Il Giardino
Racconto d’iniziazione, racconto fantastico, “racconto di saudade”. Il giardino può essere queste tre cose contemporaneamente senza che esse siano in conflitto tra di loro; la trama, brevemente, è la storia di Maira, che comincia a desiderare un giardino diverso da quello di casa sua, “un giardino più vasto, più eccitante e pericoloso" (1). E quindi parte, non si dice precisamente per dove, ma si reca in Europa; al suo ritorno dopo dieci anni, tutto è rimasto esattamente come lo aveva lasciato quando era partita. Rimane sgomenta e interdetta, così come rimane sgomento e interdetto il lettore, che non riesce a spiegarsi in maniera razionale come sia possibile quanto ha appena letto. Tale procedimento di straniamento, è tipico dell’opera di de Caldas Brito, in particolare nei racconti, in cui aspetti apparentemente inspiegabili e fantastici vengono presentati con la naturalezza dei fatti di ogni giorno, e con essi convivono in una simbiosi del tutto perfetta. E allo stesso modo il filo dorato di cui si parla nel racconto potrebbe essere reale o metaforico con la stessa probabilità, sebbene esso assuma un simbolico significato di appartenenza; come allo stesso modo il viaggio di Maira può essere o non essere accaduto realmente.
La dimensione onirica, spesso presente nei racconti dell’Autrice, potrebbe essere una spiegazione dell’inesistente salto temporale per gli altri personaggi del racconto; ed è l’Autrice stessa ad autorizzare questa possibile interpretazione, presentandoci tutti i sogni – anche se nel senso di obiettivi – dei personaggi, fino a quando il padre di Maira non le chiede quale sia il suo sogno:
" “ E tu, Maira, qual è il tuo sogno?” Fu la domanda a svegliare il sogno, papà. Non pensavo di averne uno. Mesi dopo ti diedi la risposta: “Voglio viaggiare, papà, il mio sogno è partire” " (2).
L’Autrice, tramite la voce di Maira, sembra dare anche una risposta al lettore, favorendo quindi una interpretazione in chiave onirica; il viaggio di Maira in realtà quindi non è mai avvenuto. O forse sì? Suo padre va comunque a prenderla all’aeroporto, al momento del suo ritorno… Ed è a questo punto che Il giardino diventa racconto di iniziazione e quindi quasi parallelamente, racconto di saudade: Maira comincia a sentire che quel mondo fuori dal mondo non le appartiene, che vuole di più, sente che oltre il suo edenico giardino esiste un mondo intero da esplorare e che aspetta solo lei per essere scoperto: decide di partire, decide di affrontarlo, quel mondo, e di diventare così, fino in fondo, una donna. Parte. Ed immaginiamo che affronti una serie di esperienze che la cambieranno per sempre; e come in tutti i racconti di iniziazione, l’eroe – in questo caso l’eroina – torna alla casa paterna con una consapevolezza nuova, diversa ma sempre fedele a se stessa:
“Non torno perché mi sono trovata male. In Europa faceva freddo, ma nel freddo si studia e si lavora meglio. Non ho avuto conflitti con l’efficacia frettolosa degli europei. Ho imparato anche io a fare le cose in fretta. Torno per riacquistare il ritmo delle nostre serate in giardino, un ritmo fatto più di cose sognate che realizzate”.
Torna ancora una volta il sogno, stavolta in opposizione con la cultura europea occidentale; ed è proprio in questo spazio di opposizione, in questo momento di transito che si inserisce la saudade: Maira torna a casa perché vuole “riacquistare il ritmo" (4) della sua terra, un ritmo senza dubbio più lento e senza dubbio più umano.
Secondo quest’ottica, dunque, Maira è realmente partita, ed è realmente tornata; ma la sua famiglia non è come ella l’aveva immaginata al momento del suo ritorno: Maira credeva di trovare tutti con quei dieci anni in più sulle spalle, i genitori invecchiati, i fratelli cresciuti. Invece li trova tutti uguali, ma proprio perché in realtà essi sono sempre rimasti identici a se stessi, mentre ella è cambiata; gli anni per la sua famiglia non sono mai passati in quel giardino senza tempo, al di fuori del quale invece il tempo corre veloce, secondo una quasi perfetta relatività einsteiniana!
Ciò che fa sì che Maira veda diversamente la sua famiglia è il suo allontanamento da quel mondo, l’allontanamento che è avvenuto nella sua mente delle immagini della sua famiglia, deformate ancor di più dalla saudade di loro ogni volta che li richiamava alla mente. Maira torna perché ha saudade della sua famiglia, della sua infanzia; una volta tornata a casa sembra paradossale che non sia contenta di trovare tutto esattamente come l’aveva lasciato al momento della partenza: non doveva essere questo il suo più grande desiderio? Invece desidera che tutto sia diverso, che tutto sia cambiato come lei, perché appunto ella è cambiata. Ecco però che il realismo si tinge di fantastico, e che quest’ultimo, cacciato dalla porta, si ripresenti entrando dalla finestra. Lo stesso finale del racconto, che sembra ripetere come in una sorta di eterno ritorno quanto già narrato prima, suggerisce la dimensione fantastica; ciononostante, la pregnanza semantica e la potenza narrativa di questo racconto così breve, risiede proprio in questa intrinseca polisemia, per cui ogni interpretazione collocherebbe il racconto in una dimensione parallela e solo parzialmente sovrapponibile alle altre.
Infatti, Maira potrebbe non essere affatto partita, ed il racconto del suo viaggio potrebbe essere soltanto il racconto di un sogno che ha fatto durante una delle sere in cui sedeva sulla panchina di legno che le era stata assegnata, quando, dopo essersi addormentata nell’aria fresca del suo giardino, la mente si era librata nell’aria e aveva sognato un futuro nuovo e diverso oltre quella sorta di gabbia dorata; e non sembra un caso che quel filo sia dorato, come una gabbia che protegge ma limita, che è meravigliosa e piena di pace, ma che separa dal resto del mondo.