingua spicca il testo La pelusa dell’argentino d’origine Adrian N. Bravi, trapiantato da alcuni anni a Recanati. La casa editrice romana pubblica poca narrativa italiana contemporanea oltre a classici consolidati ma ricercati e leggendo questo romanzo si capisce il perché c’è grande ricerca qualitativa. La pelusa (“peluria” in argentino) è la storia di due coniugi, Anselmo ed Elena che vivono in un paese, Catinari, che sorge sulle coste dell’Adriatica e che richiama la Recanati d’adozione dell’autore. E’ una coppia sempre più in crisi. Anselmo è il bibliotecario comunale e sua moglie, casalinga, vive nel vano tentativo di accontentare ogni suo desiderio. Non hanno figli. Anselmo ha un’ossessione. Odia la polvere. In ogni momento libero dal lavoro stressa Elena sull’eccezionale presenza della pelusa e, insoddisfatto della profilassi della moglie, diventa un casalingo perfetto. Anche sul lavoro è perennemente insoddisfatto e si perde dietro oziose curiosità: la lettura di tesi per bibliofili sui libri antichi. Il rapporto tra l’umanista Aldo Manuzio e la cultura greca. La polvere contro cui il bibliotecario porta avanti la sua battaglia si rivela essere come il simbolo stesso della vita. Se Anselmo non riesce che a vederci “il niente di niente” e con la medesima non ha corrispondenza, come il John Fante di Chiedi alla polvere, è perché ormai stenta a capire quello che gli gira intorno. E chi non capisce il suoi tempo è destinato a restare fuori dal tempo. Nel caso di Anselmo il tempo fittizio che si costruisce è il suo microcosmo domiciliare. Riguardo alla struttura narrativa Bravi disegna un bel meccanismo che ricorda il Bohumi Hrabat di una solitudine troppo rumorosa ma che riesce in ultima analisi a dare conto del tempo che tutti noi viviamo che a volte ci restituisce un denso vuoto.