Pregiudizi e ottusità sembrerebbero dunque essere molto comuni quando gli ambienti di cultura si scontrano con esperienze diverse. "Prima che la De Agostini pubblicasse il mio romanzo,
La promessa di Hamadi, ho girato molte altre case editrici. Sostenevano tutte che era troppo carico di cultura e di riferimento al magico. Uno stile che i lettori italiani difficilmente avrebbero compreso, secondo loro. Ma come potevo raccontare di personaggi senegalesi facendoli pensare come degli occidentali?". Chi parla è Saidou Ba, 27 anni, senegalese, alla sua prima esperienza come scrittore. "Integrazione? Forse un'utopia. Uno dei rischi maggiori per chi di noi scegli di cercare lavoro in un paese straniero, è quello di farsi trascinare dal bisogno di soddisfare le necessità richieste perdendo di vista completamente la propria identità. E non si tratta soltanto di un danno alla personalità del singolo individuo. Il danno maggiore è di carattere sociale. Se da un lato infatti diventiamo parte della società che ci ospita, dall'altro la perdita della autocoscienza comporta il ruolo di emarginati, senza possibilità di riscatto, senza portare niente di nostro. Per questo credo che una delle mete principali da raggiungere sia la presa di coscienza della nostra condizione di emigranti come ruolo sociale, e ritengo fondamentale associarsi".
Saidou parla, accentuando con l'intonazione della voce il valore dei propri argomenti. Ma il tono pacato e il sorriso tranquillo, così tipici della gente africana, sembrano in contrasto con la gravità del discorso. Almeno agli occhi di noi occidentali. " A dire il vero, per noi africani la perdita di coscienza comincia già prima di emigrare. Ancora oggi nel nostro paese le scuole, i libri, i mass media, ci insegnano a sognare l'Europa o l'America. Sembra impossibile, ma i ragazzi senegalesi sanno tutto delle squadre di calcio italiane e delle prodezze di Rocky, e a scuola imparano il latino e due lingue straniere. Il messaggio implicito che ci viene lanciato, anche dai nostri governanti, è che se vogliamo migliorare le nostre condizioni dobbiamo diventare occidentali. La nostra cultura, fatta di miti e magie, sembra non avere più nulla di positivo. Tanto che mi sono sentito libero di conoscere le mie tradizioni una volta emigrato, grazie al Festival del cinema africano. Eppure quando scrivo a mia madre delle difficoltà di trovare un lavoro o un alloggio qui in Italia, lei continua a non credermi".
Giovanna Gasparini in “società civile”