El Ghibli - rivista online di letteratura della migrazione

Patrizio Barbaro

INTERVISTA CON GEZIM HAJDARI, DISSIDENTE ARTISTA ALBANESE
IO, IMMIGRATO SALVATO DALLA POESIA

QUATTRO ANNI FA FUGGI’ DA Tirana perché repubblicano. Ora vive a Frosinone, lavora 14 ore al giorno in tipografia. “prego Dio perché mi dia del tempo per scrivere”

Geziin Hajdari, uno dei maggiori poeti albanesi, è immigrato in Itali.a, al pari di tanti suoi connazionali. Come tutti vive quell'esisteza drammatica, fatta di lavori durissimi e comunque di precariato, in luoghi che molto spesso sono deserti di solitudine. E’ stato scoperto a Santarcangelo di Romagna, quando una giuria di docenti universitari, specializzati nelle letterature comparate, gli ha attribuito il primo premio per la poesia nella II Edizione del concorso letterario per immigrati Eks&Tra.
Vive a Frosinone e non riesce più a creare. Fa il tipografo. «Io lavo¬ro 14 ore al giorno, esco di casa alle 6,30 e rientro alle 19 ' 30 e faccio tutto da solo», dice Haidari. «La vita è molto difficile e prego Dio ogni giorno che mi dia un po' di tempo, sarebbe il dono più grande. Perciò ho annullato anche la tv, sono 4 anni che non vedo la tv. Sento la musica classica, compro il giornale ogni giorno, ma non vedo la tv. Non mi interessano granchè la maggior parte delle trasmissioni. Lavorare per me è una questione di dignità, è una grande esperienza, ho rifiutato tutti i sussidi di assistenza. Mi resta poco tempo, tuttavia sono contento perché così. è la vita, che dobbiamo accettare come è, non come dovrebbe essere».

La letteratura per lei è diventata amicizia, compagna della vita?

«Io vivo da solo ma non mi sento mai solo, perchè io `sono con i miei personaggi . Ho visitato le più grandi città d'Italia, i musei più importanti, ho visto spettacoli teatrali. Spendo così quei due soldi che prendo, oltre che per comprare libri, ho centinaia di volumi di letteratura contemporanea. Vivo alla giornata e non voglio possedere dere niente oltre il rnio corpo».

In Albania lei ha lasciato una storia, delIe memorie?

Mi sono laureato in lettere moderne in Albania, sono stato docente di letteratura, giornalista d'opposizione, e candidato al parlamento albanese nelle elezioni del '92, nelle file del partito repubblicano albanese. La denuncia dei crimini e degli abusi della vecchia nomenklatura mi ha costretto, *nell'aprile del '92, ad abbandonare il mio paese. Ho chiesto asilo politico ma non me l'hanno concesso, poi, più tardi, ho scoperto casualmente che la polizia a Roma voleva rimpatriare alcune prostitute e non ha potuto.fare nulla perchè avevano lo stato di rifugiato politico, ma questo è il paradosso della giustizia italiana. Nel mio paese ho cominciato ad insegnare dopo il crollo del regime autoritario. Prima ho fatto di tutto: operaio in un'azienda di bonifica, militare, economista, magazziniere, guardia di campagna, disoccupato e così via».

Come ha vissuto la fuga in Italia e l'incontro con il nostro paese?

Per me è stata una grande esperienza nel bene e nel male. Ho cercato di sfidare la mia disgrazia con la Parola, cioè con una traccia. Nella mia poesia c'è la solitudine, il dolore e la paura di questo mondo. t un pessimismo universale che passa attraverso il mio problema personale. Anche in Italia all'inizio ho dovuto lottare per guadagnare il pane quotidiano, ho fatto il muratore, ho pulito le stalle, ho zappato la terra, poi sono stato disoccupato e ora faccio il tipografo. Nello stesso tempo ho cerca¬to di assorbire tutto, ho potuto conoscere da vicino la vostra cultura, la vostra storia, la vostra filosofia, la vostra politica. Non posso nascondere una certa disillusione, soprattutto per il consumismo e il cinismo dell'uomo occidentale. Davanti a questa crisi esistenziale c'è stata anche la mia prima reazione o riflessione: mi sono piegato, nel nulla, nascondendo le mie ferite e i miei segreti. Perciò ho deciso di non parlare più, cioè di comunicare con l'esterno soltanto attraverso la parola scritta. Ho deciso di trasformarmi nelle parole. E’ l'ultimo atto del Poeta, quello del suicidio per poi risorgere, cioè morire per vivere diversamente, perché nessun altro gesto è possibile in questo secolo che è forse il secolo più sterile della .storia umana.

Il poeta quindi 'sa leggere diversamente la condizione umana e dunque anche la situazione di chi lascia il proprio paese?

La poesia continua ad essere l'avanguardia, della cultura umana. Non a caso Percy Bysshe Shelley chiamava i poeti "non riconosciuti legislatori del mondo". E' tanto vero che anche ai giorni d'oggi la cultura è rimasta come un punto di riferimento morale. Ma questo è un secolo dominato dalla mediocrità, è un secolo che ha tolto l'uomo dall'epicentro dell'universo, che cerca di cancellarlo, di eliminarlo, come mostrano tutte le grandi scoperte, da Darwin a Freud. L'uomo di oggi è diventato un oggetto di questa macchina perversa, diabolica, e non pensa più, non ha nessuna identità, è senza valori estetici ed, etici. Ecco perché l'allarme del giorno d'oggi è "dobbiamo salvare l'uomo”, ma per salvare l'uomo dobbiamo salvare la Parola. Perché la Parola sta morendo. Davanti a noi c'è un grande vuoto ideologico, politico e forse anche le dottrine spirituali non ci offrono più niente. Il dilemma più grande è: dobbiamo sperare in qualcuno o dobbiamo fare una vita vegetativa? La crisi più grave è la crisi del pensiero filosofico che non riesce più a progettare il futuro dell'uomo e della società. Io scrivo per sfidare questa falsità quotidiana, questa morte civile, per salvare la Parola, cioè per salvare l'uomo.

Quindi il problema dell'uomo non ha nazionalità?

II poeta non ha cittadinanza, è un ospite del mondo, è un nomade. Mi ha fatto piacere il premio di Santarcangelo perché io faccio parte di quei poeti che cercano di portare, insieme con le loro ferite, i segreti e i costumi di culture diverse, anche per arricchire la cultura dello stesso paese dove ci troviamo. Quel premio ha mostrato una grande civiltà, un amore per accogliere la parola dei poeti che vengono dal resto del mondo e la disponibilità per farli integrare nella cultura italiana.

. Patrizio Barbaro

Home | Archivio | Cerca

Archivio

Supplemento

(ISSN 1824-6648)

Gëzim Hajdari: Il poeta della migrazione

A cura di raffaele taddeo

 

Archivio

Anno 2, Numero 11
March 2006

 

 

©2003-2014 El-Ghibli.org
Chi siamo | Contatti | Archivio | Notizie | Links