Il cappotto è un soprabito invernale pesante, segnala il dizionario della lingua italiana. In spagnolo, capotto è sobretodo, soprattutto diciamo, nel senso che copre tutto quello che abbiamo sotto: vestito, pantaloni, maglione, felpa, gonna, ecc. Il cappotto, dunque, ci sta sopra tutto ed è per questo che un autore, come Adrian N. Bravi, scrive sulla perdita di un cappotto. Restituiscimi il cappotto raccoglie due racconti scritti in italiano da un argentino che dal 1989 vive in Italia.
Qualcuno, un vecchio amico del protagonista, si porta via, dal bar, un cappotto azzurro polvere. La scomparsa del suo cappotto, impedisce al protagonista di coprirsi e senza cappotto, ci racconta i suoi progetti, ci svela i suoi sogni, ci lascia con le parole, soprattutto, parole che attraversano la memoria senza rimpianti e senza fantasmi.
“poi mi guardo allo specchio, mi accarezzo i capelli, abbasso le palpebre, godo quando i denti del pettine mi sfiorano il cuoio capelluto. Quel lieve contatto mi porta indietro nel tempo a scavare nei ricordi. Allora penso alla parrucchiera che mi tagliava i capelli da bambino, alla quale un giorno scorsi, sotto la camicetta di cotone che le si apriva sul petto, un seno grande che le pendeva come un frutto proibito” scrive l’autore (pag. 36), lasciandoci delle immagini senza tempo e senza luogo. Adrian Bravi ambienta il suo racconto chissà dove: Bari, Novara, Buenos Aires, Parigi, Barcellona, Milano; non dice dove è la sua stanza, ma ci sta ovunque.
Le tematiche migranti, anche se ben nascoste, ci sono, ben coperte sotto il cappotto che non c’è. Il personaggio senza cappotto migra nella sua stanza, nei suoi pensieri, nelle sue avventure, nei suoi sentimenti e ci porta altrove. L’autore migra rubando battute, come simpaticamente riconosce a pag. 94, ad altri scrittori: Cesar Aira, Giorgio Caproni, Camillo Josè Cela e Baudelaire. E migra anche con domande ‘esistenziali’. Si fa tante domande il protagonista, domande circolari, come succede a pag. 53: “Considereresti questo fatto come un suicidio o come un eventuale suicidio? Ti laveresti le mani pensando che mi sono tolto la vita lentamente, per il fatto di essere rimasto solo, a marcire in questa stanza? … Penseresti che forse avresti dovuto portarmi il cappotto? O cercheresti un’altra via di fuga, come hai fatto finora, considerando che l’arma più efficace per difendersi sia l’indifferenza? Insomma, mi chiedo, dove comincia il suicidio, dove l’omicidio?”
Verso la fine del racconto il personaggio ci riporta una storia, letta o sognata più volte, di una lucertola che, spezzata a metà da un bambino, non morì ma diventò due lucertole. Col tempo le due lucertole non si sopportano e si perseguitano: “Come me, che sono qui, in questa stanza, ricoperto da una sottile polvere, o forse da un cappotto immaginario che mi sta asfissiando. … avverto che c’è una sorta di doppiezza esistenziale che si affaccia dalle viscere per mostrarmi che una parte di me è altrove, in un altro individuo che mi prende a morsi e mi vuole uccidere, come la metà perversa della lucertola originaria. … E mi chiedo: “Come mai queste entità incongrue e indipendenti vanno ciascuna per la sua strada e nel momento in cui si incontrano una cerca di uccidere l’altra?” … Forse entrambi svaniremo come l’incubo alla fine di una favola e non ci sarà più nessun cappotto a tenerci in vita”: (pag. 61)
Sotto il cappotto, tutto: fatiche, dubbi, pensieri, parole, migranze.
Per chiudere il libro, Adrian N. Bravi ci offre Un orizzonte lontano, un breve racconto che contiene una storia fantastica nel deserto della Pampa argentina. Una storia di perdenti, scritta con ironia e rispetto. I personaggi sono irreali, forse, ma la trama è credibile. “Il sole spunta e la pianura sembra un luogo sterminato, senza storia, senza segni di vita. All’improvviso, così, come per miracolo, mentre guarda le nuvole in basso, Domingo vede sbucare, giù in fondo all’orizzonte, un piccolo tendone verde militare. … Pensa ad un grosso animale preistorico accucciato sulla cresta della terra” scrive Bravi e poi l’orizzonte non è così lontano per chi scrive, per chi legge con o senza cappotto.