El Ghibli - rivista online di letteratura della migrazione

Clotilde Barbarulli

Clotilde Barbarulli

Amanda Olinda Azzurra e le altre

Nel 2002 lavorando su scrittrici migranti che scrivono in italiano, l’incontro con la scrittura di de Caldas è stato significativo: quei brevi racconti che, fulminei nelle silenziose tragedie, con il tocco lieve dell’ironia e del fantastico, ci inondano con una visione poetica e politica sull’oggi, mi sono parsi intensi e lessicalmente innovativi. Sono perciò contenta che siano stati di nuovo pubblicati, dato che ormai l’edizione del 1998 era esaurita.
Nel dibattito che si è svolto a marzo sull’Unità, relativo alla letteratura contemporanea, si è parlato dell’incapacità degli scrittori a parlare del presente: non lo raccontano perché hanno perduto il linguaggio per farlo. Così nei libri non c’è più alcun riferimento a persone in carne ed ossa, e quindi bisogna ricorrere alla lettura dei diari e degli epistolari. Al di là che si è trattato di un dibattito rigorosamente al maschile (e questo meriterebbe un discorso a parte), mi limito a sottolineare che la scrittura femminile non ha perso –mai- il contatto con il corpo. E le scritture migranti, come nel caso di De Caldas, parlano proprio il linguaggio del desiderio, della corporeità e del presente.
Le scritture migranti in lingua italiana indicano, per me, un modo di scrivere tra lingue e tra culture: operano così un movimento tra diversi strati del linguaggio e dell’immaginario, e richiedono a chi legge di inserirsi in una dinamica di continui passaggi. Se chi scrive è –comunque– un coagulo di identità e di ruoli, perché è in movimento, in transito fra esperienze, sentimenti e immaginari, attraverso un viaggio nell’ignoto del sé e dell’altro, e tuttavia cerca di rendere dicibile il caos, de Caldas riesce a scrivere proprio il silenzio di alcune giovani donne.
Per Anna Maria Ortese (1989), tutta "la storia della vita delle donne è piena di silenzi, di grida disumane, a volte, ma più spesso di silenzio… Il silenzio è proprio di chi non ha valore o non gli è riconosciuto dal potere…Perché parlerebbe, se la sua voce è intesa solo come un suono confuso nel vento?" Nella scrittura di de Caldas, l’impossibilità di dare corso libero ai sentimenti per le immigrate ha come effetto la rinuncia alla comunicazione: il bisogno di vivere non trova modalità di esprimersi e di realizzarsi, incontra solo il silenzio come forma e sostanza dell’interazione umana: il silenzio dilaga non solo nel tacere ma anche nell’ascoltare, perciò implode dentro la persona. Da una parte l’invisibilità della migrante ("Chi sarà Chi? Chi chiunque. Chi dovunque. Chi comunque. Indefinita e relativa, l’immigrata Chi"), dall’altra le parole della propria lingua che restano nel cuore e si mescolano con le altre (nel racconto Ana de Jesus): pochi sanno sentire "le parole che stanno zitte dietro le parole rumorose". Nella lingua sperimentata dall’ autrice non solo la sintassi si contamina nell’incontro fra due lingue, ma anche la fonetica: così Ana de Jesus cerca di esprimersi facendo appello alla fisicità acustico-motoria della lingua: "Se le mie parole tengono un ritmo, e se tu capisci il ritmo, perché non posso sbagliare le parole?" Azzurra, ossessionata dal non trovare ascolto nello "stivale azzurro", viene travolta dalla follia e dall’odio e finisce per uccidere un corpo "azzurro" con un coltello "azzurro", nelle "lenzuola macchiate d’azzurro".
Se, come ha detto la stessa autrice, il fantastico irrompe nella letteratura sudamericana per superare le ingiustizie sociali, direi che nella letteratura italiana sembra assumere la funzione di far emergere le ingiustizie nei comportamenti e nelle norme del nostro Paese, e permette di affrontare con apparente leggerezza i drammi individuali in una società arroccata e chiusa: il fantastico nel quotidiano dunque, qualcosa che sfugge alla logica, per toccare temi delicati e gravi, esistenziali e sociali.
Se la perdita della terra e della lingua d’origine può creare spaesamento, in campo letterario l’incontro con la lingua straniera non è semplicemente un arrendersi alla lingua dominante, ma può essere un mezzo per dire l’alterità culturale nel corpo stesso della scrittura. Si ripropone lo spazio della frontiera: figura dell’attraversamento (Anzaldua, Zaccaria) che non comporta oblio, ma la necessità di portarsi dietro odori, suoni, volti, parole, in contrapposizione ad una nozione statica dell’identità. Il ‘sentirsi a casa’, dice Agnes Heller, non è solo un sentimento, ma anche una disposizione emotiva, ovvero una emozione-quadro che comprende molte emozioni specifiche, i suoni (il vento, l’autobus…), i colori (il cielo, i fiori…), gli odori, le forme (la casa, il giardino…), infine il linguaggio: la lingua ‘materna’, il dialetto locale, le filastrocche, i gesti: densità sensoriale dell’esperienza di essere a casa nello spazio delle fragranze e dei suoni familiari. E l’identità frantumata ed eccentrica delle autrici migranti trova proprio nel testo occasione e luogo per ri-costruirsi, affidando all’atto della narrazione il senso "irrinunciabile" della propria esistenza (Cavarero), del sentirsi a casa.
Le parole e le immagini migranti sono immerse nel fluire del linguaggio ed attraversano etichette e confini.Oggi con i passaggi in atto si è spinte a costruire una scrittura che diventa spazio di narrazione di una identità in continua trasformazione: scrittura migrante quindi come scrittura della spazialità, in una letteratura che sta divenendo sempre più (nonostante la chiusura degli accademici e degli Harold Bloom) campo di transizione linguistico-culturale, spazio polifonico di confronto, dove figure di donne ci invitano a guardarle ed a guardarci con occhi diversi.

da "LEGGEREDONNA", MAGGIO-GIUGNO 2004

Home | Archivio | Cerca

Supplemento

(ISSN 1824-6648)

Christiana de Caldas Brito

A cura di raffaele taddeo

 

Archivio

Anno 4, Numero 16
June 2007

 

 

©2003-2014 El-Ghibli.org
Chi siamo | Contatti | Archivio | Notizie | Links