El Ghibli - rivista online di letteratura della migrazione

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raffaele taddeo

Nella storia gli uomini si sono spostati o per sottomettere altri popoli in cerca di situazioni ambientali più favorevoli e quindi come gruppi, come popoli, oppure individualmente per questioni economiche, commerciali.
Nell’età rinascimentale ci si spostava per ragioni culturali. Il viaggio nel 1700 faceva parte della formazione delle classi elevate. Era un viaggio temporaneo così che la migrazione non assumeva carattere di stabilità ma di transitorietà.
Oggi si viaggia moltissimo per fatti turistici, per entrare, anche solo visivamente, in contatto con altri paesaggi, con altre opere, altre modalità di organizzazione di vita.
Ma ci si sposta, si migra anche per necessità ed è la prima volta nella storia dell’umanità che masse intere di individui si muovono, non come popolo ma con le stesse dimensioni di un popolo. Questo è un fenomeno non locale, nè continentale, ma globale. Il trasferimento dal Sud del mondo verso il Nord è un fatto globale ed avviene su grandi numeri.
Il rischio di trovarsi nella necessità di migrare è un aspetto connesso all’essere uomo contemporaneo; ognuno si sente minacciato dalla costrizione al trasferimento che può capitare a ciascuno nella sua vita.
Molto più facilmente l’uomo è esposto alla precarietà, alla povertà, all’indigenza e sempre meno esistono spazi vicini che possano sovvenire alla miseria totale.
Ultima risorsa per milioni di persone, individualmente considerate, è la migrazione in spazi e territori ove l’agiatezza è reale e divulgata da tutti i mezzi audiovisivi ed informatici.
La migrazione come fatto individuale è quindi sottoposta a tutti i rischi connessi: rischi di solitudine, di sradicamento, di indigenza anche estrema.
Gezim Hajdari, con la sua opera sta universalizzando l’essere stesso del migrante. La precarietà, la solitudine, la emarginazione come situazione della migrazione individuale è il canto che si sprigiona dalla poesia del poeta di origine albanese. Dante aveva universalizzato la pur reale condizione della lontananza dalla sua patria, trasfigurandola come lontananza del singolo dalla gloria e dalla salvezza eterna, dal Paradiso; Gezim Hajdari ha universalizzato, invece, la necessità dell’abbandono e della lontananza da qualcosa di prettamente terreno. In Dante l’esilio, l’attaccamento alla patria terrestre, viene scavalcato dalla vita eterna; in Hajdari, l’esilio conduce al superamento di ogni legame con un territorio terrestre lasciando l’uomo senza altro territorio se non il proprio corpo. E’ la condizione dell’orfano perenne che deve contare sulle proprie forze per sopravvivere, senza alcuna adozione. Il paragone con Dante potrebbe sembrare eclatante, ma a quanto mi è dato di conoscere, difficilmente nella storia italiana o addirittura nella letteratura mondiale, è rintracciabile un poeta capace di universalizzare la situazione dell’esilio e dello spaesamento così come avviene in Hajdari.

La sua poesia si sta evolvendo; nelle ultime raccolte la dimensione di sofferenza, di angoscia si è, forse, stemperata in una rinnovata fiducia nella possibilità catartica della natura, in una riappropriazione della semplicità della vita quotidiana, nell’abbandono erotico.

Il poeta si sta irrobustendo per riaffermare con tenacia i valori più positivi dell’essere uomo, dalla onestà, alla coerenza, alla dignità, alla più solida libertà, che è fatta di tolleranza e comprensione.
Contro ogni posizione compromissoria, il poeta si prefigge, , anche a costo del misconoscimento e della maledizione, di essere coerente con questi nuovi e più sociali obiettivi.

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(ISSN 1824-6648)

Gëzim Hajdari: Il poeta della migrazione

A cura di raffaele taddeo

 

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Anno 2, Numero 11
March 2006

 

 

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