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raffaele taddeo

La produzione di Christiana de Caldas Brito sta diventando davvero consistente: racconti, un romanzo, pieces teatrali. Esiste in questa varietà di espressioni un nucleo poetico che sostenga e riconduca ad unità la ricerca artistica della scrittrice brasiliana? Oppure ci si trova davanti ad una discontinuità, ad una frammentazione, ad una “disomogeneità”, come rileva il giornalista Bregola nel suo testo Il catalogo delle voci.
Una lettura attenta mostra che nella produzione di Christiana de Caldas Brito sono presenti più aspetti tematici, a volte connessi, altre volte divergenti.
In un intervento alla Ca’ Foscari di Venezia l’autrice brasiliana unificava la sua scrittura all’interno di un’unica problematica: “il problema della comunicazione quindi un problema linguistico”.
In effetti specialmente nella prima raccolta di racconti Olinda, Azzurra e le altre, il problema comunicativo è molto presente, dal racconto Chi, ad Azzurra. Ma in questi scritti, che possiamo considerare sperimentazioni linguistiche, sembrerebbe piuttosto presente l’ansia di scoprirsi capace di gestire una lingua nuova, non quella dell’infanzia, della sua “patria”, come de Brito ama definire la lingua materna. Non è un caso che all’origine della sua produzione in Italia ci sia il testo Ana de Jesus, la cui lingua non è l’italiano ma un “portuliano” come l’autrice stessa la definisce.
Perché poi successivamente il problema non è più quello della comunicazione, ma piuttosto come la non comunicazione possa produrre conoscenza. Esemplificativo a questo riguardo è il racconto Tre silenzi, della raccolta Qui e là.
L’unità estetica è da ricercare, a mio parere, non nel problema della comunicazione, ma in altro.
Procediamo considerando le altre tematiche per capire se è possibile ricavare una qualche illuminazione.
Specialmente nella prima raccolta è molto presente il tema della perdita del sentimento in questa società così distratta; tanto che ciascuno assume su di sé una patina di indifferenza e di deresponsabilità.
Ci sono due racconti significativi al riguardo: La triste storia di Sylvinha con la Ypsilon e Tum tum, tum tum. In entrambi questi racconti personaggio fondamentale è il cuore. Una volta viene impiccato, un’altra volta viene scaraventato in mare per allontanarlo e disfarsene. Si rimane allibiti alla lettura di queste due storie perché la immaginazione di cuori staccati dal corpo è per lo meno strana e appartiene piuttosto al mondo onirico che a quello del reale. I due racconti, ma anche altri di questa raccolta, hanno il sapore del surreale, e proprio per questo assumono una forte valenza simbolica.
C’è nella produzione della scrittrice brasiliana un altro tema che sembra molto significativo, che percorre le due raccolte di racconti, ma specialmente il romanzo 500 temporali. Christiana de Caldas Brito mostra una compassionevole compartecipazione ad ogni situazione di emarginazione, di sofferenza, di disagio sociale.
La condizione delle classi subalterne, il loro destino segnato, trova costante attenzione e materia di creazione poetica. Lavandaie in quattro tempi della prima raccolta è una delicata ricostruzione di una storia di famiglia distrutta e costretta alla totale povertà per l’arrivo del progresso.
E ‘ singolare che quell’umile attività di lavare i panni per l’aristocrazia, dapprima, e successivamente per la borghesia viene vista come una professione di famiglia, come una fortuna, come un dono di Dio perché permetteva oltre alla sussistenza, anche la vicinanza alle persone altolocate. La famiglia si sentiva quasi compartecipe di quella vita elevata così distante dalla sua fatta di umili cose e di panni lavati, stesi sull’erba o al sole, materia prima per la riuscita oltre al sapone. A volte attraverso i vestiti lavati è possibile anche sognare, indossandoli. L’uomo nudo non mostra significative differenze. Sono solo i vestiti che determinano la distinzione. E’ per questo che il rovesciamento della realtà, almeno nella immaginazione e nei desideri, avviene attraverso il travestimento, così come accade nel carnevale.
La visione del progresso che distrugge una economia basata sulla pura sussistenza fa assomigliare in qualche misura, come ho già detto in altra parte, Christiana de Caldas al nostro Verga.
Nel racconto Pinga pinga la scrittrice gioca a mettere in contrapposizione una classe popolare che vive alla buona, di stenti, ma anche di semplicità e di senso di solidarietà, e una classe borghese, quella dedita ai viaggi di piacevole turismo, che nella sua raffinatezza ha dimenticato quel calore umano che viene anche dalla accettazione della vicinanza con altri. Antonella, la protagonista di questo racconto, ha bisogno di un completo rovesciamento della realtà per poter riconsiderare e mettere a fuoco la sua situazione di egoismo. Deve rivivere la sua come condizione di degrado e quella dei copassegeri dello sgangherato pulmino come situazione elegante e raffinata della media e alta borghesia. Ancora un rovesciamento della realtà, che questa volta non conduce al sogno ma alla comprensione della realtà stessa.
Anche la biografia parallela di Menina de Rua/Menina Bem risponde alla stessa logica di presentazione del parallelismo fra vita elevata, fatta di desideri appagati e quella della povera gente che non desidera altro che mangiare, perché la ricerca affannosa degli emarginati consiste nella ricerca spasmodica del cibo.
José, personaggio della novella omonima, non risolve la sua esistenza di povertà, di emarginazione neppure con la migrazione. E’ immobile come un fissato anche lui dal destino. Olinda si sente obbligata a liberare il sacerdote che tentava di sollevarla dalla sua condizione di prostituta, dal sospetto della gente che lui voglia approfittare di lei. E’ uno scatto di dignità per sé, per la quale Olinda preferisce ritornare alla vita di degradazione piuttosto che permettre l’infangamento di chi sta operando per il suo bene.
La novella José può ascriversi ad un’altra tematica molto pregnante nella produzione di Christiana de Caldas Brito: la solitudine che è fatta di un misto – come dice il narratore dei racconti – di “tristezza e saudade”. E’ un tema che percorre tutte le raccolte della scrittrice di origine brasiliana. Non è un sentimento umano caratteristico solo di una classe sociale, ma è propria dell’essere uomo in qualunque situazione ci si trovi. Qualche distinguo è necessario fare sui termini del “miscuglio” della solitudine: La “saudade” è un po’ come la “nostalgia” in lingua italiana, la “gurba” in lingua araba. Coglie essenzialmente il migrante per la lontananza dal proprio paese, ma anche per per il ricordo di qualche avvenimento gioioso del passato oppure di qualche persona cara.
La tristezza è qualcosa che si insinua nella persona inspiegabilmente e senza una ragione precisa se non per il fatto di avvertire una distanza fra sé e gli altri o perché ci si sente incompresi. Le ragioni comunque possono essere innumerevoli. Nella produzione di Christiana questi elementi a volte si confondono e tristezza e saudade coesistono, altre volte si separano.
Così in Ana de Jesus è la saudade, la nostalgia della terra d’origine, delle abitudini di “casa propria” all’origine del malessere di Ana. “Signora, io non trovo bene qui” “Voglio tornare mio paese perché là io canto sempre io male qui voglio andare via comprende signora”. E ancora più avanti:” Saudade di vento del mio paese, di quando io piccolina che sedeva nel campo di granturco e il vento caldo soffiava le orecchie mia. Felice, io pensava che era la voce del sole.”
Chiara Macchiarlo, nella tesi di laurea La poetica della saudade nell’opera di Christiana de Caldas Brito, prende in esame il racconto Il giardino e pone in rilievo il fatto che Maira, la protagonista del racconto, decide di ritornare perché vuole “riacquistare il ritmo". Ella “ha saudade della sua famiglia, della sua infanzia”.
E’ la stessa che riempie il cuore di José che non aspetta altro che ricordare le “spiagge del Brasile e del periodo in cui lui, bambino, costruiva aquiloni per venderli ai turisti”, Josè nel momento cruciale della morte immagina di poggiare “la testa sul petto di Maria. Adesso è completamente felice”. Maria era la donna lasciata al suo paese, la donna che aveva amato.
La saudade è’ un sentimento che nasce per il ricordo di qualche persona cara come appare ancora nel racconto Amanda, nel quale il narratore gioca con questo sentire umano perché inventa “l’ammazza nostalgia” e classifica la nostalgia in diverse gradazioni fino all’assurdo che “è felicissima: la sua nostalgia, che l’aveva portata alla depressione, era indubbiamente di terzo grado[il più elevato]. E lei non l’aveva mai saputo!”.
Ma a volte è la solitudine, indipendentemente da ogni saudade ad essere la protagonista dei racconti di Christiana de Caldas Brito.
Così in Sati, in Tre silensi, ma anche in L’equilibrista, Caffè col battitasti, ed altre ancora. Perché anche in Amanda più che la saudade è la solitudine l’ingrediente fondamentale del racconto.
E’ una solitudine che non si fissa in sé, ma che è alla ricerca dell’altro; chi è solo viene modificato proprio dalla presenza dell’altro.
Nei racconti della scrittrice brasiliana, però, il senso della solitudine ha qualcosa di particolare. Si sviluppa in una tematica più sottile, meno scoperta e chiara e nel medesimo tempo più poetica. A me pare che emerga la poesia del “mistero della presenza non comunicante”.
Il racconto Tre silenzi è il più chiaro sotto questo aspetto. Tre donne che sono emotivamente conturbate dalla presenza di un uomo, che non parla mai. Ciascuna di esse modifica la propria vita a causa dell’incontro di questa presenza. Ma lo stesso tema si sviluppa con un altro racconto: Caffè col battitasti. Il rumore proveniente dall’appartamento vicino, simile a quello della macchina da scrivere, crea, nella protagonista, immagini della presenza e del mistero dell’inquilino accanto. Poi scopre che l’appartamento era vuoto, ma nella casa occupata dal nuovo inquilino c’è proprio una macchina da scrivere, di quelle che potevano produrre il ticchettio che sentiva. Desiderio di presenza. Delusione di assenza. Speranza del ripristino di una presenza.
In L’attesa Gisèle, la protagonista, coinvolta dalla presenza e dall’opera di un pittore, è indotta a riflettere sulla sua condizione di donna, sui rapporti con il marito un uomo tutto preso dalle proprie abitudini assolutamente incapace di considerazione le sue necessità e la sua vita. La silenziosa presenza del pittore modifica gli stati d’animo di Gisèle.
Forse ancora più significativo all’interno di questa poetica è il racconto Fausta. L’incipit del racconto è già di per sé un programma: ”Per me, la solitudine è fatta di rumori. Rumore di persone assenti”. Nella solitudine si desidera la presenza dell’altro, che può essere chiunque, e quando c’è questa la presenza dell’altro questa, anche nel silenzio e specialmente nel silenzio, conduce ad una comprensione di sé, ad una conoscenza che la comunicazione verbale, più intensa e rumorosa non riesce a dare.
Fausta, personaggio d’età indefinibile, per sopravvivere alla sua solitudine in un collegio-orfanotrofio, aveva ormai assunto la compagnia di uno scarafaggio e quando la suora, incaricata della sorveglianza, minaccia di schiacciare l’animale, Fausta, in un gesto disperato la uccide perché non vuole essere privata dell’unica presenza, silenziosa, che può consolare la propria solitudine.
E’ possibile a questo punto rispondere alla prima domanda che ci siamo posti e cioè se c’è un nucleo poetico fondamentale?
Ritengo che l’elemento poetico fondamentale che serpeggia ed è insito in modo prioritario, che è più nascosto, ma anche più insolito e più profondamente umano è l’importanza della non comunicazione nella presenza. Se dovessimo indicare una formula potremmo dire “la poetica della presenza non comunicante”.
Questo filone poetico Christiana lo rintraccia in tutte le classi sociali, nelle più diverse esperienze. Esso spesso viene accompagnato o dalla tematica della solitudine, o a volte dalla “saudade”. Ma il filo rosso che lega tutta la produzione della scrittrice di origine brasiliana è dato dal riconoscimento che la sola presenza dell’altro è fonte di conoscenza e di cambiamento. Anche quando un personaggio comunica, si avverte che è la sola sua presenza a determinarne l’efficacia poetica. Chiarissimo a tal riguardo è il racconto Amanda. Mauro, l’ammazza nostalgia, nonostante il fitto dialogo, l’intensità di parole emesse, compirebbe la sua funzione di ricostruire, riempire la solitudine di Amanda anche con la sua sola presenza silenziosa.

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(ISSN 1824-6648)

Christiana de Caldas Brito

A cura di raffaele taddeo

 

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Anno 4, Numero 16
June 2007

 

 

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