El Ghibli - rivista online di letteratura della migrazione

una favola a staffetta

raffaele taddeo

Se non fosse perché si sa che Una favola a staffetta è stato scritto da uno straniero si farebbe fatica ad attribuirlo ad un immigrato. Il linguaggio, le strutture delle frasi, le immagini, la cultura che emerge fanno pensare a tutt’altro. Sembra anche qui di essere di fronte allo scritto di un intellettuale appartenente alla corrente della neoavanguardia o di trovarsi di fronte ad un adepto di Sanguinetti, quello di Capriccio italiano. Ed invece ecco qui lo scritto di un immigrato che solo lontanamente e indirettamente rivela la sua appartenenza ad un’altra struttura culturale diversa da quella del mondo occidentale, per il continuo riferimento a Shahrazâd e al nome del suo protagonista Rakan che fa da filo conduttore.
Da Shahrazâd assume l’ispirazione della molteplicità della narrazione anche se poi se ne allontana velocemente perché la tecnica dell’infilzamento propria della geniale opera del mondo orientale, viene qui stravolta secondo uno schema a catena ove i legami fra non storie, accenni di storie o immaginazioni di storie sono determinati da fatti linguistici.
Non è un caso che la giuria del premio Eks&Tra motivava così il riconoscimento dato al racconto: Yousef Wakkas porta in giro le strutture narrative e favolistiche orientali e occidentali introducendo pezzi di realtà allucinata (guerra del Golfo, raccolta del pomodoro nel napoletano) negli interstizi del racconto. Ma soprattutto imbratta, strapazza, contamina, abusa e intacca la lingua italiana: modo del narrare, sintassi e lessico. Finalmente!”
Questo testo è un puro divertimento: sembra che ci siano micro storie, ma non c’è nulla, c’è un nome, non un personaggio, che tiene unito l’insieme delle immagini, dei richiami, delle allusioni a situazioni reali dalla guerra del golfo, alla continua storia dello sfruttamento umano nel lavoro, dall’implicito sostegno alla illegalità, alla frustrazione delle grandi speranze storiche. E si potrebbero rintracciare forse situazioni più particolari, più generali a seconda del modo con cui parole ed immagini risuonano in noi o vengono percepite.
Il testo di Wakkas è un vero gioco dai molteplici specchi, dai molteplici giochi di parole che si tramuta in ironia amara.
“Ecco il tuo alloggio”, gli disse l’uomo indicandogli un anfratto tramutato in camera con cucina, e proseguì come in sogno: “Mille lire a cassetta, quarantacinque cassette al giorno”.
E poi con ironica leggerezza “Gli mancò poco per aggiungere: ‘Fino all’eternità’”.
E poco dopo l’amarezza diventa ancora più sconvolgente quando si continua:
“Ehi... come si chiama questo frutto?” - chiese a un bracciante del Burkina Faso che passava di lì piegato sotto il peso di una cesta grossa. “Pomodoro, imbecille, perché non sei andato a San Tammaro? Ti avrebbero pagato 1100 lire a cassetta”.
La lettura del testo al primo impatto non produce l’effetto di amarezza e ironia perché leggendo si va alla faticosa ricerca del filo che lega una trama che non c’è, proprio come la storia umana dove non c’è una trama, ma in continuazione c’è un dramma inspiegabile, assurdo, illogico assunto da ciascuno di noi con tanta leggerezza come se fosse una fiaba. Perché noi siamo capaci di sederci davanti alla televisione per vedere il bombardamento su Bagdad o su Belgrado come se stessimo assistendo ad un fuoco d’artificio. Questa dimensione di illogicità, di ironia fiabesca è ben espressa nella parte finale del testo:
“Al termine della terza stagione, Rakan fece ritorno a casa nascosto nella stiva di un mercantile portoghese. Non si sa con certezza se visse felice e contento, ma la gente del reame, da quel giorno, bada a non far appassire il soffritto più del previsto e a unire il mazzetto di basilico e lo spicchio d’aglio quando i pomodori cominciano a disfarsi: proprio come è descritto nella ricetta che Rakan aveva spedito a Shahrazâd – assieme ai semi del frutto magico – mediante un alto dirigente della FAO”.
Il richiamo finale alla FAO sta ancora una volta a significare la drammaticità, la falsità di tutta la storia umana che istituisce un organismo per risolvere il problema della fame nel mondo quando ogni anno milioni di persone muoiono di fame. Dopo aver constatato che la propria “terra è un sogno seminato in qualche parte del cosmo”, all’uomo non rimane che essere consapevole del fatto che “se vorrai vivere la bellezza del mondo, dovrai guardare dentro di te ponendoti al di sopra della nascita e della morte, la tua felicità è una rosa che ti attende in un’isola lontana”.

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Supplemento

(ISSN 1824-6648)

Yousef Hasan Wakkas: surrealismo e fiabismo

A cura di raffaele taddeo

 

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Anno 7, Numero 28
June 2010

 

 

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