Christiana de Caldas Brito
Giocare con le parole
Christiana de Caldas Brito, brasiliana, ha vissuto infanzia e adolescenza a Rio de Janeiro. Vive a Roma, dove svolge attività di psicoterapeuta per l’infanzia. Ha scritto racconti in antologia da Fara editore per il concorso Eks&Tra- Ha pubblicato nel 1998 il libro di racconti Amanda Olinda Azzurra e le altre per Lilith e nel 2000 per le edizoni Il Grappolo il libro per l’infanzia La storia di Adelaied e Marco.
Avevo letto un saggio di Christiana dal titolo Lo zaino della saudade, nell’antologia Memorie in valigia (Fara), che parla delle ragioni che portano uno straniero a scrivere storie in italiano. Quelle righe hanno un tono dolce ma, quasi inconsapevolmente, trasudano autorevolezza. Ho avuto lo stesso presentimento quando ci siamo sentiti al telefono: voce soave e pensieri profondi. Dopo qualche telefonata sono passato a leggere i suoi libri, poi ho formulato qualche domana a cui ha risposto tramite posta elettronica. I contatti sono proseguiti ulteriormente ed abbiamo instaurato un dialogo che ancora non accenna a finire.
Ho notato che le storie del suo libro Amanda Olinda Azzurra e le altre hanno in alcuni casi tematiche simili, parlano d’immigrazione femminile e nello stesso tempo hanno sitili diversi tr loro. Sembra quasi che abbia voluto sperimentare tante possibilità di “farre” un racconto per riuscire a trovare uno stile personale, una sua “voce”. Narrazioni come ad esempioChi sono diverse stilisticamente da un racconto come Lavandaie in quattro tempi. Spesso in casi simili per gli scrittori esordienti si parla di disomogeneità dovuta al fatto che gli scritti sono ancora in fase di laboratorio, qual è la spiegazione di questa netta differenza stilistica? C’è una ragione?
Sì, con i miei racconti, è come se io stessa cercassi una mia “voce”... Lo sa che all’inizio avevo pensato di chiamare questo libro “Storie di donne senza voce”? Una scrittrice si conosce attraverso quello che scrive, ma anche da quello che i lettori arguti dicono della sua scrittura. Senz’altro, caro Davide, lei è un lettore arguto. Ha ragione quando osserva che sono alla ricerca di uno stile. In fondo, credo che raggiungere uno stile personale sia la meta di ogni scrittore, no? Proust diceva che lo stile per lo scrittore, era come il colore per il pittore, “non una questione di tecnica, ma di visione”. Nel caso del mio libro, esiste anche una ragione più prosaica che spiegherebbe la “disomogeneità” da lei osservata: i racconti non sono stati scritti nello stesso periodo. Qualcuno addirittura appartiene alla mia adolescenza…
Gli scrittori che intraprendono seriamente una ricerca sulle proprie tematiche e il proprio stile, molte volte arrivano a una propria poetica. Qual è la sua? Quali sono le sue intenzioni quando affronta la pagina bianca?
Lo stile di uno scrittore ha sempre a che fare con la capacità di giocare con le parole e dalla sincerità con cui lo scrittore conduce questo gioco. Ho sempre avuto un grande amore per le parole. Essendo una psicologa, lavoro anche con le emozioni. Che cosa desidero ottenere con la mia scrittura? Una maggiore conoscenza di me e dell’animo umano. Cerco di andare in fondo alle mie emozioni, vestendole di parole. Sono sempre contenta quando un lettore dice di essersi emozionato con le mie storie. Questo significa che lui ha afferrato e dilatato le mie emozioni che diventano sue, quando mi legge. Scrivere (e, naturalmente, leggere) è come andare in altalena: da un lato, lo scrittore, dall’altro, il lettore, nell’equilibrio del movimento, un gioco in cui si alternano le posizioni: su, giù, su, giù... In realtà, ogni lettore continua a “scrivere” il libro che legge: scopre intenzioni, interpreta situazioni, conduce il libro in direzioni a volte neanche volute dall’autore stesso. La mia prima intenzione quando affronto una pagina bianca è liberarmi da un’emozione. Scrivendo, riesco a capire di quale emozione si tratta. I miei personaggi sono le mie paure, le mie gioie, i miei dubbi, la mia luce e la mia ombra che si manifestano. Prendo coscienza di me stessa attraverso la scrittura. Fortunatamente, è un processo divertente. Sono d’accordo con Stephen King quando dice che “la scrittura è come una grande pompa che mantiene la pressione gradevole e costante e che permette di sfogare ogni ingorgo dell’anima.” Sì, le parole liberano l’anima. Inoltre, in un mondo bombardato dalle immagini, gli scrittori hanno il difficile compito di mantenere viva la parola scritta.
Vorrei affrontare il tema dell’ ambientazione: come decide dovee quando svolgere una storia? Come sceglie tempi e luoghi della narrazione? Disegna schemi o canovacci, ha particolari strategie?
Torniamo alla sincerità dello scrittore. Se le emozioni del personaggio sono vere, il racconto o il romanzo avranno la giusta ambientazione. È il personaggio che crea l’ambiente e non vice versa. Un personaggio vero trova sempre il suo ambiente. Ad uno scrittore in erba, direi quello che dico a me stessa: prima di tutto, fedeltà alle proprie emozioni! Se io scrivo e non mi emoziono, non va bene, capisco che neanche il lettore si emozionerà con le mie pagine. Ma - e questo è curioso - se mi emoziono mentre scrivo, già non mi importa se il lettore si emozionerà o meno. Il prossimo passo è curare la forma, lasciarsi invadere dalle parole giuste, trovare il ritmo del racconto. Leggerlo a voce alta, aiuta. Tra le mie storie, preferisco quelle nate dai miei sogni. (Mi riferisco alla vita onirica, non al “day dreaming”). Evidentemente, i miei sogni svegliano le emozioni più profonde… A volte, sogno un’immagine così forte che la devo trasformare in un racconto. È stato così con La storia di Adelaide e Marco. Ho sognato una ragazza che fluttuava in aria; l’unico contatto che lei aveva con la terra era una sua ciocca di capelli legata ad un filo dove si stendono i panni. Svegliandomi, mi sono domandata: chi era quella ragazza dai capelli lunghissimi e così resistenti? E come faceva a volare se non aveva le ali? Da questi interrogativi, è venuto fuori un altro personaggio: Marco, un ragazzo alato. Era lui che portava Adelaide… L’ambiente della storia è stato una mera conseguenza delle caratteristiche dei due personaggi. Naturalmente, anche la vita quotidiana è grande fonte di ispirazione. Trovo i miei racconti aspettando l’autobus, nello studio medico, in una piazza pubblica, mentre cucino la pasta… Credo che la noia possa essere molto utile agli scrittori. È un’eccellente suggeritrice a chi sia disposto ad esercitare la fantasia. La noia senza la fantasia diventa disperazione, ma con la fantasia si trasforma in creatività. La vittoria della noia rappresenta il fallimento dell’immaginazione. Io non ho ancora pubblicato un romanzo, ma lo sto “costruendo” in questi giorni. (Uso appositamente questo verbo). Un racconto si può costruire in uno stato di grazia (sotto forte ispirazione), un romanzo, no. Il romanzo esige un lavoro prolungato che ti porta a scrivere anche quando non sei ispirata. Richiede disciplina, ricerca, coerenza cronologica degli eventi, una revisione esauriente. Una cosa è accompagnare con gli occhi una nuvola che passa di pomeriggio nel cielo (un racconto). Un’altra è accompagnare con lo sguardo molte nuvole che passano nel cielo di giorno e di notte per un lungo periodo (un romanzo). Sia il racconto, sia il romanzo devono essere prodotti da un lavoro accurato, ma il romanzo esige più sforzo, è più faticoso. Non uso schemi o canovacci quando scrivo. Parto per un viaggio a sorpresa. La storia nasce da un’idea e continua quasi magicamente, come se io seguissi una traccia interiore sconosciuta, ma molto chiara. Ho capito che con il romanzo ci vuole più prudenza, più programmazione. Nella stesura di un romanzo c’è bisogno della stessa “scaletta” che uso quando scrivo per il teatro. Per mancanza di una traccia direttiva, succede spesso di trovarmi come Penelope, a distruggere di notte le pagine scritte di giorno…
Perché ha deciso di cimentarsi un una lingua, l’italiano, che è parlata e scritta da un ristretto numero di persone nel mondo? Quali sono state le vicissitudini e le motivazioni che l’hanno portata a scegliere la lingua di Dante per comunicare?
Non è una mia scelta, ma una necessità. Scrivo in italiano perché vivo e pubblico in Italia. Se un racconto chiede di essere scritto nella mia lingua natale, rispetto questa esigenza e poi, lo traduco, ma di solito scrivo direttamente in italiano.
A volte, soprattutto quando si inizia a scrivere da giovani, si scrive e si pubblicano racconti seguendo il proprio istinto. Si arriva ad un certo punto in cui ci si chiede come si sia riuscito a scrivere in quel modo e su quel tema. Le chiedo: come si può controllare con la ragione quell’abilità inconscia, cercando di ottenere dal proprio talento la soluzione migliore?
È importante seguire l’istinto se uno vuole scoprire le proprie tematiche e avere uno stile personale. L’atto creativo sfugge al controllo razionale, è più legato all’inconscio che alla ragione. In una prima fase, credo che ci si debba abbandonare alla gioia dello scrivere senza censure razionali. Poi, lavorare con la ragione e vedere quello che funziona o meno. Sono d’accordo con Gide: “Scrivi, se vuoi, nell’ebbrezza, ma sii sobrio quando ti rileggi”. Per scrivere, non esistono regole applicabili dall’esterno. Le regole si scoprono, scrivendo. Molto importante è leggere. La lettura è una vera scuola per uno che ama scrivere, ma bisogna leggere con l’attenzione di quando si scrive, cioè osservando come quel determinato autore supera gli ostacoli che spesso troviamo davanti a noi.
Nella ricca profusione di idee che ha uno scrittore c’è sempre una storia più forte di altre e che vuole/deve essere raccontata a tutti i costi. Trovare idee non è difficile, difficile è capire quale, tra le tante storie, potrebbe diventare un buon racconto. Qual è la sua tecnica per capire quale storia le interessa più di altre e che riuscirà a sviluppare come si deve?
A livello di idee, non esistono garanzie per un buon racconto, ma quando ho un’idea che mi sembra ricca di sviluppi, la butto giù immediatamente in un “file” che ho denominato “idee per racconti”. Posteriormente, mi diverto a continuare una delle idee (quella che, nel momento, mi attira di più). Capita anche che mi chiedano di scrivere un racconto su un determinato tema: consulto il mio “file” e, stranamente, un abbozzo di racconto che si adatta benissimo al tema richiesto, è lì, in attesa… Capisco che è arrivato il momento di finire quel racconto. Secondo Jung, questo non sarebbe una coincidenza, ma un caso di “sincronicità”… Di solito, scrivo ogni esperienza interessante e, quando viaggio, prendo delle note. Servono come spunti per futuri racconti.
Lei, di origini brasiliane, nella postfazione al suo libro di racconti dice di essere cresciuta sentendo i racconti del folclore portoghese (Histórias da Carochinha) , le storie di Heinrich Hoffmann e Wilhelm Busch (Max und Moritz) accanto alle leggende brasiliane. Molti scrittori ammettono di scrivere anche perché leggono e hanno letto. Quali sono le letture e gli autori più formativi per la sua scrittura? E perché?
Effettivamente, l’abitudine di leggere è fondamentale. In un mondo rumoroso che sfugge il silenzio e alimenta la superficialità, l’atto intimo e silenzioso della lettura è l’esercizio per eccellenza per chi ama scrivere. L’attività della lettura crea dimestichezza con le parole. Uno dei ricordi più belli della mia infanzia era una sorpresa aspettata… Nel giorno di Natale, mia madre mi regalava un libro scelto da lei da un elenco di libri che desideravo. C’era un fascino tutto speciale nell’attesa di sapere quale libro sarebbe venuto a far parte della mia vita. Prima di imparare a leggere, ho sentito molte storie e favole da mia madre o da mia nonna. Mamma inventava delle storie che raccontava in episodi durante la cena. Era un modo per fare noi, bambini, mangiare. In realtà ci stava doppiamente nutrendo… Ho una particolare ammirazione per Thomas Mann (di cui, escludendo il carteggio, ho letto tutta l’opera) e Virginia Woolf. Tra i brasiliani, i miei preferiti sono: Guimarães Rosa e Clarice Lispector. Degli italiani , l’autore che più mi ha aiutato è Calvino per la sua fantasia e capacità di osservazione del quotidiano.
Il suo secondo libro La storia di Adelaide e Marco pubblicato da Il Grappolo, è “una fiaba per adulti e bambini”, come lei ama definirla. C’è una ragione che l’ha portata alla fiaba? Quali sono le differenze più evidenti fra la scrittura dei racconti di Amanda Olinda Azzurra e le altre e questa fiaba?
No, Davide, non c’è una ragione. Quando scrivo, obbedisco ad un bisogno interiore. Mentre scrivevo “La storia di Adelaide e Marco” è che mi sono resa conto che era una favola e che stavo scrivendo per i bambini. Probabilmente mi è rimasto un ricordo bello delle molte favole sentite o lette durante l’infanzia. Lei mi domanda quali siano le differenze più evidenti tra i racconti di “Amanda Olinda Azzurra e le altre” e la mia favola scritta per i piccoli. Io, invece, la inviterei a guardare le somiglianze che ci sono fra questi due testi… Non crede, Davide, che esista una forte componente di fantastico nei miei racconti? Vediamo: Sylvinha con la Ypsilon impicca il suo cuore, butta dalla finestra la Ypsilon del suo nome… Ana de Jesus sente sua nonna che le racconta una favola che è quasi un koan (un enigma zen) di uno zaino vuoto che pesava troppo… La morte, in uno dei miei racconti, è una lettrice accanita che trasforma in libri le vite che porta con sé… In un altro racconto, la lavatrice “parla” con una lavandaia… Un cuore è trovato vivo in una strada… Sa che Le dico, Davide? Mi sto rendendo conto, grazie alla sua domanda, che ci sono più somiglianze che differenze fra i miei racconti e la mia favola…
Può capitare di sentire un blocco psicologico in alcuni momenti o fasi in cui si scrive. Lo scrittore diventa inattivo, non riesce a scriver nemmeno una riga di racconto. Se le è accaduto, come è riuscita a superare il famigerato blocco dello scrittore?
Questo è un serio problema che sto affrontando nella stesura del mio primo romanzo. È sempre piacevole scrivere quando ci troviamo nello stato di grazia dell’ispirazione, ma bisogna continuare anche se ci sentiamo bloccati. I pezzi usciti con difficoltà potranno essere migliorati, rifiniti, scritti diversamente, in un secondo momento. Non possiamo sfuggire a questa componente ardua e faticosa dell’elaborazione di un testo. Non si dice scherzosamente che scrivere è dieci per cento di ispirazione e novanta per cento di traspirazione? A volte, conviene lasciare il testo (e la testa…) in riposo, per qualche giorno. Come nell’innamoramento, il distacco aumenta l’entusiasmo con cui si riprende il contatto con la propria scrittura. Prima di finire, vorrei ringraziarla, caro Davide, dell’opportunità che mi ha offerto di riflettere sulla mia scrittura. Avrei una domanda da porle: anche lei è uno scrittore?
Ecco, finalmente una domanda anche a me dopo tante domande poste ad altri. Le rispondo subito: provo ad essere scrittore, con tutta la volontà del caso e la necessità, oserei dire, naturale. È troppo difficile dirsi scrittore, se si ha un minimo di consapevolezza e considerazione per quelli che si pensano essere Gli Scrittori. Questo mio progetto di interviste ha lo scopo di creare sodalizi, di parlare e confrontarmi con altri che affrontano la scrittura. Tutto ciò, le parole e le risposte, non fanno altro che accrescere la mia consapevolezza di scrittura. Mi torneranno utili.
in Da qui verso casa,ed.interculturali,2002