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francesco di Napoli

Erbamara: Torna alla luce un poema senza tempo, risalente agli anni della sua adolescenza in Albania

Un’anima senza confini e senza barriere è quella che ammiriamo in Erbamara , ardente/ardita e sconvolgente raccolta di Gezim Hajdari, iul grande poeta albanese esiliato in Italia, oggi residente a Frosinone.
Pur risalendo agli anni dell’adolescenza trascorsa sul suolo natio, questo vibrante poema “senza tempo2 non risente affatto delle asperità dell’età giovanile, come osserva Roberto Mirabella nella Prefazione: sono versi “scritti oggi per ieri; o ieri per oggi, in una solitudine di continuità temporale”.
Hajdari è un poeta dotato di qualità eccezionali, non solo per l’impressionante capacità di tramutare in versi stilisticamente perfetti le proprie burrascose vicissitudini, ma anche per la naturalezza e la semplicità con cui sa interpretare e comunicare impressioni e sensazioni comuni al lettore. Su queste straordinarie creazioni poetiche si sono finora espressi i maggiori studiosi, che ne hanno analizzato a fondo gli aspetti più riposti; ma è evidente che ci troviamo di fronte a una inesauribile miniera di idee, spunti, motivi sempre affascinanti e diversi.
Da Antologia della pioggia a Ombra di cane , fino a sassi contro vento e Corpo presente , l’autore è riuscito progressivamente, con inarrestabile tenacia, a svincolare sempre di più il suo proprio essere – e non la sola carne – dall’abietta barbarie degli accadimenti, aprendo una “prospettiva metafisica” – notò Alfonso Cardamone – capace di fondere, sintetizzare e perciò “materializzare” quell’oltre attraverso cui riscattare le ragioni (palesemente sconfitte) dello sradicamento dell’esilio.
In Hajdari il tema classico della proscrizione e/o della fuga viene trasfigurato, sublimato e mitizzato, identificandosi in tutto e per tutto con la missione poetica: “viaggiatrice metafisica, protagonista apolide” secondo la nota definizione di Marcello Carlino.
Hajdari ci ricorda che, oltre al patrimonio genetico, gli uomini seguitano a trasmettersi un involontario codice di esperienze . simboli e nozioni sempre disastrosamente mutevoli nel loro rivoluzionario manifestarsi, come nella celebre metafora della “rete a trascico” di Eugenio Montale. La doverosa lezione, l’unico monito onesto e serio da tramandare è il seguente: di nulla è magistra assoluta la storia, visti gli innumerevoli nascondigli, trabocchetti e sottopassaggi studiati dall’uomo per ingannare i propri simili.
Il che non vuol dire ignorare e disprezzare le vicende storiche. Mi sembra questa l’esatta interpretazione del celebre passo della poesia La storia ( In satura ) del Poeta Premio Nobel, versi che tante sciocche polemiche suscitarono a suo tempo, ed ancora continuano a suscitare. La storia non è nemmeno qualcosa di cui prendere atto e basta, nella sua curiosa e subdola stravaganza.
Epperò, se si riesce ad intenderla come fabula suprema, quali formidabili insegnamenti si possono trarre dagli annali della storia! Non sembri fuori luogo citare Pisolini: “Nella tua incoscienza è la coscienza / che in te la storia vuole” ( Il canto popolare , da Le ceneri di Gramsci ).
Ovunque la storia tace, là finalmente trionfano le ragioni della poesia, che è la vera anima del mondo: vediamo allora come le voci poetiche più pure ed elette concordino armoniosamente fra loro, formando un celestiale coro.
Eppure il canto severo e solitario dell’Esule non rinuncia al diritto-dovere di effettuare una propria visionaria ricognizione del reale, non tralascia “insomma il freddo dato logico-temporale.
Con tono fermo di scherno e di rimprovero, Hajdari tuona contro il patetico lamento di certi poeti di casa nostra, abituati a piangere sotto il proprio tetto, ben protetti dalle mura domestiche: costoro non conoscono il sapore crudele della sofferenza, il terrore disperato della persecuzione.
Erbamara è poesia a fior di pelle, in graffiti sulla roccia della nostra anima”, conclude Mirabella. Graffiti che grondano fango come sangue, a lungo nascosti in nidi d’uccelli, che ci ricordano “Come si brucia in fretta/ la giovinezza”. E’ lo slancio di chi mai ebbe una vera gioventù: come paragonare l’orgoglio gioioso e triste di questo limpido canto agli spenti gemiti, alle miserevoli tortuosità e volgarità delle nuove” generazioni d’Occidente.
E’ questa la vera forza vitale della poesia, la sua insondabile ma ineliminabile presenza nella società.

Francesco di Napoli in Il Parnaso (dal 3 a 9 marzo 2002)

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(ISSN 1824-6648)

Gëzim Hajdari: Il poeta della migrazione

A cura di raffaele taddeo

 

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Anno 2, Numero 11
March 2006

 

 

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