El Ghibli - rivista online di letteratura della migrazione
Stile interculturale
STILE INTERCULTURALE DI RELAZIONE E DIALOGO ECUMENICO ED INTERRELIGIOSO
Due premesse:
Cultura
Cultura come un modo di stare al mondo e di dare significato all’esistenza propria e del mondo stesso. Lo si fa tramite racconti, miti, simboli, riflessioni teoriche, ma anche attraverso le pratiche, sia rituali sia quotidiane. Coinvolge tutta la persona e il gruppo/ popolo, a partire dalle dimensioni del corpo, della vita quotidiana (modi di cibarsi, di vivere il tempo, la produzione di beni, l’abitare, …), delle relazioni con gli altri, con la natura, con ciò che si percepisce come trascendente sé.
E’ necessariamente un insieme aperto agli stimoli esterni e al futuro.
E’ evidente che una relazione interculturale domanda non solo parole, ma dialoghi di gesti intessuti di esistenza quotidiana.
Complessità
In un mondo sempre più interdipendente, nell’insieme delle sue diversità, si richiede un riflettere e un agire all’altezza della complessità delle situazioni. Non sono possibili soluzioni semplicistiche, vanno preferiti i percorsi che promuovono il confronto tra diversità, per non giungere ad esiti dannosi per l’insieme del mondo stesso.
Un dato, una scelta:
Ormai siamo di fatto in una società multiculturale: sono presenti in Italia circa 190 provenienze nazionali diverse (italiana compresa); a Treviso siamo intorno alle 140. La multiculturalità è un dato di fatto. Quale stile adottare per ‘gestire’ tale dato, è frutto di una scelta: uno stile interculturale di incontro è una scelta.
Soprattutto non è scontato che in una società multiculturale si sviluppino automaticamente relazioni interculturali. E’ necessario in questo senso un investimento formativo.
Una proposta:
La multiculturalità, compresenza in uno stesso territorio di persone provenienti da culture diverse, è un dato; l’abbiamo appena visto, lo si voglia o no. La prima cosa da fare è prenderne atto: non cercare di negarlo ma chiedersi piuttosto: che fare?
Se si decide di tentare un incontro, crediamo che le vie, pur varie, abbiano dei criteri, dei ‘passaggi obbligati’ comuni. Sia attraverso la quotidiana esperienza sul campo sia attraverso la riflessione sugli incontri e i fallimenti sperimentati, se ne possono proporre alcuni.
Siamo convinti che molti di questi passaggi possano essere utili anche nell’affrontare la diversità data dalle differenti appartenenze religiose.
Anche perché l’obiettivo di un incontro fra persone di diverse appartenenze culturali non mira a trasformare l’altro in una mia fotocopia, né viceversa. E neppure a confondere le diverse identità in una unica e nuova realtà, annullando di fatto il volto di ciascuno. E’ prima di tutto il tentativo umile e quotidiano di accogliere l’altro per come è, e di farsi accogliere per come siamo.
Per camminare verso questi obiettivi, riteniamo importanti un impegno formativo intorno ai seguenti punti di riferimento.
1. - Identità come cammino di relazione
Iniziare a pensare la propria e l’altrui identità non come qualcosa di rigido, monolitico, da fissare una volta per tutte, ma come una vita che man mano cresce e matura nella relazione con il mondo e con l’altro diverso da me.
2. - Sospensione iniziale del giudizio sull’altro
All’inizio dell’incontro con l’altro, diventa molto importante sospendere il giudizio sull’altro e su di sé. Prima di chiedersi: “lui si comporta in modo giusto o sbagliato?” chiedersi “perché si comporta così? che senso ha questo suo modo di agire?” In questa fase mi interessa soprattutto capire almeno un po’ chi sia l’altro, prima di giudicarlo secondo il mio modo di pensare e sentire.
3. - Ascolto dell’altro e di se stessi
Si tratta quindi di ascoltare l’altro, così come si manifesta. Ascoltare lui, le sue emozioni, ma anche me stesso, le mie emozioni, le mie reazioni all’altro e al suo modo di presentarsi. Sapendo che il mio stesso modo di ascoltare dà forma, almeno in parte, a ciò che l’altro mi racconta (“ogni cosa viene recepita secondo la forma del recipiente che l’accoglie” ci ricorda sant’Agostino).
4. - Gestione positiva dei conflitti
Nella nostra cultura, il conflitto è considerato come puramente negativo, e si tende o a rimuoverlo o a risolverlo il più rapidamente possibile, usando anche la violenza se lo reputiamo necessario. In uno stile interculturale di relazione, invece, il conflitto viene inteso come compresenza di diversità che entrano in qualche modo in contatto tra loro. Una situazione complessa come la presenza di stranieri in uno stesso territorio è inevitabilmente conflittuale. Se gestita adeguatamente, può diventare occasione di maggior conoscenza di sé e degli altri. Ma non lo è automaticamente. Diventa necessario imparare metodi di gestione non-violenta del conflitto, senza pretendere di poterlo risolvere o superare ad ogni costo.
5. - Presa di coscienza di pregiudizi e stereotipi propri ed altrui
Un passo decisivo è rendersi conto che ognuno di noi accosta gli altri e il mondo attraverso il filtro di modi di vedere e pensare precostituiti (pre-giudizi e stereotipi) che derivano dalla cultura cui si appartiene e dalla propria storia personale. Cose in sé utili a semplificare il nostro modo di stare al mondo, e che non sono mai interamente superabili. Possono però, proprio attraverso il confronto con l’altro e con i suoi pregiudizi nei nostri confronti, essere resi coscienti e parzialmente rimessi in discussione.
6. - Riconoscere e gestire correttamente i propri bisogni e paure
L’incontro con l’altro è sempre segnato anche da bisogni (di sicurezza, di protezione, di autoaffermazione…) e da paure (che l’altro sia più forte, che minacci la mia vita e il mio benessere…). Di solito sono radicati in profondità, e ignorarli o demonizzarli serve solo a farli diventar più forti. Vanno riconosciuti, anche criticati, ma si ri-dimensionano soprattutto attraverso incontri positivi con chi è diverso da noi. Non basta il ragionamento razionale, è necessaria un’esperienza positiva di incontro e di relazione.
7. - Gestire il potere in prospettiva di una maggior reciprocità
I rapporti di potere esistenti vanno riconosciuti: aver chiaro noi stessi da un lato che gli altri arrivano in una società che ha regole e impostazioni già definite, e capire chi da noi ha realmente potere per decidere chi viene e come; dall’altro far passare questo messaggio anche a coloro che incontriamo. Non tanto per chiarire “chi comanda”, quanto per capire come stanno le cose al fine di farle evolvere verso una maggior reciprocità, un modo più condiviso di affrontare i problemi e i processi di trasformazione della società in cui viviamo, con realismo e positiva determinazione.
8. - Imparare a mettere le cose nel loro contesto
E’ il cammino necessario a rendersi conto che i nostri modi di fare e pensare si possono comprendere con chiarezza entro situazioni e contesti precisi, fuori dai quali diventano molto meno chiari. Questo vale sia per noi sia per coloro che incontriamo: dare per scontato che, ad esempio, gli altri capiscano già l’importanza di alcune nostre tradizioni culturali o religiose per il solo fatto di essere in Italia, o pretendere di sapere già quale importanza abbiano alcuni loro comportamenti senza tener conto del luogo da cui provengono, porta soltanto ad incomprensioni e fraintendimenti. Piuttosto, è necessario cercar di cogliere per quanto possibile la cornice di riferimento altrui e far conoscere la propria, per capire meglio cosa l’altro mi dice e che cosa venga compreso di quanto io dico all’altro.
9. - Riconoscere il profondo coinvolgimento del corpo nella cultura, nelle relazioni, nella scelta religiosa
L’incontro fra persone non è mai un fatto solo verbale; in ogni relazione entrano dinamiche non verbali (postura del corpo, gesti…) e in una relazione multiculturale anche modi diversi di associare odori, gusti, colori, suoni, contatti fisici alle proprie storie ed emozioni. Va tenuta presente tale complessità comunicativa e va educata la capacità di percepirla.
Questi sono solo alcuni dei principali ‘nodi’ su cui riflettere e lavorare per uno stile interculturale di rapporto fra le persone che possa essere utile anche tra coloro che appartengono a tradizioni culturali e religiose talvolta molto differenti tra loro.
Tutto ciò per poter procedere verso alcuni obiettivi importanti.
A. - Costruire insieme esperienze cui dare gli stessi nomi
Non è detto che i termini / i nomi che usiamo per ciò che viviamo indichino le stesse esperienze. Costruire esperienze condivise da vivere insieme, sia una gita o una cena o un percorso di aiuto per l’inserimento scolastico o… aiuta a capire il significato profondo di quel che anche l’altro vive, di qualche termine chiave della sua e della nostra cultura.
B. - Valorizzare le differenze
Le differenze vanno riconosciute come tali, non ignorate, non minimizzate, non esasperate. Ma non basta. Obiettivo di uno stile interculturale di relazione è quello di valorizzarle per arricchire l’insieme del rapporto, e questo è possibile con la pazienza, la fermezza, la capacità di ascoltare e di raccontare.
C. - Costruire reciprocità
La reciprocità non è già data, è piuttosto uno degli obiettivi a lungo termine del processo di relazione interculturale. Va costruita con pazienza e determinazione, attraverso chiarezza e disponibilità al cambiamento, mettendo in gioco ciascuno la propria identità come la si è concepita finora. Senza per questo abdicare a quel che siamo e siamo stati, piuttosto procedendo in avanti per approfondire e rinnovare scelte e convinzioni, per arricchirle di nuove consapevolezze che nascono dall’incontro con l’altro.