Il breve romanzo di Adrian Bravi è un monologo che preme per diventare un dialogo. Perché tutto è rivolto ad un tu, e sule prime inganna il lettore che si crede interpellato e a cui è persino lanciata un’accusa. Si scopre, proseguendo, dell’esistenza di un terzo, un amico del protagonista, responsabile luio di quel torto accusato: l’immotivata sottrazione di un cappotto. Da qui inizia il lungo, accanito e insieme compassionevole soliloquio che si riversa sull’amico, inconsciamente colpevole di aver fatto desistere chi narra dai premeditati piani di suicidio. Ora ammazzarsi senza riavere il cappotto vuole dire non saper fare i conti con la realtà. Perciò il flusso di parole scandaglia il rapporto con l’amico e con quella parte di società tra la quale invece vive lui, compagno di gente abbruttita da bere, senza un lavoro, abbandonato e con una notifica di sfratto in mano. Il monologo è interrotto da numerose domande alle quali si prova a rispondere. Ma le risposte che ci diamo da soli non possono farci rimanere soddisfatti, si trasformano fatalmente in ulteriori domande e “urlare, disperare, madonnare o maledire l’artefice indiretto di questa messa , è tutto inutile. Quel frammento di tempo sarà la nostra rovina, la spinta nell’abisso”. Nel volume è compreso anche il racconto Un orizzonte lontano. Buona lettura
Tommaso Lucinato da Urlo – mensile di resistenza giovanile- anno XII n. 115 ottobre 2004