El Ghibli - rivista online di letteratura della migrazione

Silvia De Vogli

Poesia d’esilio e di utopia

«GLI SCRITTORI MIGRANTI RAPPRESENTANO UNA, 'NUOVA ONDATA VITALE CHE NUTRE ARRICCHISCE Là LETTERATURA EUROPEA CONTEMPORANEA». INTERVISTA AL POETA GE:ZIM, HAJDARI

Gezim Hajdari, nato Lushnje nel 1957, è fuggito dall'Albania dieci anni fa, dopo aver subito alcuni attentati a causa del suo impegno politico contro il regime comunista prima e quello di Berisha poi. Nelle sue poesie racconta la condi¬zione di esiliato, ma la vicenda biografica diventa emblema di una condizione di disagio, di espatrio da un mondo ideale annienta¬to dalla civiltà dei consumi. La sua diventa voce di tutti gli oppressi: «per voi che siete soli e fuggite con me scrivo questi versi in italia¬no e mi tormento in albane¬se». Dopo aver ottenuto numerosi riconoscimenti, tra i quali il prestigioso premio Montale, oggi Hajdari è uno degli scritto¬ri migranti più noti. Ha pubblicato diverse raccol¬te, viene invitato a confe¬renze e tiene lezioni nelle università.

“I primi anni in Italia però non sono stati facili. Il comune di Frosinone mi aveva offerto un aiuto eco¬nomico che io non ho accettato perché c'erano persone più bisognose. Per me era importante trovare un lavoro qualsiasi. Così ho fatto il muratore, l'aiuto tipografo, lo scaricatore, ho pulito le stalle delle peco¬re, zappato la terra. Quasi tutti lavori in "nero". Nel male e nel bene è stata un'esperienza giusta e doverosa. Anche molto sti¬molante perché un certo percorso ti forma il caratte¬re, rinforza la personalità, ti dà la possibilità di impara¬re il senso delle cose. Comprendi meglio te stes¬so e, attraverso te, l'altro, il mondo e la società che ti circonda, le persone del paese che ti ospita. Qualsiasi migrante all'ini¬zio deve ricominciare in un'altra dimensione, impa¬rare una nuova lingua e affrontare i tanti pregiudizi che purtroppo continuano a circolare.”

Dal nostro legislatore e dai media 11mmigrato è conside¬rato spesso, se non esclusiva¬mente, come 'forza lavoro".

Innanzitutto io preferi¬sco parlare di migranti anziché di immigrati. E le ragioni per cui si migra sono tantissime: per amore, per ragioni economiche, per motivi politici. Per alcuni popoli orientali migrare fa parte della tra¬dizione: per loro migrare è vivere, amare, scoprire, conoscere .

E in Occidente?

Nel mondo ricco occi¬dentale troviamo due tipi di viaggiatori: per alcuni il viaggio è la grande metafo¬ra esistenziale dell'ignoto. Sono stati tanti: ad esempio Chatwin, Herman Hesse, Neruda. Altri tipi di viaggiatori sono invece quelli "com¬merciali": la loro idea di viaggio è quella di merce nel mondo delle merci. Vanno in Africa, in America latina ma vedono quei paesi solo da un punto di vista esotico e non come un'iden¬tità politica, socio culturale. La conoscenza dell'antica tradizione orientale della migrazione aiuterebbe l'oc¬cidente a superare la fobia e il disprezzo per i migranti e farebbe capire che in realtà siamo tutti "stranieri": migrare è una condizione di vita di qualsiasi individuo. Storicamente i popoli si sono spostatati da Sud a Nord e da Nord a Sud, dall'Est all'Ovest e vicever¬sa. Anche l'Europa è nata da una mescolanza di cultu¬re diverse.

Oggi però l'Europa si presen¬to piuttosto come la patria dell'”homo oeconomicus'.

Si perché hanno fatto crollare il muro di Berlino ma ne hanno eretto un altro". il muro di Bruxelles. Un muro ancor più pericoloso perché invisibile. Ma se ci sarà una nuova Europa questa potrà essere solo l'Europa della cul¬tura. Non c'è un altro modo per convivere insieme e affrontare il nuovo millennio.

Che ruolo hanno gli intellet¬tuali in questo processo?

Dobbiamo essere noi uomini di cultura ad annun¬ciare, a prevenire, a mostrare la strada facendo avvicinare i popoli e le culture. Come cit¬tadini e uomini liberi, ma anche come scrittori, dobbia¬mo combattere un mito che io reputo pericoloso: quello del nazionalismo sciovinista. A volte sottolineare le proprie radici divide e non unisce. Ciò non significa che bisogna negare la propria origine, la propria cultura. Bisogna rispettare i confini ma anche oltrepassarli e mescolarsi con l'altro, solo così si diventa cit¬tadini del mondo: europei ma anche italiani, europei ma anche albanesi.

E la letteratura della migra¬zione?

Da questo punto di vista la scrittura della migrazione è un'ambasciatrice che fa avvicinare le culture e i popoli, insegna a tutti ad essere migranti. L'Occidente, l'Europa stanno attraversando momenti segnati da grandi cambiamenti, siamo di fronte a grandi problemi socio cultu¬rale gli scrittori "migranti" hanno la grande responsabi¬lità di rispecchiare questi grandi movimenti.

Romanzi e poesie, ma anche incontri e dibattiti con gli “scrittori migranti" quindi possono facilitare l'integra¬zione?

Iniziative come “il gioco degli specchi", festival della letteratura migrante che si è svolto a Trento in febbraio, servono innanzitutto a far cambiare l’immagine degli immigrati che di solito è solo quella dipinta dalla cro¬naca nera che racconta le vicende della malavita lasciando nell'ombra le sto¬rie di uomini e donne che invece fanno cultura, che cercano il dialogo. In secon¬do luogo ì racconti, le poesie degli scrittori migranti rap¬presentano una nuova onda¬ta vitale che nutre e arricchi¬sce la letteratura europea contemporanea e scuote l'Occidente ricco, a volte piatto e senza colori. Così sono nate tutte le grandi civiltà, le grandi letterature. Grazie allo scambio, al con¬tatto e alla mescolanza.

Lei ha scritto “nel mercato dei Nord mi sono intristito nel mercato del Nord ho perso il mio Sud, nel mercato dei Nord ho perso te e il mio Sud". E' un'accusa al modello culturale occidentale?

Quella poesia racconta una visita in un mercato di frutta in una bella città del Nord Italia. E’ evidente però che c'è un altro significato dietro a questo più immedia¬to: nel Nord, a volte così per¬fetto e razionale, diventa diffi¬cile incontrare l'altro, entrare in sintonia. Nel Nord le perso¬ne che camminano per la strada guardano tutte per terra: un sintomo di questa società occidentale. E’ raro incrociare gli sguardi, scam¬biarsi un sorriso. Si alzano gli occhi solo se passa una come¬ta. Non a caso i grandi archi¬tetti popolari abbellivano anche i soffitti: obbligavano gli uomini ad alzare lo sguar¬do e vedere così la divinità, ma anche il mondo.

Lei si definisce *`un esiliato esule nell'esilio"

Diceva Thomas Eliot: "ogni poeta è in esilio" io sono due volte in esilio: sono esule esiliato nella mia poesia perché la società in cui vivo non l'ho creata io, non è un mondo mio. Il mio è un uni¬verso più bello. Attraverso le mie parole ho cercato di compiere un percorso unico e irripetibile; ho cer¬cato di migrare in un altro mondo pieno di donne e uomini, di sogni e utopie. La mia poesia è così non solo consolazione ma anche sfida.

Lei scrive ancora: «ogni giorno io creo una nuova patria in cui muoio e rina¬sco quando voglio, una patria senza morte ne ban¬diere ... »

Si ma ciò non significa essere un rinnegato, un uomo senza radici, un apoli¬de anonimo. Vuol dire piut¬tosto che essere ospite del mondo è una cosa bellissi¬ma, è una grande utopia. Significa sognare un mondo in cui rinasce l'armonia e la poesia, un mondo pieno di differenze, di tessuti, di lin¬gue, di futuro.

Silvia De Vogli

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(ISSN 1824-6648)

Gëzim Hajdari: Il poeta della migrazione

A cura di raffaele taddeo

 

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Anno 2, Numero 11
March 2006

 

 

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