El Ghibli - rivista online di letteratura della migrazione

Valentina Bollo

1. Non c'è niente di riduttivo nel vivere in un paese diverso da quello in cui sono nata e nello scrivere nella lingua del mio nuovo paese. Anzi. Forse riduttivo sarà lo sguardo di chi classifica gli scrittori/scrittrici migranti. Per me, il vero problema non è quello di essere o non essere una scrittrice migrante, ma è quello di essere o non essere una buona scrittrice.

2. Scrivo direttamente in italiano. Se durante il lavoro creativo, nella mia mente s'intromette una qualche parola in portoghese, l'accetto così come viene, senza perdere il flusso creativo. Tradurre quella parola in italiano farà parte di un secondo momento. Ma succede sempre più di rado.

3. Mi correggo innumerevoli volte. Leggo a voce alta per vedere se il ritmo narrativo funziona. Naturalmente, ci tengo anche alla correzione esterna.

4. È una domanda simpatica. A dire il vero, non ho mai pensato se Ana de Jesus e Olinda parlino come parlavo io appena arrivata in Italia. In alcuni sbagli, probabilmente sì.

5. Il "portuliano" consiste nel pensare in portoghese e usare le parole in italiano e, ogni tanto, invertire il processo. Sì, è una specie d'interlingua usata anche dagli emigrati italiani arrivati in Brasile a fine Ottocento e inizio Novecento, che pensavano di esprimersi in portoghese ma in realtà parlavano il "portuliano".

6. Sono delle affermazioni molto belle che corrispondono a dei vissuti psicologici. Resta sapere se chi migra scrive in una nuova lingua o se scrive nella stessa lingua della sua patria. Per me, il vero migrante è quello che cambia anche la lingua della sua scrittura. Se patria è quel posto dove ci sentiamo a nostro agio e dove camminiamo con sicurezza, hanno ragione Said e Pessoa. Per me, la vera patria di uno scrittore è la sua infanzia.

7. Come esperienza personale non ho avuto crisi d'identità ma all'inzio della mia vita in Italia ho affrontato problemi di "saudade" (quella nostalgia malinconica che accompagna chi lascia il proprio paese) e di solitudine.

8. Potresti chiarirmi cosa vuoi dire con "cocktail linguistici di cultura di massa"? Potresti darmi un esempio?

9. Secondo me, la conoscenza di più lingue amplia le capacità espressive e umane. Il vero problema per chi scrive è guardare il mondo con i propri occhi, è provare ad osservare la realtà come se la vedesse per la prima volta. Questa esigenza si riflette sulla qualità delle metafore usate. Ogni scrittore desidera creare un proprio modo di esprimere quello che vede. Questo sarebbe il suo stile letterario. Credo che le caratteristiche della scrittura ripropongano in realtà anche lo stile di vita di ogni autore. Proust diceva che lo stile di uno scrittore non era un problema di tecnica ma di visione. Personalmente, la conoscenza delle lingue mi ha sempre aiutata ad andare più in profondità alle cose, ad essere più concreta, più aderente al reale.

10. Credo di sì, che faccia parte del mio stile. Provo a vedere il mondo con i miei occhi. I miei occhi sono verdi, e verde è uno dei colori della bandiera brasiliana. Sarà per questo che ci sono le interferenze lusofone? :-) Non posso giudicare la creolizzazione della lingua italiana presente nella mia scrittura. Sarebbe come chiedere ad un bambino che va in bicicletta se pedala di più con il piede sinistro o destro. Quello che il bambino desidera è che la bicicletta lo porti dove vuole arrivare. Lui si diverte a pedalare ed è felice con il vento che lo spettina. Quando scrivo, sono troppo coinvolta. Lascio ai lettori il compito di giudicare se ci sono o meno interferenze lusofone nel mio italiano.

Home | Archivio | Cerca

Supplemento

(ISSN 1824-6648)

Christiana de Caldas Brito

A cura di raffaele taddeo

 

Archivio

Anno 4, Numero 16
June 2007

 

 

©2003-2014 El-Ghibli.org
Chi siamo | Contatti | Archivio | Notizie | Links