Intervista esclusiva di Enrico Ratti al maggior poeta albanese contemporaneo sul tema della guerra
“Bruxelles, muro da abbattere”
Gezim Hajdari, uno dei maggiori poeti contemporanei, è nato nel 1957 a Lushnje. Laureato in letteratura moderna a Tirana è stato il fondatore del partito repubblicano albanese e del giornale “Ora e fjales”. Dopo aver denunciato i crimini e gli abusi della vecchia nomenclatura comunista e del regime di Sali Berisha è stato vittima di ripetute minacce e aggressioni. Dal 1992 è esule in Italia. Hajdari ha pubblicato Antologia della pioggia. Ombre di cane. Sassi controvento. Pietre di confine. Le sue poesie sono pubblicate su innumerevoli antologie e nel 1997 ha vinto il premio Montale. In esclusiva per la “Voce di Mantova” ci ha rilasciato questa intervista.
In un’epoca di grandi migrazioni come l’attuale la politica italiana sarà costretta ad evolversi in politica dell’ospitalità non razzista. A mio avviso questa è una grande novità che il nostro personale politico non può permettersi di sottovalutare se vuole fare dell’Italia il faro culturale e finanziario del Mediterraneo. Lei cosa ne pensa?
L’Italia è sempre stato un paese ospitale. Il vostro è un popolo disponibile, aperto e attento alle differenze culturali. Nei Balcani, invece, la tolleranza e l’ospitalità non esistono più. Lì la gente deve essere tutta serba, o croata, o albanese. E’ chiaro che questo tipo di infantilismo primitivo delle nostre azioni per noi è una grande sofferenza. Ma ciò che più importa è che noi immigrati portiamo un bagaglio culturale da integrare con la vostra lingua, con la vostra cultura. Questi intrecci hanno sempre prodotto grandi patrimoni culturali che adesso appoartengono a tutta l’umanità. Finalmente per l’Italia si affaccia la possibilità di ospitare scrittori e artisti stranieri. Sono questi gli intellettuali che avvicinano i popoli e creano l’ospitalità.
A questo proposito, qual è, secondo lei, il ruolo degli intellettuali nella società moderna?
L’intellettuale è colui che dà delle soluzioni all’umanità, ad un popolo e ad una nazione in modo aperto e indipendente. L’intellettuale è colui che si confronta con grande impegno con l’etica, la politica, l’estetica e la legge.
Un intellettuale né apocalittico, né integrato ma che analizza l’epoca. Un intellettuale che non permette che la parola si animalizzi e che muoia. E’ così?
Certo. Oggi viviamo nella società del consumo e sembra che la parola stia morendo. La nostra è una tragedia epocale e l’uomo ha il dovere di salvare sé stesso. Io combatto affinché la parola e la poesia continuino a vivere. Ed è proprio per questo che nelle mie opere uso lo specchio, il corpo, la sabbia, la pietra e il fuoco: elementi semplici dell’infanzia del tempo che fanno pulsare la parola di vita inestinguibile. Per quanto riguarda il mio impegno sociale io mi definisco cittadino del mondo sempre schierato con la cultura, la dignità e la giustizia, un nomade che non ha nessuna nostalgia della religione e della nazionalità e che ha preferito l’esilio al compromesso.
Ma veniamo al Kosovo e a questa nuova guerra postmoderna. Hajdari non le sembra che in questo conflitto vengano messi in gioco i ricordi peggiori del XX secolo e anche della guerra fredda?
Le spiego, Dopo lo smembramento della Jugoslavia emerse l’idea della grande Serbia. Ma questa era una copertura dietro cui si celava solo la voglia di egemonia su territori cola la Croazia, la Bosnia e il Kosovo. Per quanto riguarda il Kosovo questa era una terra abitata da una popolazione autoctona di cultura e tradizione albanese. Infatti i serbi vi arrivarono solo nel sesto secolo dopo Cristo e con Tito il Kosovo divenne autonoma. A questo punto Milosevic doveva avere il coraggio di dare al Kosovo lo stato di repubblica. Solo così sarebbe passato alla storia come un grande statista. Invece dieci anni fa tolse l’autonomia al Kosovo e iniziò a scatenare la repressione politica. Vede, in fin dei conti i Balcani indicano l’eterno ritorno della storia perché lì i popoli sono fatalisti. Per sconfiggere definitivamente questo fatalismo occorre che dopo il crollo del muro di Berlino crolli anche il muro di Bruxelles. Infatti è assolutamente prioritario che l’Europa ricca, una volta conclusa questa guerra, integri nella sua comunità sia i Balcani che tutto l’est europeo.
Molti intellettuali europei sostengono che questo conflitto sia dovuto alla mancata Norimberga rossa nei confronti delle dittature comuniste. Milosevic è forse la faccia oscura e violenta di una sinistra europea che fa di tutto per cancellare la memoria e la storia destinandosi così alla rovina sicura.
Il comunismo è stato un sistema che ha coinvolto buona parte dell’Europa. Con un processo non si risolve niente perché non possono condannare milioni di persone. Sono convinto però che ci voglia una dura condanna morale del comunismo. In Albania la nomenclatura di Enver Hoxha si è riciclata e adesso occupa lo stato attraverso la corruzione e il traffico di droga. Questi paesi sono stati ingannati due volte: prima dalla dittatura e adesso dalla democrazia. Una condanna morale del comunismo ci vuole proprio per impedire agli ex comunisti di governare sotto mentite spoglie. Elsin, per esempio, dirige la Russia secondo la logica totalitaria del vecchio Politbjuro. In Russia il cambiamento è solo una restaurazione; una presa del potere da parte di trafficanti di ogni genere. Così avviene nelle alte forme di governo dove sono al potere gli excomunisti. Le forme cambiano ma il contenuto è lo stesso.
Secondo lei quale sarà l’esito di questo conflitto che sembra condotto come una gigantesca operazione di polizia aerea contro bande di criminali che massacrano, derubano e deportano un’intera popolazione?
Per risolvere questo conflitto ci sono tre possibilità. La prima è che Milosevic si arrenda, la seconda è che l’opposizione prenda il potere e guidi il piano di pace, la terza è che dopo l’indebolimento delle forze armate serbe sarà inevitabile l’intervento via terra soprattutto per guidare il ritorno in patria dei profughi. Io sono per l’invasione del Kosovo se i primi due punti saltano. Dopo tutti quei massacri come fanno i profughi a tornare in Kosovo senza essere garantiti e protetti?
Lei è favorevole all’indipendenza del Kosovo?
Ovvio perché non si può convivere con l’odio. La Bosnia insegna. L’indipendenza appoggiata dalla diplomazia e dalla Nato è l’unica via di salvezza.
Ibrahim Rugosa è un leader indipendente o è ostaggio delle logiche di guerra? R Rugosa è una figura ambigua. Ma ha avuto un grande merito: ha fatto conoscere la questione del Kosovo presso tutte le cancellerie del mondo. La sua natura è pacifica però in dieci anni è riuscito a interzionalizzare la questione del Kosovo. Rugosa già allora intuiva quello che oggi stiamo vivendo. Ebbene in tutta la storia della Nato questo è l’intervento più giusto perché pone fine all’ultima dittatura europea, all’influenza russa nei Balcani e elimina per sempre il pericolo nucleare. Perché non dimentichiamolo, la Bielorussia è sempre pronta ad armare nuclearmente la Serbia. Oggi si creano le basi per far vivere in pace i popoli balcanici. Questa guerra mette la parola fine alla logica totalitaria nell’amministrazione dei popoli e delle nazioni.