LA LINGUA DEL PAESE OSPITANTE COME UNA NUOVA "INFANZIA"
Nell'aprile del 1992 sono stato costretto ad abbandonare l'Alba¬nia per motivi politici. Quale sia il motivo, lasciare i propri cari, gli affetti, il posto dove sei nato, cresciuto, vissuto, dove hai amato e ti sei tormentato è una cosa che lascia dei segni indelebili in qualsiasi individuo, e, può provocare effetti devastanti per la creatività lettera¬ria di un poeta. L’impatto con il paese 'straniero', l'Italia, fu imme¬diato. Nei primi tempi mi sentivo perso, il mio equilibrio interiore vacillava; ho sentito che qualcosa si era spezzato nel mio profondo, scuotendo tutto il mio essere. Mi sono ritrovato fuori da ciò che mi circondava e mi era familiare. D'allora in poi, nasceranno in me dei dilemmi e degli interrogativi, mai posti prima. Per la prima volta ho notato il mio rapporto individuale con l'universo, in quanto parte della totalità. Questa è stata per me una scoperta' impressionante.
Nell'Albania totalitaria ero cresciuto, educato all’interno dei pa¬rametri precisi e modellati. La mia identità era un'identità forte e ben definita, che mi dava sicurezza, ma nel tempo stesso mi opprimeva. Il regime teneva molto il mito nazionalista. La propaganda ufficiale, nel formare un certo mito, era continua e programmata; fu un vero e proprio isterismo di massa, che presto sarebbe andato a finire in una tragedia collettiva. La retorica di un patriottismo ridicolo e pericoloso, domina, ancora oggi la cultura albanese, il che impedisce il dialogo interculturale. .
Nel mio villaggio natale, Hajdaraj, tirava sempre vento e in in¬verno tuonava il mare. lo sapevo da quale punto del mio paese collinoso nasceva il sole, e dove tramontava. In autunno, prima che piovesse, da nord est avanzavano nuvole bianche. Ed io subito capivo che presto sarebbe piovuto. L:autunno era la stagione dei matrimoni. In inverno riuscivo a capire il maltempo e il buon tempo attraverso il canto della civetta; essa aveva due canti: uno per il buon tempo e l'altro per il brutto tempo. .
Dalla mattina alla sera ero circondato da uccelli ed animali diversi che nella mitologia greca erano dei simboli importanti. Gli dei greci per far soffrire di meno gli uomini e gli dei stessi li trasformavano in uccelli e animali. .
In autunno, di solito, pioveva nel pomeriggio. In inverno le piogge venivano dal mare. All'inizio lampeggiava all'orizzonte ed era allora che mio padre diceva "Pioverà stasera, perché sta tuonando il mare"; perché di solito le piogge arrivavano nelle prime ore del tramonto. E così accadeva. Mentre il canto della civetta mi avvisava che il tempo sarebbe cambiato. Quando ghiacciava, in inverno, dal nord tirava un vento tagliente. Io capivo subito che il tempo sarebbe cambiato. .
In primavera la collina, i prati e le strade polverose si riempivano di lucciole e d'intorno cantavano le raganelle. Ogni mattina mi svegliavo con il canto del gallo. Mio padre era l'unico in paese appassio¬nato di galli e comperava quelli con le penne più colorate e dal canto più bello. .
Nel mio villaggio natale imparai a memoria i primi versi dell'epica albanese, i versi di Pushkin e Withman; li ho scritto anche i primi componimenti poetici. .
Darsìa è una provincia brulla e mistica. Dalla mia casa il mio sguardo poteva vagare all'infinito. Chi vive sulla collina è fortunato; l'altitudine ti dà il senso delle cose, del Tempo e dello Spazio, della perdita e della rivelazione (ricordiamo Abramo in cima alla città di Ur oppure Mosè sul monte Oreb; anticamente le costruzioni sacre di qualsiasi religione venivano fatte in cima alla collina), ti permette di oltrepassare con l'immaginazione, ti aiuta a creare una visione più organica del mondo, a creare un legame di religiosità (alchemico) tra se stessi e la natura, tra se stessi e il cosmo. Si instaura un rapporto molto intimo tra se stessi e il mito, tra se stessi e l'universalità; si entra in sintonia con l'alto, il basso e il d'intorno. Si coglie in pieno l'Infinito, l'Assoluto, Dio; si colloquia con il divino, con l'Universo. 1 ricordi si elevano allo stato supremo e tu fai da tramite: leghi il cielo con la terra. Chi nasce sulla collina non ha bisogno della città. I primi che spostarono il discorso psicologico nella natura furono i greci; non a caso, le grandi tragedie greche si svolgono in natura. .
Dal miei avi ho imparato l'antica mistica: a leggere il cielo e la terra, prevedere il tempo, allevare il bestiame. In Mesopotamia è il cielo a parlare. Prima della scrittura sono le pietre a raccontare e a tramandare i riti, i codici, le promesse nuziali, l'ira degli dei. 1 nostri antenati vivevano con il cielo: ora dopo ora, notte dopo notte, stagione dopo stagione. Oggi l'uomo ha perso la capacità di leggere il cie¬lo di capire la terra, da sempre usati come calendari naturali per scandire lavori agricoli e rotte marine. .
Nel mio villaggio collinoso i campi venivano seminati con la luna piena; con la luna piena, le donne concepivano i loro bambini. I bambini nati con la luna piena erano più belli; avevano il volto come la luna. Si diceva: "E’ nato con la luna piena! "; per gli abitanti del villag gio, il volto della donna darsiana simboleggiava la luna e viceversa. .
Il mio modo di vivere di allora mi aveva insegnato a conoscere le piante, la selva, gli animali, il verde, il fiume, il lago, il torrente, il sentiero, le voci, i volti il profumo dei campi trebbiati, l'epica, la magia, i riti, i suoni, i rumori... .
Qualcuno potrebbe dire: The c'entra tutto questo con il tema del discorso?". .
C'entra, perché tutto questo insieme di cose formano quel che noi chiamiamo metafora dell'identità.
L'identità si forma nell'infanzia. Miguel Delibes diceva: "Mi patria es la infancia" (La mia patria è l'infanzia). .
Nell'infanzia è la propria madre che si rivolge a noi, per la prima volta, con quella che sarà la nostra lingua futura. La lingua madre è la lingua dell'amore. Ciò che Dante chiamava "parlar materno". Attra¬verso la lingua madre impariamo il nome dei genitori, dei fratelli, degli zii, del proprio paese, i nomi delle cose, la geografia, la storia, i detti e via dicendo. Con la lingua madre si crea nel repertorio del proprio linguaggio un mondo di parole affettive che esprimono un mondo este¬riore ed interiore. L la prima esperienza originaria di linguaggio. .
Una volta che ci si trova fuori dal proprio paese, dal proprio contesto culturale , C è una rottura terribile, uno spaesamento. Lo scrit¬tore migrante si rende conto che si deve iniziare da capo. Per prima cosa si cerca un punto d'appoggio per orientarsi. Si avverte una forte perdita e vertigine. Si cerca qualcosa, forse un senso di appartenenza. Ci si sforza per rimediare un rapporto familiare con gli oggetti e con ciò che ti circonda. Si crea nella propria mente una grande con¬fusione e sgomento allo stesso tempo. Tutto sembra estraneo e ci si sente catapultati. Per la prima volta si dubita di se stessi e ci si trova soli con il mondo. .
Ogni giorno ci si risveglia con un'immensa nostalgia. proprio lei che diventerà la spinta ulteriore, la linfa dell'ispirazione, ma sol¬tanto quando diventa elevazione suprema. Ci si sente come un uccel¬lo di bosco chiuso in gabbia. Si diventa un 'altro'. E nato per te un nuovo stile di vita che rompe i tuoi ritmi e le abitudini di prima. .
come diventare un'altra persona. Inizia una crisi di identità; il che si nota di più tra i migranti dei paesi poveri e in via di sviluppo oppure tra quelli che provengono dai paesi di tradizioni spirituali. La stessa cosa vale anche per i migranti dei paesi ex socialisti, in cui la vita si basava sui modelli economici e sociali. .
Per la prima volta scopri che la tua vera identità non è legata ad un territorio, ma è legata alla lingua, alla memoria, alla cultura; tu migri non da un paese all'altro, ma da una lingua all'altra, da una memoria all'altra, da una cultura all'altra. Ormai sei in un Viaggio perenne (metafora esistenziale dell'ignoto, dimensione esistenziale del poeta che può essere solo ospite, mai cittadino ... ). Stai compren¬dendo il senso del mondo attraverso il linguaggio. Ti senti in esilio. 1 luoghi per te non contano più. Sei sempre in cerca di qualcosa di diverso, di un altrove... Pian piano ti liberi dai legami. La tua identità nel senso nazionalistico o patriottico non hanno significato. Ora conta la geografia del corpo e del cuore: la tua patria diventa il proprio corpo e la tua identità il tuo nome, anzi ogni giorno tu crei una nuova patria, in cui muori e rinasci. D'ora in poi devi condividere tutto con la nuova lingua: l'estraneità, l'incertezza, la separatezza, lo sradicamento il vivere al limite di ogni equilibrio ecc. .
Si cerca di imparare le parole più indispensabili come pane, acqua, casa, lavoro, madre, padre, strada.... per costruire un nuovo contesto di identità. .
La nuova lingua del paese ospitante ti fa da 'madre'. Si torna da capo, ad una nuova 'infanzia'; si percepiscono i suoni e i significati, ma non si riesce a parlare. Sei un "bambino adulto dal volto angelico"..
Del tuo paese d'origine rimane solo il nome. La prima patria, d'ora in poi, sarà la lingua madre; nel mio caso l'albanese. Albania sarà solo un nome, una convenzione. L'Albania, nella nuova dimensione, farà parte della propria memoria, della propria immaginazio¬ne, dei propri sogni attraverso la lingua. D'ora in poi si ha a che fare con la lingua madre, che Heidegger affermava come identità. .
E la seconda patria? L’Italia è un nome, una convenzione come l'Albania. Per il poeta la seconda patria diventerà la lingua italiana, perchè la poesia non è altro che un vivere nell'esperienza originaria del linguaggio. non abitiamo in un paese, ma in una lingua", nota Cioran. Jabes va più in là; egli afferma: " E' la ospitalità della lingua che salva lo straniero dal gelo della sua estraneità". Nasce cosi una lacerazione, ferita che separa la tua lingua d'origine dalla lingua del paese ospitante, perché tutte le esperienze si svolgono nella lingua. Abituarsi a nuove identità. Tu vivrai sempre con l'idea di tornare un giorno, con la convinzione che tornare è vano. .
Si iniziano a scrivere le prime parole con la nuova lingua del paese ospitante. Si deve pensare e concepire le cose in italiano; si deve respirare e sognare in italiano. Si deve immaginare ed amare in italiano. Anche la gente del posto, in alcuni casi, quando ti parla, lo fa con tenerezza, ti tratta come un bambino; ti si rivolge con i verbi all'infinito. .
L’italiano diventa una lingua 'bambina' nelle labbra dell`altro', e rivive la propria 'infanzia'; è una lingua nella lingua. Non è nè albanese, né italiano, e nello stesso tempo è l'una e l'altra. Tutte e due le lingue si trovano in esilio: l'italiano esiliato nell'albanese e l'albanese esiliato nell'italiano. Si tratta di un'espropriazione delle lingue. La poesia diventa esilio, migrazione linguistica, espropriazione di ciò che è più proprio e appropriazione dell'improprio come tale. Non si tratta di bilinguismo, ma di una lingua doppia, una lingua o una esperienza di linguaggio che transita e migra da una lingua all'altra. L proprio questo attraversamento come l'esperienza poetica del linguaggio. .
Le prime parole che si iniziano a pronunciare sono piene di erro¬ri; e con l'accento diverso; perché si deve modificare anche la mu¬scolatura della bocca. .
Non sei tu che parli, al tuo posto c'è il fanciulletto di Pascoli. Si vive sospeso, tra una lingua reale e una immaginaria, al limite dell'annientamento, della maledizione, ma anche dell'incanto. Si scrive con la lingua del paese ospitante e ci si tormenta nella lingua d'origi¬ne, e viceversa. .
Tornare 'bambino' per l'arte è molto importante. "La vera arte si deve avvicinare al sogno e alla mentalità infantile", sottolineava Magritte. A volte, nella vita, come unica consolazione, rimangono (forse) solo i ricordi felici dell'infanzia, il resto è inganno e disillusione. Picasso "ha dovuto aspettare quarant'anni per tornare bambino“ ; egli, se non mi sbaglio, diceva ai giovani pittori: "All'età vostra dipingevo come Michelangelo, all’età di Michelangelo dipingevo come un bambino"..
Gezim Hajdari al "Convegno internazionale di Bologna novembre 2002"