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La videoterminalista

Adrian Bravi

La videoterminalista

Rosetta Posillipo è una di quelle donne che non sorridono mai, ma sono felici lo stesso. Lavora da dieci anni circa nel Municipio di Anfossi e le sue colleghe dicono che è una donna molto riservata. La mattina, prima d’andare a lavorare, stende i panni, pulisce il pavimento con un detersivo al limone che a lei piace molto e quando ritorna a casa passa al supermercato a fare la spesa. Vive da sola, forse mangia poco. I più informati dicono sopra un tavolo piccolo e lucido, di preferenza senza tovaglia. Ogni sabato pomeriggio – questo lo sanno tutti – prende un interregionale. Ritorna la domenica notte a Anfossi con l’ultimo treno.
Quindici anni fa abitava in un paese del Molise, in via dei Mappi. Finita l’università, s’era inventata di fabbricare pupazzetti di pane intrecciato con listelli sottili che poi colorava con lo zucchero sopra. Lei li chiamava “i miei pupazzetti iperbolici”. Una volta terminati dieci o venti pupazzetti li vendeva ai panettieri per addobbare le vetrine, oppure alle amiche di sua madre per decorare la casa. Non c’era compleanno o battesimo dove si facessero mancare pupazzetti iperbolici a tavola.
Ad un certo punto s’era fidanzata con Mauro, un ragazzotto con un paio di baffi neri e una prominente stempiatura. Mauro s’appuntava un po’ sulle parole, non si può dire nemmeno che balbettasse, e ad ogni modo ripeteva sempre che era un uomo stressato. L’altro argomento era farle notare che con i pupazzetti di pane non sarebbero potuti arrivare da nessuna parte:
«Rosetta ascoltami, non possiamo andare avanti così, trovati un lavoro più sicuro. Con questi pupazzetti non faremo mai niente».
Mauro, a suo modo, aveva ragione. Voleva che la fidanzata facesse valere il suo titolo di studio per insegnare in qualche scuola del nord, ma soprattutto fu il primo a capire che il suo handicap alla mano destra l’avrebbe avvantaggiata nelle graduatorie per gli impieghi pubblici. Questo handicap Rosetta l’aveva scoperto un giorno che stava preparando la pasta per i suoi pupazzetti di pane. Si era accorta all’improvviso che le mancava un dito, l’indice della mano destra per la precisione. Stupita di questo fatto aveva cominciato a contare con la mano sinistra tutte le dita dell’altra e, per la prima volta, aveva costatato che, in effetti, le mancava un dito.
«Non è possibile» diceva mentre cercava il dito scomparso tra la massa di pane. Quella sera Mauro aveva suonato il campanello alla solita ora, il terzo dall’alto, via dei Mappi. Era entrato in cucina e quando l’aveva vista con le lacrime agli occhi le aveva chiesto cosa le fosse successo.
«Mi è scomparso un dito» diceva lei mentre continuava a cercarlo.
«Un dito! E come?»
«Non lo so.»
«Come non lo sai?»
«Non lo so. All’improvviso non l’avevo più.»
«E ti fa male?»
«No, ma lo rivoglio. Sono rimasta senza, guarda qua.»
«Ti ho detto che questo lavoro non è per te. Non si può andare avanti con i pupazzetti. Comunque, vedrai che ora senza un dito tutto sarà più facile.»
«E se torna?»
«Cosa?»
«Il dito.»
«Lo facciamo scomparire un’altra volta.»
«Scomparire?»
«Adesso nelle domande potrai scrivere che appartieni alle graduatorie di preferenza per disabili» diceva Mauro, e ogni tanto dava una pacca sulla schiena alla sua fidanzata.
Mauro aveva ringraziato due o tre santi imprecisati e se ne era andato a festeggiare la scomparsa del dito con gli amici al bar. Il giorno successivo era tornato a casa di Rosetta con dieci domande pronte da spedire ai comuni. Nel frattempo Rosetta continuava a fabbricare pupazzetti di pane sempre più colorati e iperbolici. Non ci pensava più di tanto a quelle domande spedite da Mauro, ma il giorno che aveva visto il suo nome al primo posto nella graduatoria di un paese trevigiano, aveva fabbricato molti di pupazzetti da regalare ai futuri suoceri.
Lassù in montagna aveva trascorso i primi dieci anni di lavoro, di fronte a un terminale collegato con l’ufficio anagrafe. Si trovava bene, diceva che aveva conosciuto un’altra ragazza molisana e che ogni tanto mangiavano insieme lo stoccafisso. Si lamentava solo del freddo di montagna e del fatto che i pupazzetti non le venivano più così iperbolici come laggiù in Molise.
Concluso quel decennio aveva ottenuto il trasferimento ad Anfossi: un comune che si trova a duecento chilometri dal suo paese natale anziché settecento come quello trevigiano. Mauro, i futuri suoceri e la famiglia Posillipo erano contenti di questo evento e per festeggiare il trasferimento di Rosetta avevano organizzato, a sua insaputa, un pranzo a base di cotechino. Poi l’avevano tutti accompagnata a prendere il treno.
Qui ad Anfossi sono ormai nove anni che Rosetta lavora come operatore tecnico videoterminalista e si trova abbastanza bene. Rimpiange ancora i suoi pupazzetti iperbolici, ma è fiduciosa e spera che entro i prossimi cinque anni la trasferiscano dalle sue parti, laggiù in Molise, accanto a Mauro, forse dirimpetto alla finestra dei suoceri, sulla parallela di via dei Mappi. Perché è ora, dice lei ai suoi, di mettere su famiglia.

Uscito nella rivista Caffè Michelangiolo

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(ISSN 1824-6648)

Adrian Bravi: l'antieroe

A cura di raffaele taddeo

 

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Anno 8, Numero 32
June 2011

 

 

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