El Ghibli - rivista online di letteratura della migrazione

intervento a Sagarana

Jadelin Mabiala Gangbo

Io non ero preparato per oggi perché non avevo capito che tipo di intervento richiedeva l'appuntamento di oggi. Poi ho chiesto direttamente a Julio se si trattava di lezioni sulla scrittura creativa. Mi ha smentito questa cosa, spiegandomi che appunto era un convegno aperto, però per una settimana mi sono arrovellato per capire che contributo potevo dare, fino a che ieri non volevo neanche preparare qualcosa, volevo venire qua a testa vuota e improvvisare. Però alla fine così succede che non ne esce mai niente di buono, così la mia ragazza mi ha spinto a scrivere qualcosa. Questa cosa qua l'ho scritta ieri e ve la leggo, ok?

Qualche mese fa mi trovavo tra la fila di stranieri davanti alla questura per richiedere il rinnovo del permesso di soggiorno. Non so in quanti di voi hanno presente le dimensioni che a volte possono raggiungere quelle file, ma di media sono lunghissime. Mi è capitato di passarci delle ore, una volta in particolare d'inverno sotto la pioggia. E da quella fila non puoi spostarti per metterti al riparo se piove o se fa un freddo cane. Non puoi lasciare la tua postazione per prenderti un caffè, o approfittare dei tempi di attesa per andare a sbrigare altre commissioni. No, devi stare lì in piedi stretto da altre persone ben sapendo che in realtà il tormento fisico e psicologico è facilmente risolvibile. Avete presente quei tabelloni numerici di cui devi prendere il biglietto ormai installati in tutti gli uffici pubblici e persino nei banchi alimentari dei supermercati e persino in qualche forno di periferia? Ecco basterebbe uno di quelli per liberare gli avventori da una inutile sofferenza fisica. Invece di presidiare in fila prendi il tuo biglietto e intanto aspetti altrove, magari in un bar, in una libreria, visto che di media si tratta di due ore di attesa. L'assurdo è che il suddetto tabellone, nello sportello migranti più popolato della città c'è, esiste, è installato da qualche anno ma non è mai stato attivato.
Così, di questo singolare caso mi trovavo a parlarne con un nigeriano che era in fila con me. Si istaurano questi rapporti di fortuito cameratismo durante l'attesa tra compagni di sventura. Gente con la quale in altri contesti non ti saresti mai fermato a chiacchierare diventano improvvisamente conoscenti intimi. Salta fuori che questo nigeriano mi conosce per via dei miei libri. Dice di avermi visto in tivù . Lui opera nel campo medico a Bologna. Vive in Italia da più di dieci anni e si approcia a me in un modo strano. Fa uso dei vocaboli più eloquenti, ostenta l'accento bolognese. Tra le righe,anche se con discrezione mi spiega che è in attesa della cittadinanza italiana con quella veemenza che caratterizza lo straniero deciso a sottolineare a tutti gli stranieri che non è esattamente uno straniero ma che in un certo senso è in fila per il permesso di soggiorno quasi per errore Non so se è perché ci sente parlare correttamente italiano, una donna che poi scopro essere cilena e impiegata in qualche ramo prestigioso dell'università, ha voglia anche lei di distinguersi dalla massa di stranieri convenzionali. Ogni tanto butta qualche parola nelle nostre discussioni, poi ci si inoltra completamente, anche lei ostentando sempre con finta discrezione di avere dimestichezza con la lingua italiana e delle realtà ad essa connesse. Poi mi accorgo che io sto facendo lo stesso gioco. Anzi che sono la causa motrice di quell'oasi perché allo sbirro che fa da butta fuori mi sono istintivamente espresso con un italiano perfetto, quasi eccessivo, come per dimostrare che nella bolgia di richiedenti a un diritto io ero quello che ne aveva un diritto maggiore al diritto poiché vivo qui da venticinque anni. Avevo voluto mettere le cose in chiaro allo sbirro agli stranieri in fila e sopratutto a me. Così formiamo il nostro capenello di stranieri per sbaglio. Arriviamo ad inserire nelle discussioni spunti intellettuali sulla letteratura italiana ed europea. Argomenti sull'attualità sulla politica interna ed esterna, ma più ne parliamo più emerge un che di discordante tra argomentazioni e qualità degli sguardi. Non coincidono proprio. Non sono chiacchiere spensierate e desiderate, ma sono chiacchiere indispensabili, chiacchiere utili a fuggire un disagio. Chiacchiere che sono una corsa disperata e competitiva volta a mantenere integra l'identità di persone risolte, sane, e non bisognose di cure mediche e di elemosine. Persone che da molti anni sono impegnati ad erigere la propria vita sul territorio italiano ed ora se la trovano divelta alla luce del sole, messa in discussione per poi a seconda di un giudizio essere ricucita con un pezzo di carta. Mentre parli di Musil e di Sartre un frammento di te pensa: "In realtà sono così abbietto da non valere neanche il servizio di un tabellone numerato"
Si è costretti a due ore di fila per poi eventualmente sentirsi dire con estrema facilità che il permesso di soggiorno non è ancora pronto e che devi tornare la settimana successiva. Magari hai fatto i salti mortali per procurati il giorno libero e può anche darsi che tu sia sceso da un paese di provincia a quaranta chilometri di distanza da Bologna. Deve sicuramente fare uno strano effetto sentirsi dire: torni la settimana prossima, così come se le ore di attesa, i problemi implicati all'assenza del permesso di soggiorno e il viaggio intrapreso fino a li si risolvessero in una semplice constatazione sul clima.
Puoi venerare, promuovere e vantare la tua dimestichezza con pratiche più elevate del semplice lavare i piatti. Puoi farti vanto del tuo lavoro di medico, di docente universitaria, di scrittore, elencare dal primo all'ultimo tutti giocatori delle squadre italiane. Rievocare e ridere di alcune vecchie frecciatine di Guzzanti, ma quando arrivi allo sportello e ti senti liquidare come uno straniero di sesta categoria non puoi che uscirne imbarazzato e depresso. Ogni senso di famigliarità e di appartenenza all'universo italiano viene chiuso da forze coercitive che ti spingono a un livello di inferiorità e di dissociazione rispetto a quanto professavi prima e a chi credevi di essere. Te ne vai via e reagisci con ostilità a tutto il complesso e ingolfato organo burocratico. E magari paventi l'idea di piazzare una bomba in questura e visto che ci sei mandi anche al diavolo Guzzanti, Schillacci, Pirandello e tutto il resto.

Diversa è la reazione invece quando ottieni il permesso di soggiorno. Ad un certo punto le discussioni mie, del nigeriano e della cilena erano uscite dal binario autoreferente. Vuoi per forze maggiori, vuoi per esaurimento di argomenti, vuoi per la potenza della realtà contro la sottile cortina di vanità sotto cui eravamo riparati, d'un tratto l'attesa di due ora scatena l'insofferenza verso il sistema burocratico del rinnovo che incombe lungo ed estenuante, mal organizzato. Ci inorridiamo e diciamo che è un sistema selettivo perché favorisce i cittadini migranti americani ed europei e contrasta noi del sud del mondo. Discutiamo della bossi-fini, delle sue nuove normative che impongono al lavoratore straniero di vivere in un alloggio a norma se no è esente da assunzioni e a rischio di espulsione. Ci chiediamo che senso abbia istituire una legge che preveda da parte del datore di lavoro la disposizione di una somma economica pari alle eventuali spese di espulsione del lavoratore straniero. Senza tale disposizione economica il datore di lavoro non può assumere il lavoratore straniero. Ci chiediamo perché la nostra permanenza sul territorio, la nostra vita, i nostri legami affettivi, formativi, la nostra identità, tutto quello che abbiamo creato, guadagnato, ammucchiato, generato fin ora debba dipendere da una lavoro ed essere cancellato in assenza di questo. Perché un contratto di soggiorno, e in concreto perché un contratto di vita?
Più ne parliamo più ci risulta complicato, irreale, illogico questa esigenza da parte del governo di gettare polvere negli occhi di gente che già di suo vive in funzione del lavoro, visto che è qui per lavorare perché altrove lavoro non ne trova. È una forzatura sul niente. Un guinzaglio a un cane che già di suo sta fermo. Una cintura di castità imposta ad una suora in clausura. Si impone il lavoro come cardine esistenziale a gente che gia di suo, per piacere, per desiderio, per esigenza è solita per sino svolgere gli straordinari. Fa turni di lavoro inumani per scelta personale. Gli sta bene passare intere settimane, giorni festivi alla guida di un camion. Ancora prima che fosse indetta la legge bossi fini al siriano a cui veniva chiesto di rinunciare alle ferie per completare un lavoro, lui rispondeva ora come prima di si. I pachistani aprivano e gestivano negozi di orto frutta prima e dopo la bossi fini. Le filippine facevano le badanti. Se a un venditore ambulante che fa giorni interi di marcia con la borsa pesante in spalla per vendere cose di casa in casa, prima della bossi fini gli veniva offerta la possibilità di un lavoro migliore, accettava allora come accetterebbe ora. Stranieri occupati a pulire o ad aggiustare le strade, stranieri che dopo il lavoro prendono lezioni nei corsi professionali, Stranieri che nelle corsie degli ospedali, o alla guida di ambulanza, soccorrono italiani e stranieri. Stranieri che occupano posti di rilievo nelle ricerche scientifiche, o che insegnano all'università, o che scrivono romanzi o che d'estate nelle spiagge aprono e chiudono le seggiole a sdraio dei bagnanti, dimostrano già di per se che lavorare è tra le attività più naturale e indispensabile all'uomo; senza l'ausilio di una spinta coercitiva, egli lavorerebbe comunque. Armarsi in questo senso, cioè premunirsi in termini drastici (perché l'espulsione è un rimedio drastico) vuol dire che non si considerano qualità naturali quelle del lavoratore straniero. Si considera a priori che lo straniero differisce da l'italiano sul piano del istintualità a svolgere un impiego. E in oltre, lasciatemelo dire, preoccuparsi delle spese di espulsione per ognuno di noi è come provvedere a creare un posto in galera per ogni bimbo che nasce. Accettereste mai se dopo il battesimo di vostro figlio venisse il questore a farvi firmare i documenti per le spese di carcerazione del neonato?
Imporre al datore di lavoro la figura del garante abitativo vuol dire che se normalmente un essere umano vive in un casa e fa il possibile per preservala noi stranieri siamo bestie che schiumano per le strade. Al freddo d'inverno ci vedete in famiglie di cinque o dieci figli agli angoli dei bar, sotto ai portici dopo aver lavorato otto ore in una fabbrica. Ci vedete danneggiare le case in cui viviamo, imbrattarle di vernice e sfondarne le finestre e urinare sui divani. Ma poi scusate, imporre il certificato d'idoneità abitativa che nesso ha con il lavoro? Il problema è la casa non a norma di legge? Il problema è che vi abitano più persone di quelle previste dalla legge? Ma sinceramente Chi sta poggio? Di chi è il dramma? Di quei cinque ammassati n un monolocale con l'impianto elettrico che salta e la stufa che funziona a pizzichi e bocconi o di Bossi o Fini. Si certo è immorale, incostituzionale, malsano vivere in cinque in un monolocale, ma perché appioppare la risoluzione di questo problema al datore di lavoro e non semplicemente alle strutture sanitarie. In oltre che opportunità avrei io, nel caso, di regolare la mia situazione abitativa senza il supporto di un lavoro? Per risolvere il problema non basterebbero dei semplici controlli. Non basterebbe piuttosto considerare quelle migliaia di case sfitte a norma areate e spaziose che spuntano ovunque?
Comunque a grandi linee è di queste cose che parlavamo io, il nigeriano e la cilena. Che nonostante siamo arrivati alla seconda generazioni di migranti, benché figli stranieri popolino gli asili, le classi medie e superiori, nonostante si arrivi a discutere il problema del crocifisso nelle classi, nonostante stia sorgendo un ingente movimento di letteratura migrante e che ormai sia assodato che senza il supporto dei migranti l'economia italiana crollerebbe, non si vedono ancora provvedimenti di legge che vanno a favore dello straniero, Nemmeno le accortezze più esigue come potrebbe essere un tabellone numerico in questura funzionante. Anzi si è ancor più di prima ostinati a vagliare leggi funzionali alla salvaguardia degli ospitanti in perfetto spirito manicheo. contro esseri forvianti congenitamente inclini a infrangere le leggi, gente che ancor prima di essere messa alla prova e che è già stata messa alla prova, va temuta e tenuta con le briglie. Noi tre discutiamo di questa realtà che non va di pari passo con la logica e siamo così accesi e accaldati che ci promettiamo d'ora in poi d'impegnarci. Diciamo: noi stranieri dobbiamo aggregarci in un movimento incisivo prenderci sul serio, discutere e reagire al problema e smetterla di incassare soltanto dei colpi. Le motivazioni sono tante, poi però succede una cosa. Appena varchi lo sportello della questura, dopo due ore di estenuate fila, magari fatta altre quattro volte in precedenza negli ultimi mesi, quando sei in possesso del tanto agoniato permesso di soggiorno il senso di redenzione è talmente elevato da pervaderti l'animo e indurti a dimenticare tutto il tormento che hai vissuto per ottenerlo. È un contrasto tra il prima e l'ora. E' adesso che ti senti in ordine, ora che ha evacuato il tormento. Quel pezzo di carta, facilmente nascondibile in tasca ha ripristinato la tua identità e attesta che per i prossimi due o quattro anni potrai continuare a fingerti italiano e respingere gli orrori che circuiscono l'universo dello straniero. Ora, l'unica esigenza è di tornare a casa e dimenticare che tipo di bestia sei stato in quelle ore di fila sotto la pioggia davanti ad uno sbirro che come un ufficiale delle ss ti urlava in faccia di stare in fila. Riassumi la tua integrità di uomo compiuto dopo quattro o cinque mesi di corse da un ufficio all'altro per avviare la pratiche per il rinnovo. Leggiadro ti senti anche un po stupido per aver insensatamente temuto l'espulsione. La tua dignità di uomo era stata messa in discussione e compromessa ma ora è qui sana e salva nelle tue mani. E ti vergogni anche un po' di aver sviscerato il tuo complesso di inferiorità con degli sconosciuti. Non li guardi nemmeno, quando esci o gli fai un cenno del capo e te ne vai, dimentico di tutti i buoni propositi.
A volte mi chiedo se tale dinamica di schizofrenia non stia alla base anche della realtà degli scrittori migranti. Forse a causa di questo termine "Migrante" che suona come una malattia infettiva, molti di noi hanno remore a identificarsi in tali, Dico forse per non peccare di presunzione. E magari vogliamo appartenere ad una realtà più abbellita, più affabile, più nivea, più ufficiale quale quello della letteratura Italiana. Ma ecco che se per forze maggiori non possiamo appartenervi e quella ci respinge a margine approfittiamo della nostra esclusività per farci forza l'un l'altro, per trarne benefici personali e farci un nome all'interno della scena letteraria attraverso convegni e divulgazioni delle nostre esperienze di scrittori d'eccezione. Sull'altro fronte, intendo sul fronte intimo, non ci accorgiamo di stare respingendo il vero potenziale di tutto ciò a cui è connesso la vera realtà migrante. Mi chiedo solo cosa ne verrebbe fuori in un cambio di prospettive. Cose ne verrebbe fuori se ci lasciassimo assorbire senza resistenze a quella realtà dei fatti che parte dai problemi del lava piatti e imbastisce in un unico movimento a più teste chi scrive un intervento per una conferenza sulla letteratura, e chi si trova in fila per il rinnovo del permesso di soggiorno e chi sta a farsi le ore di straordinari in un una fabbrica? Penso che il minimo comune denominatore sia il temine migrante. Penso che il termine migrante debba essere valorizzato in primo luogo dagli stessi migranti, soprattutto dagli intellettuali che grazie ai canali di loro competenza, grazie alle reti di contatto e alla propria attività di pensatori possono rappresentare un intera scena. Prendere coscienza della propria identità di migrante è per me realizzare di far parte di un movimento più articolato di quanto pensiamo e potenzialmente in grado di germinare un orgoglio devastante e prorompere in qualcosa di com

V° Seminario Italiano-Scrittori e Scrittrici Migranti- 19 luglio 2005

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(ISSN 1824-6648)

Jadelin Mabiala Gangbo: la sperimentazione narrativa

A cura di raffaele taddeo

 

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Anno 6, Numero 26
December 2009

 

 

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