El Ghibli - rivista online di letteratura della migrazione

Immigraund

Dialogo con Gezim Hajdari - da Immiground

GEZIM HAJDARI, POETA MIGRANTE TRA LE TERRE E LE LINGUE

La parola come un fiume carsico che si nutre di silenzi e ombre. La parola come suono tagliente che affanna e consola, ferisce e soccorre, dilania l'anima e la ricompone. Di questa parola, dal potere innominabile e oscuro, tanto misterioso quanto necessario, è fatta la poesia dì Gezim Hajdari, poeta e intellettuale albanese in esilio nel nostro Paese dal 1992.

«La mia identità è il mio nome, ogni giorno creo una nuova patria, porto con me l'Albania nelle parole, nella poesia, nel corpo. La vera conoscenza è oltrepassare i confini». Comincia così il nostro dialogo con Hajdari.

Gezim, l'esilio non è il luogo sentimentale che alimenta la nostalgia e il romanticismo. Piuttosto, è la coscienza che la poesia non ha radici se non nell'anima dei poeta.

Il poeta vive certamente un doppio esilio, è un esiliato in esilio, poiché tutti siamo stranieri. La Terra gira, confondendo il Sud e il Nord, l'Est e l'Ovest e noi siamo come sospesi nel nulla. Per questo la poesia è a temporale e affonda le sue radici nell'anima ma anche nell'altrove che sta fuori di noi.

Antologia della pioggia racchiude i simboli e gli “oggetti” del suo poetare. Si può considerare la raccolta di versi che meglio la rappresenta?

Ogni mia raccolta ha un valore e un significato particolari. E’ un percorso umano e artistico ogni volta diverso. 1 simboli che più volte ricorrono nelle poesie sono semplici, ma nello stesso tempo complessi. L'essenzialità viene da una ricerca a volte dolorosa, in cui si incontrano l'infanzia primordiale del mondo e il dolore archetipico della natura. E’ un dialogo incessante tra l'anima e il mondo.

In una poesia lei scrive: "Un punto cerco per condividere il mio destino". La solitudine dell'esule è fatta solo di silenzi immobili o si apre verso parole nuove, verso una vera condivisione di destini diversi?

Non penso che la solitudine rimandi necessariamente al pessimismo e alla fatalità. E’ soprattutto una virtù, è stoicismo nell'affrontare i dolori quotidiani, la morte civile, la disperazione cosmica che si sublima in speranza. La solitudine che accompagna la mia poesia non è segno di lutto, ma è un morire ogni volta con le parole per rinascere e vivere diversamente.

Lei scrive in albanese e in italiano, traducendo da sé le opere. Che significato ha questo viaggio simbolico che compie da una lingua ad un'altra?

E’ la dimostrazione che l'arte, e la poesia in particolare, ci rendono capaci di oltrepassare i confini. Non è un tradimento, ma un arricchimento. E’ il punto di partenza per un dialogo vero che abbatta tutti gli steccati nazionali e territoriali. Poiché tutti siamo migranti, lo siamo stati e la storia lo ricorda continuamente. Noi europei in particolare siamo nati da mescolanze continue di popoli e culture. Il nostro sangue è impuro e, per questo, più ricco.

Che cosa pensa della nuova Europa che si sta costruendo? E’ un'Europa fatta di banche e capitali o di culture che si incontrano?

Mi spaventa questa Europa, che non è per nulla nuova. E fatta dai banchieri, dalla politica lontana dalla gente. E’ un luogo geografico che fa rinascere l'intolleranza e le divisioni. E un'Europa in cui dominano ancora i nazionalismi patetici e sciovinisti. Sento un grande vuoto di idee e progetti, un appiattimento sui valori dominanti, o pseudovalori, dei denaro e del successo a tutti i costi. Le nuove generazioni non pongono più domande, non leggono, non si mettono in discussione, non utilizzano la loro intelligenza e cultura per determinare una svolta critica nella società. Tutti, e gli intellettuali per primi, hanno il dovere di riflettere e prendere posizione. Altrimenti un'Europa dal volto umano sarà sempre più un'utopia.

La guerra dei Balcani, l'odio etnico e la fuga. Il dramma della sua terra è divenuto la spina nel fianco per l'Europa dei grandi interessi economici e per le superpotenze mondiali.

I Balcani è la terra dei miti, delle leggende, dei grandi eroi popolari, ma anche dei balordi e dei despoti. ' Noi ci portiamo dentro il senso tragico del destino e della fatalità. E la divisione tra stati etnici è un alzare muri di odio che coi tempo si cronicizza, diventa "normale", quasi una nuova fede politica. I Balcani sono stati e sono tuttora luoghi privilegiati di intrighi internazionali, di cui si sono approfittate senza scrupoli le superpotenze del mondo. Con la complicità dei governi e dei capi di stato balcanici. Ancora oggi regna il mito nazionalista, la vera malattia primordiale dei Balcani. lo dico: adesso basta con il linguaggio delle armi. Bisogna far prevalere il senso della comunità, bisogna fondare la cultura dell'uomo e del suo diritto a vivere in pace. Bisogna restituire ' la voce agli intellettuali, ai poeti, agli artisti, sempre assenti, loro malgrado, dalla lotta a viso aperto contro le ideologie che hanno ucciso le speranze di questa terra. Il dissenso, la possibilità di dire no è un diritto sacrosanto. Cosi come poter abbattere i muri, oltrepassare i confini senza per questo dover diventare uomini e donne in fuga.

Home | Archivio | Cerca

Archivio

Supplemento

(ISSN 1824-6648)

Gëzim Hajdari: Il poeta della migrazione

A cura di raffaele taddeo

 

Archivio

Anno 2, Numero 11
March 2006

 

 

©2003-2014 El-Ghibli.org
Chi siamo | Contatti | Archivio | Notizie | Links