El Ghibli - rivista online di letteratura della migrazione

la battaglia contro la polvere

Elena Frontaloni

La battaglia contro la polvere

Che ad Adrian Bravi interessasse riferire i meccanismi ossessivi dal punto di vista di chi li vive lo si poteva già osservare nel suo esordio in italiano, soprattutto9 nel racconto-monologo che dava il titolo alla raccolta Restituiscimi il cappotto (Fernandel, 2003). Qui, una voce recitante in equilibrio fra delirio e raziocinio lamentava il furto di un cappotto costoso, indumento essenziale per un gesto come impiccarsi. Niente cappotto addosso, niente suicidio, insomma. Ed era questo semplice automatismo insieme psichico e narrativo a ingenerare i velenosi sermoni del derubato (in bolletta) contro l’amico (benestante) responsabile dello scippo; perché “i malati” “vogliono essere lasciati in pace”, cero, ma prima “capiti” come fossero un “teorema”, sovra interpretabile quanto si vuole, eppur di per sé ferreo, sordo ad ogni obiezione. Da un identico presupposto prende l’avvio La Pelusa che, quanto a possibile conferimento di significati secondi, si muove su un terreno ancor più sfacciatamente riconoscibile. A infelicitare le giornate di Anselmo del Vescovo, bibliotecario di provincia attorniato da una mogli alcolista e da due colleghe scansafatiche con le natiche eternamente poggiate sul calorifero, è infatti la lotta contro polvere domestica: immagine già biblica, ma in questo caso “privatizzata”, del destino dell’uomo che dalla polvere nasce alla polvere ritorna. Salvo poi, durante il suo breve passaggio a terra, perdere e produrre continuamente altre scorie; respirando così giorno per giorno, depositato, depositato sul proprio corpo, svolazzante davanti agli occhi, nell’aria, sugli oggetti, il pulviscolo portatore di morte e vita per cui l’universo faticosamente si autonservava, mentre il singolo deve iniziare e finire. Perché dunque Anselmo pulisce senza sosta, non ammette che la polvere si depositi nelle stanze e sulle suppellettili di casa sua? Da mediamente edotti risponderemo: perché non sopporta di dover morire né di essere dentro il meccanismo della vita: dunque desidera un rifugio completamente sterilizzato e insieme vuole che finisca tutto presto, o che tutto, in qualche modo riinizi: per raggiungere entrambi gli obiettivi cerca di crearsi attorno un lindo, inattaccabile utero materno.
Nemmeno alla seconda pagina del libro, scopriremo però che simile interpretazione è forse legittima, ma fondamentalmente esterna all’economia del racconto. Giacchè il motivo per cui Anselmo s’accanisce co0ntro la polvere, il narratore dimostra di ritenerlo secondario come il protagonista, che avvertito dalla moglie lettr5ice di riviste femminili sul significato della sua mania, conclude: “Possono pensare quello che vohgliono, quelli che scrivono su certe riviste, non me ne importa. Io non vado mica a sindacare su quello che fanno o pensano gli altri[…]. Se ora voglio togliere la polvere, prendo uno straccio e la tolgo, anche se questo significa che devo pulire le pareti dell’utero di mia madre”.
La partita si potrebbe ritenere chiusa. E invece non lo è. Relegata la questione clinica-simbolica nell’incipit, tra le pagine d’una rivista patinata, e incasellato fin da subito Anselmo nella folta schiera di personaggi letterari dotati di tic, smanianti per le classificazioni, incapaci di portare a termine qualsiasi atto umanamente conseguibile (la semplice lettura de’un manuale, o lo studio del libro antico) perché decisi a proteggersi dal nulla passaqndo il tempo in una lotta che si fa infinita e votata alla sconfitta, Adrian N. Bravi riesced a inchiodare il lettore alle oltr5e cento pagine di questo racconto lungo e pipartito. Ci riesce a forza di stile; modelli letterari rivisitati con impudica leggerezza; calibrata indifferenza nei confronti dell’antipatico, oltremodo perdonabile Anselmo: optando per una narrazione in terza persona, progressivamente smangiata però dalla prima del protagonista, che sempre meno parla e scrive alla sua maniera ma sempre più vistosamente guida con la sua presenza l’andamento insieme catastrofico e plastificato del racconto, Il monologare puntiglioso, incessante, della prima prova di Bravi, lo ritroveremo soprattutto nei mail che il protagonista inizia a spedire a un amico d’antica data, spigandogli il suo cruccio. Ma i messaggi tornano indietro, inesorabili (“The following address had permanent fatal errors…Host unknown); e dunque la ricerca di qualcuno che semplicemente “capisca” il teorema-Anselmo risulta frustrata. Finchè nella biblioteca di Catinari (sì, anagramma di Recanati, è stato già notato: ma ci eviteremo di saltare sulla sedia se sappiamo che il buon artista è fingitore; dunque se, mentre ruba alla vita, carica e rifrange) arriva, per immediatamente disparire, un personaggio con gli occhialetti e il portamento incerto, afflitto nientemeno che dallo stesso problema di Anselmo: il suo nome è Adrian Bravi, argentino. Il suo nemico è “la pelusa” – in lingua, si documnetrà poi Anselmo, un agglomerato di polvere, il velo sottile che protegge la polpa delle pesche; i piccoli ammasi di lanugine che si depositano sotto ai mobili quando non si pulisce da un po’.
Omaggio scopertissimo a Borges e stratagemma oramai provocatoriamente ingenuo per verificare e buttare avanti l’azione, quello del protagonista: e difatti la trama si muove da questo punto in poi verso l’esito finale della vicenda con un ritmo asfissiante e surreale, corrispondente all’apocalisse cui si auto immola, col fare di una marionetta, Anselmo. Che da Adrian Bravi, mentro lo guida per gli scaffali della biblioteca alla ricerca di un volume di William Henry Hudson (maestro della felicità nella descrizione minuta cui qualcosa deve di certo l’autore di questo libro perfettamente registrato traghigno e sorriso, esercizio di scrittura e presentimenti filosofici), ha però ricevuto finalmente in dono la comprensione esatta del suo travaglio: fra i vari nemici che l’essere umano s’inventa per svincolarsi dal nulla, quello da lui prescelto non è il meno ,insidioso, e neppure il meno affascinante.Magari – e qui ci si accorge che Bravi non lavora solo di stile e di costruzione – il problema sta altrove3. Nel fatto che “vedere” la profondità della superficie, riconoscere in essa i continui agguati della pelusa, è faccenda riservata a pochi, tristemente buffi, privilegiati: “L’uomo è orientato verso le grandi cose, ma è il piccolo che gli sfugge sempre di mano, questa materia silenziosa”.

Elena Frontaloni – stilos 01-05-2007

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(ISSN 1824-6648)

Adrian Bravi: l'antieroe

A cura di raffaele taddeo

 

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Anno 8, Numero 32
June 2011

 

 

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