Un chiarimento a proposito delle tue proposte di scrittura in italiano: perché il racconto breve e il dramma teatrale? cosa hanno in comune e di diverso per una scrittrice come te?
Perché sono brevi i miei racconti? Non dipende dalla mia volontà. Nascono così. Forse perché la forma breve si addice alla mia personalità? La scrittura è anche auto conoscenza e domande come la tua, Carla, mi aiutano a conoscermi di più. Forse la brevità dei miei racconti è un residuo di una vecchia ansia infantile che mi costringeva a finire subito i compiti ricevuti. Ero quel tipo di bambina che prima di andare a giocare finiva i compiti della scuola. Evito però di “psicologizzare” la mia creatività. Il bello della scrittura è che non finisco un racconto per poi andare a giocare. Il racconto è il gioco.
La letteratura e il teatro sono le mie grandi passioni, accanto alla psicologia.
In São Paulo del Brasile mi sono diplomata all’Accademia d’Arte Drammatica. Da allora ho cominciato a scrivere per il teatro. Quasi tutte le mie pièces sono atti unici. Come vedi, anche nella forma teatrale è presente la brevità. O la mia scrittura teatrale deriva dall’abitudine della psicoterapeuta che comunica con il dialogo? Posso dire che le mie molteplici attività sono i vari emissari che convergono nel grande mare della letteratura.
Il racconto breve, come il dramma teatrale, è più diretto, più dinamico, stimola di più il lettore che senza accorgersene, legge pure di più. È come se il lettore dicesse a se stesso: “In questo ritaglio di tempo, ce la farò a finire questo racconto? Sì, è breve. Via, leggo pure quest’altro.”
I miei ultimi racconti sono un po’ più lunghi. E poi, ho appena terminato il mio primo romanzo. Abituata ai racconti, e per lo più brevi, ti lascio immaginare il gioco faticoso che è la scrittura di un romanzo.
Il testo “Olinda” colpisce proprio per l’autenticità delle soluzioni linguistiche proposte. La potenza del tuo stile sta nella leggerezza espressiva della giovane protagonista. Quanto ha faticato per raggiungere tale forma espressiva?
Il divertente è che non ho faticato per nulla. Fatico di più per scrivere correttamente in italiano, ma per creare il linguaggio di Olinda e di Ana de Jesus, non c’è stata alcuna fatica. Solo divertimento. Un giardino aperto davanti a me, solo gioco, senza compiti… Mi sono abbandonata alla mia “brasilianità”. In termini linguistici questo vuol dire che pensavo in portoghese e traducevo male in italiano. Ne è uscita questa lingua ibrida. Gli emigranti italiani in Brasile parlavano un po’ così, mescolando l’italiano e il portoghese. Pensavano di parlare in portoghese ma in realtà parlavano in “portuliano”, come alcuni dei miei personaggi.
Chi sei e da dove vieni? Sei arrivata a destinazione? Che differenza c’è tra migrazione esteriore e interiore?Siamo tutti migranti. Stiamo permanentemente abbandonando una terra per trasferirci altrove. Siamo migranti quando lasciamo i vecchi schemi e le vecchie abitudini per aprirci a nuove circostanze di vita. Un matrimonio, una separazione, la morte di una persona cara, un viaggio (non da turisti), persino la lettura di un libro sono delle migrazioni interiori. Poi, c’è la migrazione di chi lascia la madre terra per vivere altrove. Ogni migrazione esteriore a poco a poco diventa anche interiore. Gli ostacoli possono trasformarsi in occasione di crescita. È un processo lungo e doloroso. Chi sono? Io sono tutti i miei personaggi ( “Madame Bovary c’est moi!” diceva Flaubert). Tutte le mie storie hanno qualcosa di me e nascono probabilmente dai miei conflitti interni. Le mie origini sono portoghesi, da parte della famiglia di mio padre, e tedesche (prussiane) da parte di mia madre. Ho vissuto l’infanzia (la mia vera patria) in Brasile. Penso che il mio italiano sarà sempre un po’ lusofonico. Se sono arrivata a destinazione? Fortunatamente, no. Solo nel momento della mia morte potrò dire di essere arrivata a destinazione. E anche allora penso che inizierò un nuovo viaggio. Una nuova migrazione…