El Ghibli - rivista online di letteratura della migrazione

Blerina Suta

La forma linguistica della poesia di Gezim Hajdari stabilisce con il lettore, da un volume all'altro, lo scat¬to di un continuo scomporsi e ricomporsi su tutti i li¬velli: prima sociale e personale, poi linguistico e di poe¬tica, nel senso complesso di forme dei contenuto e di forme espressione .
Le poesie di Hajdari da Barihidhur/Erba amara 1988 (ripubblicato in Italia dall'editore Fara 2001), fi¬no a Stigmate/vragé, Lecce, Besa 2002, "narrano" le di¬verse fasi del rapporto del poeta con il mondo. Questo rapporto è viscerale, molto profondo e sostanziale di¬remmo, avendo presente anche i titoli dei suoi volumi: parole forti, scelta che porta su di sé il maggiore peso della poetica volutamente creata su profondi nodi esi¬stenziali della modernità.
II poeta passa da dichiarazioni emotive di saggio interiore in un paese comunista come l'Albania, in cui l'unica certezza è il gusto dell'Erbaniara, ed altre che testimoniano lo sforzo di ricomporsi in una identità che è stato vuoto, sgombro, libero dai miti dei passato, di chi si trova in esilio solo con il suo Corpo presente ac¬corgendosi delle Stigmate, segni della sua scelta intel¬lettuale, senza compromessi.
Nel volume barihidliur, scritto inizialmente in al¬banese e ripubblicato anche in traduzione italiana solo nel 2001, l'io narrante dichiara uno stato interiore in¬sofferente verso le possibilità di realizzazione che gli offriva la propria terra e dunque la necessità della par¬tenza.
Seguendo il modesto carro della propria processione, come ricorda la migliore tradizione dei poeti che si dichiarano scelti, lui canta con tono solenne il suo destino di poeta.
Sogno la morte ogni voltalquando torna la primavera (Erbaniara, p. 15)// Mi torveranno nei campi trebbiati[.. ]/ sul volto il fazzoletto bianco di mia madrel [ ... ]/ dopo avermi lavato con l'acqua fresca del pozzo mi metteranno sul carro del grano/ tirato dai buoi della campagna (p. 17)
Il suo destino è segnato dalla maledizione paternale che lo insegue come un'obra, dela buon Dio che lo ha «condannato da secoli nel fango", senza la speranza di un'alba nel viso dalla "pelle nera" del "Tempo" nella notte Balcanica”:
[ ... ] La maledizione nell'alba.1 Non avrai mai for¬tuna che tu possa morire come un cane!11 (p. 19) Ora vago tormentato nel paese/ come uno spiritoll.. 1// Dietro le spalle mi insegue/ come ombra il destino (p. 21)
Condannato da secoli nel fango/ dal mio buon Dio / Ogni mattina all'alba/ sui rami spogli della quer¬cia/ trovo impicate in agonia/ i sogni della sera (p. 3 1)// Nulla albeggia sul volto del tempo/ come una pelle ne¬ra la notte balcanica (p. 23)
Il "destino" per Hajdari attraversa tutti i punti im¬portanti della sua vita: poesia, patria, morte. 1 versi di questo primo volume si caratterizzano per un tono profondamente dichiarativo emotivo, linguisticamen¬te espresso da verbi in prima persona e da lessemi dal preciso connotato autodichiarativo: "angoscia", "amore e tormento", "solitudine", "pianti", "gioia e disperazio¬ne":
Immensa come te la collina/ è la mia angoscia/ 0¬gní verso ardente che mi ispiri/ è amore e tormento (p. 27); / Porto con me una grande solitudine / quanti pian¬ti gioia e disperazione / Ore intere mi sdraio sulla ter¬ra umida / mastico l’erbamara dei prati// (p. 29)
li poeta distrugge, sin da quando risiedeva in Alba¬nia, il mito della Patria. Questa patria, è un luogo di "pietra", una "tomba" in cui lo ha condannato a vivere il suo "Dio crudele", è un luogo da dove "tutto, tutto è svanito/ e ricoperto dal buio".
Non mi interessa / quale sarà il mio destino /[…] ho vissuto così a lungo //nel mio territorio /ho vagato per Hajdaraj / come nella mia tomba (p. 37); Stasera voglio che qualcuno mi chiami dalle pietre / [ ... 1 stase¬ra voglio guardare in faccia il mio o crudele / [ ... ]//sta¬sera voglio chiudere con la mia patria (p. 48); Dov'è la luna piena / la rugiada del mattino? [ ... ]// Nulla è ri¬masto nei luoghi natali / Tutto, tutto è svanito/ e rico¬perto dal buio (p. 63). Diversamente agli inni nazionalistici, lui dichiara il suo "amore folle" per la patria raffigurandosi come una sua “ferita”:
Mia patria / Perché questo amore folle per te // Tu mi hai fatto nascere per essere tua ferita // [ ... 1 e ogni notte si rompe qualcosa / nel profondo del mio giaccio (p. 47).
L apartenza senza ritorno stravolge, disfa e ricrea un'altra personalità, un'identità mutata nei più fonda¬mentali elementi dell'essere come la lingua. Così in I¬talia Hajdari ha pubblicato in bilingue, scegliendo di scrivere direttamente nella lingua del luogo che lo ha o¬spitato, facendo di questa scelta una dichiarazione i¬deologica intrinseca al suo stato di migrante. Lui si pro¬pone di essere la persona che sceglie l'integrazione e la riformulazione di una identità ibrida, bilingue, simbolo del nuovo contesto culturale in cui l'emigrazione non sia uno stato di disagio oggettivo e interiore, ma un da¬to di fatto di cui prendere atto e di cui fare scelta di li¬bertà.
Corpo presente, (1999) segna un ulteriore passo, un salto di qualità linguistico espressiva, fitta di imma¬gini. La parola prende ancora di più il peso simbolico della "cosa", che nei nodi della sua immaginazione poetica è metafora della sua esistenza, del suo stato di essere:
Canto il mio corpo presente (p. 13)
L’autore, rimasto solo con il suo "corpo presente", si rivolge alla sua interiorità misurandone le pulsazioni, scoprendone le ferite. Parole chiave come "pietra!', "ricordo di pietra", "ombra", "ombra di cane","sasso", "gemito dei sassi", «parola" "parola di pietra', “ricordo di petra”,”ombra”, “ombra di cane”, "sogno d'Ombra", "Ombra uccisa in un altro paeseldai sassi con i sassi", buio", "buio dei sassi", buio della stanza sgombra", "norne di buio carne", "nome di carne",."corpo presente", "corpo vivente", "sangue", "calvario", si intrecciano nelle immagini ricche di una perso¬nalità interiormente sconvolta, che prende coscienza della propria natura, quella di chi si riconosce nello sconvolgimento:
Dissi alle Parola: // tu e i sassi mi distruggerete//[...] non vedo che volti / uguali ai sassi / e sassi uguali ai volti!(p. 109).
Acqua buia / che mi stai vicino, avvicinati di più salvami dal calvario che si ripete nel mio sangue e nella mia carne // (p. 93).
Lessemi nuovi, rispetto a Erbamara, denotano un nuovo disagio, diverso da quello, albanese, circoscri¬vendo un nuovo stato non più solo personale ma comune ad altre persone, in cui il poeta si riconosce. Il dram¬matico destino di emigrante denotato dai termini della quotidianità propri del registro "giornalistico": "occi¬dente", "il freddo dell'esilio" (p. 149), "extra comuni¬tario", "notte italiana", si rafforza accompagnato da pa¬role autodichiarative fortemente caricate da uno stato e¬motivo di tono elevato:
In occidente ogni primavera che passa / è ferita che si rinnova / [ ] sterili sono i miei sogni / nel buio della stanza sgombra e / ogni giorno impazzisco un po¬co (p. 17).
Tutti stiamo per andare via: i topi, la civetta, il merlo/ ed io extra comunitario anonimo// in cerca di un'altra dimora / in cerca di un'altro buco [ ... ] (p. 97). La notte italiana/ come occhio di cane (p. 95).
[ ... 1 Sono in balia delle dimore ignote/ se non dal¬le pallide lune notturne / perché spinti a bruciare i ri¬cordi / e a rinunciare alla nostalgia e le ceneri dei morti, ~ gli altari / che fine faranno 2 (p. 23).
Il tema dell'esilio, come sottolinea Marcello Car¬lino nell'introduzione al volume, "si trasferisce, poi e oltre, a segnare e a distinguere, quasi connotato salien¬te, la condizione della poesia".
La presa di coscienza di essersi scavato fino alla fi¬ne, si coagula attorno stratificazioni di immagini strug¬genti, di chi dichiara:
Devo arrendermi da quando ho scavato a fondo in me / mi sono accorto che ero uscito / dall'al¬tra parte / sovrastato da voci inaudite / e sacre dimore (p. 135).
"Occidente' da una parte e Albania e i Balcaní dall'altra: questi sono i confini, non solo geografici, tra cui si muove la parola di Hajdari, che in questo spazio, in questa dimensione, vive la perenne sofferenza dei poe¬ti, sempre e ovunque in esilio: Forse quel giorno ... //[ ... 1nulla rimarrà del nostro esilio: /errante e indifesa nel¬la pioggia / condotta al margine dell'abisso / e dell'oblio (p. 151).
Il mito della patria è un concetto che non lo riguarda: vogliono danni per forza una patria (p. 9 1).
Ma le tracce della sua sofferenza, lo riconducono i¬nesorabilmente a misurarsi con il destino della sua terra: Sento che strani cieli, gridi, ombrel altre pietre ancora / mi cadono adosso / e vogliono uccidere la mia carne / affidata all'acqua e alla memoria / degli alberi //..aquile nere a due teste/ che cercano di strappare ... /la mia debole anima. (p. 33).
L’Albania gli sta nel cuore non per la fierezza na¬zionalistica che la caratterizza “la provincia” dei Balca¬ni, ma per la dolcezza e la tenerezza della lingua, del vi¬so della madre riflessa nell'acqua del pozzo nel cortile della casa, della peligorga, uccello "che canta il destino dei poeti" nella sua lontana Darsia. Queste "assenze" lo rendono triste e perciò "di notte emigra laggiù/ porta¬to da un'ombra " (p. 125).
Ovunque io vada in Occidente //porto con me il mio volto scavato # nei miei occhi tristi / come in una prigione: 1 la mia Albania,11forse in una giornata di pioggia morirò anch'io, per strada /1 ucciso dai miei sassi / lanciati contro il vento (p. 147).
Il destino dell'Albania e dei Balcani sono il suo de¬stino: il poeta spera di salvarsi nel suo "viaggio" "al bi¬vio di un equilibrio":
Albania [ ... ] che inganno essere il tuo abitante/ e tu il mio fango / moriamo ogni giorno l'uno nell'altro (p. 81).
La scrittura di queste poesie descrive anche i gran¬di eventi storici dei Balcani. Il tremore del poeta ci ar¬riva tramite parole in stile cronachistico:
all'alba forse bombarderanno / sui Balcani / do¬mani altre morti, limpidezze e stelle. (p. 121).
L’autore dichiara di fuggire dal tempo e dagli dei ambigui dei Balcani!
[ ... 1 addio campi balcanici / dèi ambigui // conte ombra fugo nel tempo /che mi pesa (p. 79).
L’esilio del corpo presente diventa punto di parten¬za per altri esili, interiori, pieno di Stigmate, nell'ultimo volume di poesie pubblicato in bilingue da Besa editrì¬ce.
Smarrimento, esiliato in esilio Hajdari dichiara: noti so da dove vengo né dove vado (p. 2 1).
L’ "ora", l' "adesso", sono profondamente legati con il passato:
1 sassi gie ho gettato controvento / hanno aperto su di me enormi abissi/ ora il tempo dimora nel tempo (p. 25).
[ ... 1 ora vivo al posto di me stesso / lontano da quella terra che impietosamente / divora i propri figli (p. 35).
L’Albania diventa l'Itaca da ritrovare, da riconqui¬stare.
Ricostruire un'altra identità non lo ha aiutato a conciliarsi con quanto ha lasciato alle spalle: lingua, voglia di condividere con la propria gente la gloria da poeta:
Ascolto il mio'silenzio: è la paura / di morir in un'altra lingua ... (p. 27).
La rinascita italiana è dolorosa, la ferita albanese ancora aperta si presenta tutte le volte che si materia¬lizza nel rapporto con la lingua:piena "di errori nella lingua di origine":
E’ la mia Voce appesa al crepuscolo che chiama /la memoria confusa mi tradisce ogni giorno poco a poco / e i miei libri pieni di errori nella lingua d'origine / .. / indicatemi un luogo dove possa rinascere senza gridi / né una goccia di sangue (p. 55).
Con versi dalla chiara funzione metalinguistisca, l'autore insiste a separare il linguaggio poetico, la sua “voce” dalla lingua scelta per scrivere. La dicotomia pensiero lingua, rappresentata simbolicamente bivalente, di matrice albanese e di forma concreta di materializzazione in italiano, esplicita l'invito di non consi¬derare come ..una stravaganza questo tipo di poesia bilingue:
Per voi folli che ci insegnate gratis la follia 1 Per voi che siete soli e fuggite con me / scrivo questi versi di pretesa in italiano / e mi tormento in albanese (p. 91).
Insolito e difficilmente accettabile per chi è abitua¬to ai canti nazionali Hajdari propone un altro sguardo, rovesciato ma altrettanto naturale per una identità co¬me la sua. La sua poesia è la sua "Voce nella nebbia di un altro alfabeto": è la mia pelle appesa al crepuscolo che ascolta / cerca la mia voce nella nebbia / di un altro alfabeto. (p. 57).
I luoghi del metalinguaggio aiutano, come quelli e¬motivi, a rendere chiara e autocosciente la propria poetica, connotando insieme uno scarto tra il "credo" poe¬tico, un disagio reale e la stanchezza di vita in occiden¬te: In nero vengono scritti anche i miei canti /per la gente bianca del continente solare / che mi conosce di fama e non per la fame che scava il mio essere conie l'ombra il ruscello della valle... (29)11[ .. ] getta i miei canti erranti nel rogo/ se muoio prima di te getta il no¬me del mioDio crudele /e dì che li ho scritti in un tem¬po in cui credevo/in un mondo che non è nostro (p. 31).
I verbi che nei primi due volumi connotavano uno stato di afflizione interiore, si sostituiscono con altri, connotati da un sentimento di resistenza:
// quando tu primavera giungi nell'esilio / io cer¬co di resistere//
di pretesa che possa avere il giusto riconoscimento dalla madrepatria, Medea, finalmente pentita dell'in¬fanticidio:Ti fermerai davanti a me Albania / come quella ragazza pentita /_// ti inchinerai davanti a me, Medea / con senso di colpa /J e troverai .. / le parole tramutate in pietre nell'ombra dell'attesa.(p.,'107).
Hajdari si rifà molto alla tradizione poetica occi¬dentale che rielabora, non cercando di imitarla, per po¬tenziarne la tensione esistenziale che è la matrice natu¬rale della sua poetica.
E’ una poesia che si presenta materia quasi grezza, fuoriuscita dalle stigmate interiori, dalle rabbie, dalle passioni.
Da un volume all'altro si nota un progressivo pas¬saggio, dalle stigmate interiori legate al destino stretta¬mente personale, alle veementi dichiarazioni polemico socio intellettuali che colpiscono per la durezza e la consapevole opposizione agli intellettuali che colpisco¬no per la durezza e la consapevole opposizione agli in¬tellettuali opportunisti che riescono solo a “lacerare la Parola".
I tuoi poeti cantano ai tiranni // non sono uomini liberi i tuoi poeti // lasciano che si laceri la Parola (p. 39).
Sono le note più marcate, la netta presa di posizio¬ne che caratterizza lo scrittore che sa di aver scelto, tramite il proprio linguaggio, il destino di chi sta dalla par¬te delle forze che possono incidere realmente sul cam¬biamento, che si oppongono al volto desolatamente privo di sfumature culturali dei mondo globale di oggi.
E’ un linguaggio, quello delle poesie cosidette "impegnate", che manifesta la propria poeticità nella fun¬zione denotativa da resoconto della quotidianità.
L’io narrante manca del tutto, appiattito com'è sul¬la nuda cronaca dei suo tempo e dà vita ad una metafo¬ra straniante, che connota il destino simile di tutti i poeti, denunciando l'incapacità delle istituzioni letterarie e statali a proiettarsi, come il poeta, l'unico che può sognare ed agire cantando i veri valori oggi, in una pro¬spettìva davvero mondiale.
La poesia dedicata a Sarajli viene corredata da una dedica che sembra amplificare un destino personale e di tanti altri scrittori della migrazione: (ai poeti esuli, de¬ceduti in Occidente per la tristezza)//[ ..] //la nostra paura / rimanere senza sepoltura / in occidente (p. 123)

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Blerina Suta docnte all'Università di Tirana

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(ISSN 1824-6648)

Gëzim Hajdari: Il poeta della migrazione

A cura di raffaele taddeo

 

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Anno 2, Numero 11
March 2006

 

 

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