Restituiscimi il cappotto è la seconda uscita della collana LDM (libri
di merda) dell'editore Fernandel. Una collana rivoluzionaria, come già
dissi in occasione dell'uscita inaugurale, perché immune alle
recensioni. Per recensire un libro di merda, infatti, occorre
dichiararsi a priori recensori di merda, e si capisce che non tutti i
bei nomi della recensionistica nazionale hanno il coraggio o la
possibilità materiale di compiere questo passo così necessario.
Prendiamo un noto recesore a caso, chessò, D'Orrico, e supponiamo per
assurdo che dopo attenta ponderazione egli decida di recensire
Restituiscimi il cappotto, uscito nella collana Libri di merda. Ne
nascerebbe subito un parapiglia inimmaginabile: colleghi di rango lo
accuserebbero di aver macchiato di merda il buon nome della categoria;
scrittori livorosi non gli perdonerebbero di aver preferito un libro
di merda ai loro capolavori; e infine, somma catastrofe, gli editori
delle riviste e dei giornali per i quali abitualmente scrive lo
caccerebbero in malo modo, al grido di «recensori di merda qui non ne
vogliamo». Va da sé che sarebbe quasi disumano chiedere a D'Orrico un
sacrificio così grande, e infatti nessuno glielo chiede, anche in
considerazione del fatto che, nella specifica occasione, D'Orrico non
potrebbe nemmeno togliersi la soddisfazione di gridare che «Adrian
Bravi è il più grande scrittore italiano vivente», dato che Adrian
Bravi è argentino, mica italiano.
Restituiscimi il cappotto è il racconto eponimo del libro, che ne
contiene due. L'altro si intitola Un orizzonte lontano, ed è la storia
di due desperados argentini che rapiscono un lottatore di sumo,
giapponese e cieco, per consegnarlo a un colonnello nazista che fa
collezione di fenomeni da esibire nel suo circo ambulante. I due
scopriranno a loro spese che fidarsi della trama di un racconto è una
colossale sciocchezza.
Il racconto eponimo, dicevo, appartiene alla categoria dei racconti
compiuti ma che non finiscono, sul tipo di Gordon Pym, per capirsi,
tanto compiuto che solo a un elefante privo di sensibilità letteraria
come Verne poteva venire in mente di scriverne il seguito. Anche
restituiscimi il cappotto, come Gordon Pym, finisce in dissolvenza,
rifiutando una conclusione che necessariamente deve restare
appannaggio del lettore. Ma mentre Gordon Pym finisce in vista del
significato ultimo (e nascosto) delle cose - lasciando intendere che
un significato ultimo, qualunque esso sia, da qualche parte c'è -
Restituiscimi il cappotto sfuma sull'ipotesi che il senso della vita
sia così ben celato agli occhi dei mortali per il semplice motivo che
non esiste.
La trama del racconto è così labile che mi chiedo se serva davvero
riportarla qui, ma tutto sommato anche un recensore di merda ha la sua
dignità, per la miseria, e non si può recensire un libro senza mai
dire di cosa parla (almeno credo). Una bella mattina d'inverno,
dunque, il protagonista narratore decide di suicidarsi. Prima di dar
corso al progetto, però, si concede un'ultima bevuta con la compagnia
dei "mal vestiti", un tipo umano di periferia, dedito allo spreco di
tempo e all'alcolismo. Un frequentatore abusivo della congrega - un
rappresentante di cosmetici laccato come il suo campionario e come la
sua auto blu-metallizzato - beve alla salute e a spese dell'aspirante
suicida, per poi svignarsela col suo cappotto. Sospeso per il momento
il progetto di levarsi dal mondo, il protagonista si chiude in casa e
scrive per mesi al ladro del cappotto, chiedendogli in tutti i modi di
restituirglielo, con preghiere, tentativi di patteggiamento,
invettive, accuse, minacce. Il recupero del cappotto diventa a un
tempo nuova ragione di vita per il protagonista e sorgente del
racconto, nonché occasione di riflessione filosofica sul senso della
vita (e della morte), sulle relazioni fra gli uomini (ladri e
derubati) e sulla scrittura.
Il testo di Bravi, pur senza scadere nel didascalismo, è di quelli che
inducono pause di riflessione nel lettore, e una scrittura narrativa
che riesce a far questo senza trasformarsi in "lezione di vita" è
fortemente indiziata di essere autentica letteratura. Adrian Bravi,
d'altronde, presenta credenziali letterarie di spicco: mette una frase
di Montaigne in esergo, per dire, e non si perita di inserire nella
sua prosa svelta e pulita citazioni di Caproni o di Baudelaire
(dichiarate con divertita civetteria in una nota fuori testo). Per non
farla troppo lunga lascio la parola al Bravi medesimo, riportando un
brano che mi è rimasto particolarmente impresso: una tranquilla
confessione dell'impotenza delle parole a capire il mondo.
«Non ero mai riuscito a comprendere il rapporto fra le strade e i loro
nomi. Da ragazzino percorrevo il paese nel tentativo di far coincidere
i vicoli o le piazze con i nomi che gli avevano dato. Cercavo
d'immaginare le ragioni che avevano indotto ad attribuire quel nome a
quella particolare strada. Non potevo pensare che le parole fossero
oggetti inanimati pronte a essere appiccicate a una cosa e tanto meno
se quella cosa era una strada o una piazza. Per me, un incrocio
stradale era anche un incrocio di nomi, e forse di vite lontane nel
tempo l'una dall'altra, ma non riuscivo a capire il senso di
quell'incontro, e ogni tentativo era inutile. Chissà se tu da ragazzo
eri approdato a migliori risultati. Oggi è un altro giorno. Continuo a
scrivere, a buttare giù delle parole, e ogni volta, quando rileggo
quello che ho scritto il giorno prima, mi chiedo se avrei dovuto dirlo
in un altro modo o non avrei dovuto dirlo affatto, visto che non
ricevo nessuna risposta. Il tempo banalizza ogni cosa e le parole,
alla fine, si condannano da sole alla nullità. È la loro natura. E mi
chiedo: io, che da un mese sono barricato in casa, per chi diamine
scrivo? Per me? Per te? Scrivo forse ciò che un giorno vorrei
dimenticare? Il mondo dice tutto ma non risponde mai. Solo una
scrittura condannata alla cecità potrebbe darmi una risposta.»
A parte le ricadute filosofiche, comunque, Restituiscimi il cappotto è
un libro divertente e ben scritto, consigliabilissimo anche come
lettura d'evasione, nel caso la voglia o il tempo di pensare dovessero
scarseggiare. Lo consiglio, dunque, e resto in spasmodica attesa della
prossima uscita della collana Libri di merda, alla quale continuo ad
augurare magnifiche sorti e strepitoso successo.
Altre opzioni 21 Ago 2004,
Luca Tassinari
Da it.cultura.libri